Soccorso Rosso Proletario

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India – nelle carceri indiane i maoisti non si arrendano ma lottano e protestano

Inde : Le prisonnier maoïste Sanjay Deepak Rao fait une grève de la faim de 9 jours

 

Sanjay Deepak Rao, âgé de 60 ans et détenu politique au bloc Manasa de la prison centrale de Cherlapally, a protesté contre son isolement cellulaire quotidien de 22 heures sur 24, sans possibilité de sortie. Il est incarcéré comme prisonnier maoïste depuis le 16 septembre 2023. Il a entamé une grève de la faim le 28 octobre, exigeant que non seulement lui, mais aussi les prisonniers des blocs Manasa et Manjeera à Cherlapally, soient autorisés à exercer leur droit légal de circuler librement dans leur bloc de l’aube au crépuscule. Au neuvième jour de sa grève de la faim, les autorités pénitentiaires ont indiqué que la cellule serait ouverte de 6H à 18H et que des livres lui seraient fournis. Il a donc décidé de suspendre sa grève de la faim. Le lendemain matin, le 6 novembre 2025, la requête déposée en son nom a été examinée par la Haute Cour du Telangana. Suite aux assurances données par les responsables de la prison et à la réponse de la Haute Cour le lendemain, Sanjay a déposé un recours légal pour obtenir satisfaction.

secours rouge

FPLP: Il regime israeliano sta trasformando le prigioni in campi di sterminio per i palestinesi


Al Mayadeen | almayadeen.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/11/2025

Il PFLP accusa il regime israeliano di tortura sistematica, negligenza medica e sterminio lento dei prigionieri palestinesi, sollecitando un’azione urgente a livello globale.

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) dichiara di ritenere il governo di occupazione israeliano pienamente responsabile dell’escalation dei crimini di guerra contro i prigionieri palestinesi perpetrati nelle sue carceri e centri di detenzione, in particolare su quelli provenienti da Gaza.

In una dichiarazione rilasciata sabato, il FPLP condanna la “politica sistematica di tortura fisica e psicologica, di negligenza medica deliberata e di esecuzioni extragiudiziali” dei detenuti arrestati vivi, descrivendo questi atti come parte di una “campagna pianificata di sterminio” volta a schiacciare il movimento dei prigionieri palestinesi.

La dichiarazione denuncia anche il continuo sequestro dei corpi dei martiri così come la loro sepoltura nei cosiddetti “cimiteri dei numeri”, definendolo un doppio crimine e una palese violazione del diritto internazionale umanitario e dei principi morali.

Secondo il FPLP questi abusi riflettono una politica ufficiale all’interno dell’establishment israeliano al potere volta a trasformare le prigioni in campi di sterminio lento, sotto la diretta supervisione di “figure fasciste” del governo, prima fra tutte il ministro della Sicurezza nazionale dell’occupazione, Itamar Ben-Gvir.

“Israele” ricorre alla punizione collettiva

Il gruppo aggiunge che l’accanimento di Ben-Gvir contro i detenuti palestinesi incarna la politica di vendetta e punizione collettiva del regime israeliano attuata all’interno delle prigioni e dei centri di interrogatorio.

Il FPLP esorta quindi la comunità internazionale, le Nazioni Unite e il Comitato Internazionale della Croce Rossa ad assumersi le loro responsabilità legali e morali avviando un’indagine internazionale urgente e indipendente per assicurare alla giustizia i responsabili, primo fra tutti Ben-Gvir. Sottolinea inoltre che tali pratiche rappresentano la massima espressione del fascismo politico e del razzismo istituzionalizzato all’interno del regime israeliano.

Nel concludere la sua dichiarazione, il FPLP ribadisce che la causa dei prigionieri rimane centrale nella lotta nazionale palestinese avvertendo che il popolo palestinese e le sue fazioni “non resteranno a guardare di fronte a questi crimini continui contro i loro figli e le loro figlie dietro le sbarre”.

I martiri detenuti legati, bendati, torturati

La maggior parte dei corpi dei martiri palestinesi restituiti da “Israele” sono stati trovati bendati, con mani e piedi legati, ha rivelato il portavoce del dipartimento forense di Gaza.
Queste, ha dichiarato, sono prove convincenti che i detenuti palestinesi sono stati brutalmente torturati prima di essere giustiziati.
Ha esortato tutte le organizzazioni internazionali a entrare con urgenza nella Striscia di Gaza per documentare queste violazioni da parte delle forze di occupazione israeliane e garantire che i responsabili dei crimini commessi contro i palestinesi siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

“Israele” consegna 30 corpi palestinesi nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza

La notizia è stata diffusa dopo che “Israele” ha consegnato alle autorità di Gaza i corpi di 30 martiri palestinesi che erano stati detenuti nelle sue prigioni, nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco in corso, secondo quanto riportato venerdì dall’agenzia di stampa palestinese Safa.

I corpi sono stati trasferiti all’ospedale Nasser nella città meridionale di Khan Younis, a Gaza. Secondo quanto riferito, si tratta della quinta consegna di corpi, che porta il conteggio totale a 225. Molti corpi presenterebbero tracce di tortura ed esecuzione, come ustioni, mani legate e occhi bendati.

The Guardian ha riportato la scorsa settimana che l’entità israeliana ha consegnato a Gaza almeno 135 corpi mutilati di palestinesi che erano stati detenuti nella famigerata base militare israeliana di Sde Teiman. Si ritiene che la struttura sia stata teatro di esecuzioni sommarie, torture e abusi sessuali. Il quotidiano ha riportato che le foto dei detenuti di Sde Teiman in suo possesso mostravano persone bendate e ammanettate.

Vale la pena notare che l’accordo di cessate il fuoco tra l’occupazione israeliana e il movimento palestinese Hamas è entrato in vigore il 10 ottobre. Il 13 ottobre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno firmato una dichiarazione sul cessate il fuoco a Gaza.


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5.837 denunce di trattamenti inumani in un anno: i clamorosi numeri delle carceri italiane

5.837 denunce di trattamenti inumani in un anno: i clamorosi numeri delle carceri italiane

Il sistema penitenziario italiano continua a mostrare crepe profonde. Con un tasso di sovraffollamento che ha superato il 135%, oltre 63.000 persone sono detenute in spazi concepiti per meno di 47.000. In un solo anno, la popolazione detenuta è cresciuta di 1.336 unità. È in questo scenario che l’associazione Antigone lancia una campagna e una petizione per riportare la detenzione «entro i confini della Costituzione». Il dato più eclatante arriva dagli Uffici di Sorveglianza: nel 2024 sono state accolte 5.837 denunce per trattamenti inumani o degradanti, il 23,4% in più rispetto all’anno precedente. Un numero che supera persino quello della condanna europea del 2013, la sentenza Torreggiani, che vedeva circa 4mila ricorsi pendenti.

I ricorsi presentati ai Tribunali di sorveglianza dipingono un quadro desolante e uniforme da nord a sud del Paese. Si parla di «celle da quattro dove viviamo in sette», di «finestre senza vetri», di un’«invasione di ratti in tutti i locali e infestazione di insetti vari». I detenuti denunciano «vitto insufficiente e scadente», «mancanza di acqua calda», «file mostruose per andare in bagno» e un «clima di paura». Come se non bastasse, emerge una constatazione amara: «Non tutti si possono permettere di avere una vita da detenuto. È come essere un senza tetto». Queste condizioni, giudicate in violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, hanno portato a 10.097 istanze solo nel 2024, di cui ì5.837 accolte, concedendo ai ricorrenti uno sconto di pena o un risarcimento di 8 euro per ogni giorno di detenzione in condizioni illegittime.

«Oggi assistiamo a quelle stesse violazioni, e in misura ancora maggiore, ma nella generale indifferenza – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – guai se a condannarci è l’Europa, poco male se a farlo sono i nostri stessi giudici. Eppure, ogni condanna per trattamenti inumani è un richiamo alla nostra legalità costituzionale». Il meccanismo risarcitorio è stato introdotto nel 2014 come rimedio al sovraffollamento in seguito alla condanna di Strasburgo, tuttavia sono tanti coloro che non chiedono il risarcimento, spesso a causa della «estrema fragilità di molti, in particolare stranieri». Inoltre, Antigone denuncia una «enorme disomogeneità» nei tassi di accoglimento: si va dall’86,7% di Salerno al 27,8% di Catanzaro, a testimonianza di un’applicazione frammentaria e arbitraria del diritto.

Di fronte a questa emergenza, la campagna “Inumane e degradanti. Il carcere italiano è fuori dalla legalità costituzionale” avanza una serie di proposte. Si chiedono misure deflattive immediate, come clemenza e un ampliamento significativo delle misure alternative, per raggiungere l’obiettivo «zero sovraffollamento». Si propone di consentire telefonate quotidiane e di dare piena attuazione al diritto all’affettività. Secondo Antigone, è necessario un cambio di passo verso la modernizzazione: approvando un nuovo regolamento, installando telecamere negli spazi comuni e garantendo trasparenza su morti e suicidi. Altri pilastri sono il ritorno al sistema delle celle aperte per almeno otto ore al giorno, l’abolizione dell’isolamento disciplinare per i minori e la sua drastica riduzione per gli adulti, e un piano straordinario di assunzioni di personale qualificato. Non mancano le richieste di abrogazione di norme ritenute dannose, come il reato di «rivolta penitenziaria» e il cosiddetto «decreto Caivano», accusato di aver «distrutto il sistema della giustizia minorile». L’appello è anche a Regioni, ASL e Scuole per un coinvolgimento attivo.

Già alcuni mesi fa, i garanti dei detenuti avevano inoltrato diverse richieste al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per cambiare il modo in cui vengono trattati i carcerati e migliorarne le condizioni di detenzione. Le istanze sono sfociate dalla Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, tenutasi a Roma lo scorso 18 giugno. Nello specifico, i garanti hanno chiesto che venga assicurato ai detenuti il diritto ad accedere ai colloqui intimi, che le celle vengano lasciate aperte durante il giorno, che in estate venga garantita l’ora d’aria tutti i giorni evitando le ore di caldo cocente (tra le 13 e le 15), nonché l’indulto per 16mila persone attualmente ristrette in carcere per reati minori.

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processo a un compagno maoista in Olanda – la nostra solidarietà

da secours rouge

 

En juillet 2025, la police néerlandaise a fait une descente au domicile d’un militant de l’organisation maoïste Communistisch Comité van Nederland.  Il a été arrêté dans son lit, transporté à l’autre bout du pays, à Dordrecht, et détenu pendant 18 heures. Il est accusé de sédition pour avoir dénoncé le rôle des entreprises opérant aux Pays-Bas dans le génocide en cours en Palestine. Par ailleurs, l’État néerlandais a imposé des interdictions de circulation temporaires, notamment d’entrer dans les zones entourant les entreprises Fokker GKN et Maersk. Il passera en jugement le 4 novembre 2025.

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dear comrades 

Soccorso Rosso proletario sends maximum  solidarity and informs and calls proletarian and revolutionary movement in italy, for make messages and actions

they touch one, they touch all!
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Si allunga il processo per Anan, Ali e Mansour – Chiesta l’audizione dell’ambasciatore israeliano per il 21 novembre

E’ ripreso oggi il processo italo-israeliano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. La fase istruttoria, che doveva chiudersi oggi, è stata ulteriormente dilatata al 21 novembre per ascoltare l’ambasciatore israeliano. Così la requisitoria dell’accusa slitta al 28 novembre, le arringhe della difesa e le dichiarazioni degli imputati al 19 dicembre.
Non sappiamo ancora se ci sarà sentenza quel giorno, ma sappiamo di sicuro che Anan vedrà prolungarsi di un altro mese la conclusione del primo grado di giudizio.
Anan è apparso in videoconferenza dimagrito. Per salutarlo abbiamo esposto bandiere e kefiah. Subito dopo le abbiamo dovute rimuovere perché PM e presidente della corte minacciavano di sospendere l’udienza. Fuori del Tribunale era presente un piccolo presidio di solidarietà.

Nell’udienza di oggi, in presenza della giudice a latere trasferita, sono state compiute dai periti alcune precisazioni sulle traduzioni dall’arabo, richieste dal PM, e dall’ebraico, richieste dalla difesa. Quest’ultima aveva richiesto la traduzione di un documento, tratto dal sito della pagina Facebook dell’IDF (Brigata Militare Jenin), e in particolare del contenuto di un cartello posto all’entrata della caserma di Avnei Hefetz, in cui si dà il “benvenuti al comando militare di Avnei Hefetz”
Abbiamo “scoperto” così che Avnei Hefetz è anche il nome di un insediamento militare israeliano responsabile dell’occupazione, e come tale obiettivo legittimo da parte della resistenza palestinese.
Il carattere militare di Avnei Hefetz è centrale in questo processo, perché tutta l’ipotesi accusatoria si fonda sul fatto che quando si parla di Avnei Hefetz debba farsi riferimento a un insediamento di civili che sarebbe stato l’obiettivo individuato dalla resistenza palestinese per un attentato.
Non contenta, la PM ha prima incalzato il suo perito fino a farle dire che di Avnei Hefetz ce ne sono 2, dopodiché ha chiesto di far entrare nel processo un documento redatto dall’ufficiale di collegamento tra Israele e il Sud Europa che afferma che Avnei Hefetz deve essere indicata come un insediamento di 2000-3000 abitanti.
Trattandosi di un documento con contenuto dichiarativo, per aggirare le regole codicistiche in base alle quali le dichiarazioni devono essere rese oralmente nel contraddittorio delle parti e in pubblica udienza, la Corte ha ritenuto di disporre l’audizione dell’ambasciatore israeliano o un suo delegato.
Probabilmente quindi, il 21 novembre, lo stato genocida di Israele sarà presente all’interno di un’aula giudiziaria italiana in veste accusatoria, e a nulla sono valsi i richiami della difesa a una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel 2024, in cui si fa divieto a tutti gli Stati delle nazioni unite di cooperare per il mantenimento dello status quo nei territori occupati da Israele.
A controprova è stata accolta la richiesta della difesa di far rientrare nel processo Leopold Lambert, professore e studioso degli insediamenti coloniali in Cisgiordania, o un altro dei tanti testimoni esclusi all’inizio del processo, per spiegare cosa si celi dietro i cosiddetti insediamenti israeliani ed in particolare dietro Avnei Hefetz.

Il 21 quindi verranno sentiti l’ambasciatore israeliano o un suo delegato, il testimone della difesa a controprova, e la perita, per delle precisazioni su tre nuovi documenti delle Nazioni Unite forniti oggi, due dei quali prodotti dalla difesa, da cui emergono i dati terribili di questi due anni di genocidio, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.

Oggi un bambino è stato ucciso a Ramallah, mentre il nazista Ben-Gvir diffondeva un video in cui mostrava numerosi prigionieri palestinesi ammanettati in modo brutale e disumano ed invocava la pena di morte per i “terroristi”. Dal 7 ottobre 2023, le forze di occupazione e i coloni hanno intensificato i loro attacchi in Cisgiordania, provocando il martirio di 1.062 palestinesi e il ferimento di circa 10.000 persone, oltre all’arresto di oltre 20.000 palestinesi, tra cui 1.600 bambini.

Per il 21 novembre è previsto anche l’appello per Tarek Dridi, un altro prigioniero per la Palestina, condannato a 4 anni di carcere per gli scontri del 5 ottobre 2023.

Facciamo perciò appello a presidiare i 2 processi senza dimenticare nessuno, perché la Resistenza del popolo palestinese non si arresta e non si processa.

La Resistenza è l’unica speranza di un popolo senza speranza, e va difesa.

Anan, Ali, Mansour e Tarek Liberi!

Venerdì 31 ottobre, Presidio al Tribunale dell’Aquila per la liberazione di Anan Yaeesh, in sostegno della Resistenza palestinese

Riprenderà domani, con la chiusura dell’istruttoria dibattimentale, il processo italiano alla resistenza palestinese, che vede imputati, con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

In occasione dell’udienza, saremo ancora una volta in Presidio davanti al Tribunale dell’Aquila, venerdì 31 ottobre dalle ore 9:30, per reclamare la liberazione di Anan, ingiustamente detenuto da oltre 21 mesi nelle carceri italiane, e l’assoluzione di tutti e tre i cittadini palestinesi, perché la resistenza non è terrorismo e non si processa.

Il vero terrorismo sono le bombe dell’imperialismo, fornite allo stato genocida di Israele per il profitto di pochi criminali che si credono i padroni del mondo.

Terrorista è lo stato sionista di Israele, che non ha mai smesso di bombardare e uccidere, a Gaza come in Libano, come in Cisgiordania, con il silenzio e la complicità del nostro governo.

In una sola notte a Gaza sono stati uccisi almeno 104 palestinesi (tra cui 46 bambini e 20 donne), chi è il terrorista?

In tre settimane di finta tregua Israele ha violato il cessate il fuoco almeno 80 volte, uccidendo almeno 211 semiti palestinesi, ma il nazista Trump ha detto che Israele fa bene a “reagire”, perché “hanno ucciso un soldato israeliano”. Chi è l’antisemita?

Nessuna pace e nessuna giustizia è possibile sotto occupazione, né in Palestina, né in Italia, dove si processa un partigiano palestinese solo perché lo vuole lo Stato illegale israeliano.

La deportazione di Anan Yaeesh a centinaia di chilometri dal foro competente e dal suo avvocato, lo svolgimento e i tempi del processo alterati in maniera anomala che compromettono gravemente il suo diritto alla difesa, le irrituali e reiterate richieste del Pubblico Ministero di far rientrare nel processo annotazioni provenienti dai servizi segreti israeliani e statunitensi, il rigetto di quasi tutti i testimoni della difesa, stanno a dimostrare che questo è un processo politico, basato essenzialmente sulle tesi dello Stato genocida di Israele, che mira a criminalizzare la solidarietà e la resistenza palestinese. Un processo assurdo, in cui l’accusa non è riuscita a dimostrare alcun coinvolgimento di Anan e dei suoi due amici palestinesi in azioni violente, né contro civili né contro coloni israeliani. Tanto meno è riuscita a provare che le azioni contestate si siano mai verificate. I 15 verbali di interrogatori estorti dallo Shin Bet su prigionieri di Tulkarem privati di assistenza legale, sottoposti a corte marziale e deportati nelle carceri israeliane, sono stati esclusi dal processo solo per ragioni codicistiche, quindi la vigilanza democratica deve rimanere alta intorno a questo processo.

Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare, ma in particolar modo il mondo dell’informazione, perché tutt’ora sussiste il pericolo che i vertici politici e giudiziari italiani cedano alla richiesta di Israele, che vuole la testa di Anan.

La Resistenza non si arresta!

La Resistenza non si processa!

Libertà per Anan, Ali e Mansour!

Continuiamo a lottare per l’autodeterminazione del popolo palestinese, la fine dell’occupazione e dell’apartheid.