Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

L’Italia arma la “repressione” che soffoca l’Egitto

Un decennio di cooperazione anti-migranti: da Roma per al-Sisi elicotteri, tecnologie (e manutenzione), motovedette e addestramento. E i rapporti si sono intensificati tra il 2016 e il 2019, dopo l’omicidio di Giulio Regeni

di Valentina D’Amico

Dall’Egitto non partono più, o quasi, imbarcazioni di migranti irregolari. Lo dice l’Euaa, European Union agency for asylum, in un rapporto pubblicato a luglio scorso. Il risultato è stato raggiunto grazie a una legislazione severa contro il traffico di esseri umani introdotta dal Cairo nel 2016 e che prevede per i trafficanti la reclusione, i lavori forzati e multe comprese tra 200mila e 500mila lire egiziane (circa 10mila e 25mila euro).

L’Unione europea ha sostenuto l’impegno del governo egiziano stanziando circa 60 milioni di euro tramite il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa. Un esborso che supera ogni precedente sovvenzione e che finora però, oltre all’istituzione di numeri di emergenza per denunciare casi di tratta, l’apertura di centri di accoglienza per le vittime e un progetto per creare opportunità di lavoro in 70 villaggi, il cui impatto sui tassi di migrazione non è noto, sembra essere stato destinato «alla sicurezza e al rafforzamento delle frontiere, piuttosto che affrontare le cause della migrazione irregolare», annota nel suo rapporto l’Euaa.

A BEN GUARDARE, infatti, i flussi dall’Egitto non si sono arrestati, hanno finito semplicemente per essere dirottati verso l’inferno libico dove, in soli due mesi, dicembre 2021-gennaio 2022, sono stati registrati 117.156 migranti egiziani, la seconda più grande popolazione migrante del paese (dati Organizzazione internazionale per le migrazioni). Secondo il ministero dell’Interno italiano, tra il primo gennaio e il 13 giugno 2022, sono sbarcati in Italia 3.935 egiziani (il 18% degli sbarchi del periodo), superati solo dai bengalesi.

Per Euromed Rights, tra le più grandi reti di organizzazioni per i diritti umani della regione euromediterranea, i ritardi nell’attuazione dei progetti concordati suggeriscono che la cooperazione tra Ue e Il Cairo sia semplicemente funzionale a rafforzare «la legittimità internazionale di un regime sempre più autoritario» dei cui servigi l’Unione europea ha bisogno per controllare le frontiere.

Per quanto riguarda l’Italia, la cooperazione con l’Egitto in materia di difesa e sicurezza risale alla fine degli anni Novanta e, secondo una ricerca di EgyptWide, associazione italo-egiziana con sede a Bologna, si è rafforzata di pari passo con la deriva securitaria delle politiche migratorie europee (che mettono nello stesso calderone migranti e terroristi) e il processo di esternalizzazione delle frontiere, ormai luoghi di sospensione delle garanzie giuridiche dove si viene trattenuti in attesa di rimpatrio, senza adeguata assistenza legale.

LO STUDIO DI EGYPTWIDE, concernente le relazioni sull’attività delle forze di polizia che il ministero dell’Interno italiano presenta annualmente alle Camere, rivela che nel decennio 2010-2020 l’Italia ha messo a disposizione delle forze di polizia e del National security service egiziano (specializzato nella lotta al terrorismo e alle minacce alla sicurezza nazionale): venti elicotteri dismessi dalla polizia di stato italiana, ceduti a titolo gratuito; tecnologie Afis per l’identificazione delle persone migranti prima dell’arrivo alle frontiere esterne europee, la cui installazione e manutenzione annuale sono curate dal Servizio di polizia scientifica italiano; motovedette, veicoli di terra e altro equipaggiamento per il pattugliamento del territorio e delle acque nazionali; oltre 62 corsi di formazione, curati dal Dipartimento centrale affari generali della polizia di stato o dall’Arma dei carabinieri presso centri di addestramento in Italia e in Egitto; il distaccamento di esperti in materia di contrasto al terrorismo internazionale e migrazioni presso l’ambasciata italiana al Cairo.

Una cooperazione che, segnala EgyptWide, non s’è arrestata nemmeno dopo «la promulgazione dell’embargo sulle forniture di sistemi d’arma al nuovo governo egiziano» stabilito dal Consiglio affari esteri dell’Ue nel 2013 «a seguito di massicce violazioni dei diritti umani per mano delle forze di sicurezza».

Il 2013 è stato l’anno del colpo di stato e dei massacri in due piazze del Cairo, Rabia al-Adaweya e al Nahda, quando oltre 900 persone furono uccise durante le proteste contro l’estromissione del presidente eletto, Mohamed Morsi, per mano del generale Abdel Fattah al-Sisi. Più di 650 partecipanti condannati «fino a 25 anni di carcere, sottoposti a isolamento e spesso torturati, altri 75 condannati a morte al termine di processi clamorosamente irregolari», ha denunciato Amnesty International.

L’avvio della cosiddetta «lotta al terrorismo» promossa da al-Sisi, in risposta alla minaccia di gruppi armati di matrice fondamentalista, si è tradotta poi in una sistematica repressione di qualsiasi forma di dissenso, anche pacifica, attraverso «il ricorso a sparizioni forzate, torture ed esecuzioni extragiudiziali per mano delle forze armate egiziane contro presunti combattenti e non solo», denuncia EgyptWide.

«SAPPIAMO che la polizia egiziana è coinvolta fino ai massimi vertici in gravissimi abusi dei diritti umani – dice Alice Franchini, ricercatrice di EgyptWide – Gli stessi presunti omicidi di Giulio Regeni sono alti ufficiali dell’Nss, l’apparato di sicurezza egiziano, per tutti questi anni interlocutore privilegiato delle autorità italiane del ministero degli interni e della polizia. Una cooperazione che non è stata interrotta neanche a seguito dell’omicidio di Regeni, l’offerta formativa più significativa si concentra proprio negli anni tra il 2016 e il 2019».

Proprio il giorno in cui arriva al Cairo il nuovo ambasciatore italiano, Giampaolo Cantini, il 13 settembre 2017, a un anno dal ritiro del rappresentante diplomatico italiano in seguito all’omicidio del ricercatore italiano, è stato dato avvio al progetto Itepa, International training at Egyptian police academy, volto a realizzare, all’Accademia di polizia del Cairo, un Centro internazionale di formazione specialistica per il controllo delle frontiere e la gestione dei flussi migratori indirizzato a 310 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di 21 paesi africani. Al termine di Itepa nel 2019, è stato avviato Itepa2 che sarebbe dovuto terminare a settembre 2022 ma sul sito del ministero dell’Interno risulta ancora in attuazione.

ENTRAMBI SONO STATI finanziati con il Fondo per la sicurezza interna dell’Ue a disposizione dell’Italia: poco più di due milioni e 147 mila euro per Itepa e un milione e 64 mila euro per Itepa2. «Fondi che vanno inevitabilmente a vantaggio del ministero dell’Interno egiziano», ha scritto il 14 aprile 2020 il parlamentare europeo Miguel Urbán Crespo del gruppo della Sinistra Due/Ngl in un’interrogazione alla Commissione europea per sapere «quale meccanismo o processo esista per verificare l’uso finale dei finanziamenti… e per valutare l’impatto sui diritti umani di questi programmi».

La Commissione ha risposto di essere «consapevole della violazione dei diritti umani in Egitto» e che la tutela degli stessi è «tematica trasversale in ogni ambito formativo». Finora «le autorità italiane non hanno fornito alcuna risposta soddisfacente a questi interrogativi», chiosa EgyptWide.

da il manifesto

Tortura al carcere di Santa Maria Capua Vetere, altri 41 agenti indagati

Altri 41 agenti di Polizia penitenziaria sono stati iscritti nel registro degli indagati, con l’accusa di atti di tortura, dal procuratore aggiunto Alessandro Milita e dai sostituti Alessandra Pinto e Daniela Pannone che indagano sulla «orribile mattanza», come la definì allora il Gip, del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).

Malgrado alcune telecamere che risultarono inspiegabilmente spente proprio in quel giorno in alcune zone del penitenziario, le immagini dei pestaggi riprese da altre videocamere hanno permesso alla procura di Capua Vetere di identificare altri tra quel centinaio di poliziotti che ancora mancavano all’appello e che comparivano, con casco e manganelli, mentre infierivano sui reclusi.

Per quei fatti, ad aprile scorso, tra gli allora 120 indagati, sono stati rinviati a giudizio 107 persone tra agenti e funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, e il processo si aprirà il prossimo 7 novembre davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Non per tutti, però: 3 di loro, 3 poliziotti, hanno patteggiato e chiesto il rito abbreviato. Per questi nei prossimi giorni si terrà l’udienza preliminare davanti al Gup Pasquale D’Angelo. Nell’inchiesta sono rientrati anche i 15 indagati per la morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, che secondo alcuni testimoni subì violenze il 6 aprile 2020 ma morì il 4 maggio 2020 dopo molti giorni di isolamento. Inizialmente la sua morte venne classificata come suicidio dal Gip Sergio Enea che la stralciò dal fascicolo, per poi reintegrarla dopo il ricorso della procura.

Mentre la direttrice del carcere della «mattanza», Elisabetta Palmieri, è stata sostituita dal Dap più di un anno fa, non tanto per quei fatti a cui la responsabile del carcere si è sempre detta estranea (e infatti non è indagata) ma per una irregolarità commessa durante una visita ispettiva della senatrice del M5S Cinzia Leone (si fece sostituire dal «suo compagno, soggetto estraneo all’amministrazione», motivò il capo del Dap Petralia).

Ora, con difficoltà gli inquirenti hanno individuato attraverso le immagini altri 41 agenti accusati a vario titolo di aver partecipato al linciaggio. E così la procura ha chiesto e ottenuto dal Gip la proroga delle indagini per poter identificare anche gli altri. Di questi 41 pubblici ufficiali indagati, 27 sono attualmente in servizio al carcere napoletano di Secondigliano, 4 in quello di Avellino e 10 ancora a Santa Maria Capua Vetere.

Nel processo che inizierà il 7 novembre il Garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, si è costituito parte civile «e il mio legale, l’avvocato Francesco Piccirillo, mi ha confermato – ha spiegato Ciambriello che fu tra i primi a denunciare le violenze – che questa richiesta di proroga delle indagini rappresenta un ulteriore riscontro non solo della fondatezza della mia denuncia e di quella di tanti detenuti, fatte già poche ore dopo le violenze, ma soprattutto del fatto che esiste una volontà ferma da parte dei magistrati di restituire verità e giustizia. Le 41 persone adesso indagate potevano essere riconosciute già molto tempo prima, se solo esistessero sui caschi delle forze di polizia dei numeri o anche segni identificativi, che a mio avviso sono fondamentali non solo per chi entra in tenuta antisommossa nelle carceri, ma anche per chi agisce nelle piazze, durante le manifestazioni sindacali o studentesche».

di Eleonora Martini, da il manifesto

Gli interventi all’Assemblea proletaria anticapitalista – CAMPAGNE IN LOTTA: “Non è solo una lotta per gli immigrati ma una lotta di liberazione per tutti e tutte”

Riprendiamo, dal blog Proletari comunisti, la pubblicazione di alcuni degli interventi all’Assemblea di Roma.

Quello che viene nascosto anche da chi denuncia la grave condizione degli immigrati e il razzismo: LA LOTTA! 

CAMPAGNE IN LOTTA

Gli immigrati con cui facciamo la lotta sono tra Foggia e il Piemonte. La rete Campagne in lotta esiste da 10 anni circa, all’indomani della grande rivolta di Rosarno, in cui un gruppo di persone solidali italiane e lavoratori immigrati braccianti si autorganizza principalmente sui temi dell’ottenimento del permesso di soggiorno per tutti, sulle condizioni di lavoro e le condizioni di vita in generale. Abbiamo fatto in questi anni lotte in Puglia, in Calabria, in Piemonte ma anche in tante altre parti d’Italia senza appellarci a nessun partito politico né ad alcun sindacato confederale. Non è solo una lotta per gli immigrati ma una lotta di liberazione per tutti e tutte.

Soprattutto quest’estate ci sono stati ulteriori momenti in cui queste persone sono scese in strada per rivendicare ancora una volta il permesso di soggiorno senza condizioni. E’ successo a giugno in Piemonte dove gli immigrati erano costretti a vivere, a dormire per strada perché il Comune non dispone in alcun modo di un alloggio per i lavoratori stagionali e li lascia a dormire per strada nel parco per poi sfruttarli tutti i giorni nelle campagne ancora una volta. A Foggia dove ormai da anni le persone

scendono in piazza a giugno, siamo stati in strada all’indomani di gravissime aggressioni ai lavoratori che vanno a lavorare in bici e vengono attaccati da persone razziste del posto, prese a calci a sassate, e per fortuna decidono di non stare zitti, di scendere in strada e di rivendicare ancora una volta il diritto di esistere; ancora una volta siamo scesi in strada a fine agosto sempre su queste questioni. Questa lotta negli ultimi anni soprattutto ha scelto di essere molto conflittuale e di optare per strumenti che non sono appunto il corteo, la passeggiata, ma che siano azioni che negli anni hanno discretamente rotto le scatole ai Palazzi del potere, bloccando strade, bloccando i cancelli dell’industria di trasformazione – in questa assemblea ci sono compagni che sono stati con noi davanti a quei cancelli – bloccando il porto di Gioia Tauro, il casello autostradale di Foggia e tanto altro.

E hanno avuto dei risultati perché oggi a Foggia le persone immigrate hanno un rapporto di forza con la questura, sono riusciti a ottenere un gran numero di permessi di soggiorno, a migliorare le loro condizioni soprattutto di lavoro. Un esempio lampante che ci raccontavano quest’estate i nostri compagni è il fatto che da 2/3 anni a questa parte tantissimi lavoratori immigrati sono andati via dall’Italia per le condizioni di lavoro insopportabili e soprattutto per l’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di essere regolari in questo paese. Sappiamo che il piano delle leggi sull’immigrazione è profondamente razzista, questo ha provocato il fatto che c’è una grandissima richiesta di lavoratori in agricoltura quindi c’è tanto lavoro, gli ortaggi e la frutta marciscono nei campi, nessuno li raccoglie, e per fortuna dopo anni di lotte gli operai braccianti hanno iniziato a dire ai padroni: sapete che c’è? A meno di 65/70 € al giorno noi non veniamo a lavorare; visto che nessuno viene a lavorare, visto che c’è una grandissima mancanza di lavoratori, adesso il prezzo lo imponiamo noi. Questa è una vittoria grandissima e un passo avanti se si pensa che fino ad anni fa la gente in provincia di Foggia per la maggioranza lavorava a cottimo a 3 € a cassone, per parlare solo del pomodoro. Questo per dire che la lotta autorganizzata ha fatto passi da gigante, pure essendo una lotta che è stata pochissimo appoggiata negli anni, se non da compagni e compagne solidali e che come tante altre lotte vi è stata una forte repressione, siamo pieni di fogli di via, denunce e processi.

Ma come si diceva prima: è una scelta di vita! Quindi uno decide anche di usare il proprio privilegio di avere un passaporto per dare il supporto a queste lotte.

E riallacciandomi al discorso di prima che sulle condizioni disastrose delle carceri e delle torture che ancora avvengono in Italia, il regime di 41 bis, non possiamo dimenticarci quello che avviene nei CPR, nei centri di detenzione per gli immigrati dove si viene reclusi solo per il fatto di non avere un documento. E’ notizia di poche settimane fa dell’ ennesimo suicidio che è un omicidio di Stato come tanti ne avvengono; questi centri sono luoghi di tortura e di violenza estrema che non possiamo pensare lontani da noi, fanno parte della nostra vita, il nostro governo li ha istituiti e finanzia i paesi torturatori con cui facciamo gli accordi.

Insieme a compagni immigrati e tanti alleati non solo in campagna ma anche in città, è nato un coordinamento che si chiama “documenti per tutti”. A Roma abbiamo fatto già tante cose insieme, anche con il movimento di lotta per la casa, con il coordinamento regionale sanità, e si sta pensando di organizzare quando il governo si sarà installato e quindi immaginiamo fine ottobre/inizi novembre a qualche azione conflittuale forte per dare un segno al governo di destra, del fatto che non possono pensare di decidere quello che vogliono sulla pelle delle persone.

E’ necessario portare avanti e solidarizzare con questa lotta che è una lotta per la libertà di movimento e per il permesso di soggiorno; non possiamo pensare che sia solo una lotta degli immigrati perché da un lato le condizioni, i dispositivi di controllo delle vite e di repressione che negli anni il governo ha applicato sugli immigrati dopo sono stati applicati sempre sul resto della popolazione, si pensa ai campi container, alle tendopoli, a tutta una serie di dispositivi punitivi proprio della libertà personale; e poi perché il fatto che le persone non sono regolari e sono costrette a vivere in condizioni indegne e quindi accettare anche condizioni di lavoro devastanti, ci riguarda tutti, perché è ovvio che anche le nostre condizioni lavorative e quello che noi saremo costretti ad accettare sarà al ribasso.

L’antirazzismo non è quello che si fa in campagna elettorale o in Parlamento, quello sotto i riflettori che piace tanto a certa sinistra, ma è quello che possiamo fare tutti e tutte nelle strade mettendo in mezzo i nostri corpi, i nostri cuori. Insomma è la solidarietà l’arma più forte.

A Roma la polizia carica i lavoratori della Sda in lotta contro i licenziamenti. Massima solidarietà, ma sempre più necessario un fronte unico di classe contro la repressione

La polizia è intervenuta con violenza questa mattina a Roma caricando i 300 lavoratori SDA, da martedì in sciopero con l’Unione Sindacale di Base dopo il licenziamento di 17 corrieri delle filiali di Pomezia e Fiumicino. Due lavoratori colpiti con i manganelli alla testa hanno perso conoscenza e sono stati soccorsi dal 118.

Dopo il nutrito presidio di ieri, oltre 300 corrieri si sono mobilitati davanti alla sede di Poste Italiane in viale Europa, all’Eur. Alla notizia che anche oggi non sarebbero stati ricevuti dalla dirigenza di Poste Italiane, che ha anche ordinato la chiusura degli ingressi della sede, gli operai hanno tentato di organizzare un corteo, bloccati però dalle forze dell’ordine.

A quel punto i corrieri hanno effettuato un blitz nell’ufficio postale adiacente, in modo assolutamente pacifico. La polizia è intervenuta manganellando lavoratori e sindacalisti e spintonandoli fuori dallo stabile. Un corriere, colpito alla testa, ha perso conoscenza ed è caduto dalla scalinata all’ingresso dello stabile; stessa sorte per un altro lavoratore. Per entrambi è stato necessario il soccorso del 118.

USB denuncia questo ennesimo atto di repressione violenta sui lavoratori in lotta contro i licenziamenti e le politiche di concorrenza interne attuate da SDA e da Poste con la piattaforma Milkman, che causa il peggioramento delle condizioni contrattuali dei corrieri.

A nuovo governo non ancora formato si conferma che i metodi rimangono gli stessi, in perfetta continuità con i precedenti esecutivi: gli operai vanno manganellati senza pietà se osano alzare la testa.

Non ci lasceremo intimidire da questi atti di violenza: USB appoggia le lotte dei lavoratori SDA, chiede l’immediato reintegro dei lavoratori licenziati e prepara nuove iniziative di lotta.

USB- Unione Sindacale di Base

Genova 2001 non è finita / No all’estradizione di Vincenzo Vecchi

Genova 2001-Parigi 2022

A più di vent’anni dal g8 di Genova 2001, si decidono a Parigi le sorti di Vincenzo Vecchi ricercato in Italia per aver manifestato la sua opposizione ai grandi della terra.

Condannato nel 2012 ad una pena tanto pesante quanto assurda, come è stato per tutti i condannati per Genova 2001

Catturato in Francia nell’agosto 2019 dopo dieci anni di processi e quasi altrettanti di latitanza

Vincenzo si trova attualmente libero

Grazie alla mobilitazione solidale cresciuta in Francia al momento del suo arresto dopo alcune sentenze positive dei tribunali francesi, che hanno rigettato il reato di devastazione e saccheggio utilizzato dai giudici italiani, una sentenza della corte di giustizia europea rischia ora di ribaltare la decisione francese di non estradare Vincenzo

Per questo la sua libertà è di nuovo in pericolo e i comitati di solidarietà sono tornati per le strade

Il prossimo 11 ottobre la corte di cassazione di Parigi prenderà una decisione che potrebbe essere quella definitiva

Come familiari, amici e compagni di Vincenzo invitiamo chiunque possa e voglia farlo
a mobilitarsi anche in Italia

Dal prossimo 1º ottobre In ogni maniera, anche solo con un presidio, un volantinaggio, uno striscione, un disegno o una scritta su un muro (se puoi, comunicaci quanto hai intenzione di fare e, se possibile, inviaci immagini da condividere con i comitati francesi, a questo contatto: info@sosteniamovincenzo.org)

in vista di un corteo a Milano sabato 8 ottobre ore 15,00 P.ta Genova

Per sostenere che le ragioni di chi allora scese per le strade di  Genova sono oggi ancora più giuste ed urgenti

Per ribadire che i governanti non vanno lasciati tranquilli mentre devastano e saccheggiano il pianeta su cui viviamo per protestare contro una giustizia europea ostaggio degli interessi commerciali e militari per ricordare che il carcere non è una soluzione ma un problema

Nessuna estradizione, nessuna prigione! Vincenzo libero, liberi/e tutti/e!

Assemblea di sostegno a Vincenzo, 18 settembre, Milano (prossimi appuntamenti: www.sosteniamovincenzo.org [1])

Links: ——[1] http://www.sosteniamovincenzo.org

Il tribunale di Modena sancisce il diritto dei padroni all’estorsione e allo schiavismo dei lavoratori, considerando lo sciopero un atto criminale e le manifestazioni di esso un “reato di piazza”. Solidarietà al Si Cobas, costruire un fronte unico di classe contro la repressione!

Per il Tribunale di Modena Italpizza è lo Stato e il sindacato deve risarcirla come tale

Riprendiamo dalla pagina facebook del Si Cobas di Modena la notizia sull’assurda decisione del Tribunale, l’ennesimo precedente che si inserisce nella strategia di normalizzazione del dissenso sociale che sta diventando sempre più articolata a livello nazionale

Oggi, lunedì 3 ottobre 2022, nel corso dell’udienza preliminare per il maxi-processo Italpizza, il Tribunale di Modena ha preso due decisioni che segnano un precedente epocale nella repressione al sindacalismo di base:

il giudice ha infatti accolto la richiesta dell’azienda di indicare il sindacato S.I Cobas come responsabile civile per i presunti danni produttivi all’azienda, con l’esorbitante richiesta (presentata senza alcun dettaglio o giustificativo) di “almeno 500.000 euro”.

Inoltre ha accolto il diritto di Italpizza di costituirsi come parte civile per tutti i reati presuntamente commessi nei lunghi mesi di mobilitazione davanti ai cancelli.

Il tribunale non solo quindi concede la possibilità di risarcire i danni derivati dai ritardi nelle consegne dovuti ai blocchi – considerando quindi lo sciopero un atto criminale, in barba a quarant’anni di giurisprudenza – ma anche per tutti i “reati di piazza”: resistenza, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, presunte lesioni a poliziotti…

Se un imputato venisse riconosciuto colpevole, ad esempio, di aver mandato a quel paese un ispettore, non solo dovrebbe scontare la condanna penale, ma anche risarcire Italpizza!!

In una parola: Italpizza si fa Stato…

Una decisione di questo tipo, unica nella storia giuridica repubblicana, costituisce un deciso passo in avanti nella costruzione del regime autoritario nel nostro Paese. È evidente come questi due assunti minaccino direttamente la vita stessa dei sindacati, di base e non solo.

Il S.I. Cobas non si lascia comunque intimidire e proseguirà nella lotta per la giustizia sociale, come prima, più di prima.

Russia, 2419 detenzioni durante le proteste contro la mobilitazione dal 21 al 26 settembre 2022. Ma le mobilitazioni contro la guerra continuano: “in trincea mandateci Putin!”

Contro i governi imperialisti crescerà inevitabilmente e sempre di più l’opposizione proletaria e popolare, organizzata, delle masse, l’odio contro i propri governi che hanno voluto questa guerra e l’hanno rovesciata sui popoli e i lavoratori.

Faremo controinformazione il più possibile con questo blog per fare crescere nel nostro paese la conoscenza e la solidarietà dei lavoratori e delle masse con chi, all’interno del regime russo, esprime la sua opposizione a questa guerra, una guerra provocata dall’espansione a est della NATO e dall’imperialismo occidentale.

La  via d’uscita a questa infamia imperialista è la lotta al proprio imperialismo, è la costruzione della forza proletaria che rovesci in ogni paese i propri governi, il proprio Stato. Vale per i proletari e le masse in Russia come in Italia, come nel mondo.

L’opposizione alla guerra all’interno della Russia ritorna in campo proprio in questi giorni, in particolare dopo l’annuncio di Putin di una “mobilitazione parziale” dei civili per combattere in Ucraina.

In questa fase la Russia sta registrando un arretramento militare sul campo subendo il contraccolpo dell’esercito ucraino armato e diretto dalla NATO e il 21 settembre Putin ha annunciato la mobilitazione di 300 mila riservisti. In quello stesso giorno in centinaia di migliaia si sono ammassati ai diversi confini della Russia formando km di code per lasciare il paese, su strada e per via aerea da Mosca verso qualsiasi destinazione possibile per evitare la coscrizione.

Ma non c’è solo la fuga, in migliaia sono scesi in piazza per protestare. In 42 città, le forze di sicurezza hanno arrestato 1.330 persone. “In trincea mandateci Putin” hanno gridato.

Un’opposizione al regime di Putin c’è sempre stata, ma era ed è un’opposizione “interessata” di elementi neonazisti, ricchi padroni, oligarchi sostenuti ed alimentati dall’imperialismo USA/NATO, che è altra cosa rispetto alle masse coraggiose che, fin dall’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina, hanno manifestato la loro opposizione alla carneficina in corso con proteste, manifesti, adesivi contro la guerra nei quartieri, con petizioni, sfidando la repressione, gli arresti o le condanne amministrative penali, i licenziamenti e le espulsioni di studenti dall’università da parte di un regime che, con la guerra che sta portando avanti in Ucraina, inasprisce sempre di più il giro di vite delle voci del dissenso.

Masse che non trovano ancora forze comuniste e/o democratiche pronte a sostenerle. Nessuna sorpresa da parte dei sedicenti comunisti che arrivano a sostenere il proprio imperialismo. I revisionisti, i falso comunisti e i trotzkisti come sempre fanno sentire ai proletari e alle masse tutta la loro nullità. Il Partito Comunista Operaio della Russia (Pcor) definisce «imperialista» l’aggressione russa ma subito ci aggiunge che «l’intervento armato della Russia contribuisce alla salvezza della popolazione del Donbass». Per questo, il partito russo assicura che «non si opporrà a tale reale sostegno», al contrario, «nel momento in cui le condizioni hanno reso necessario esercitare violenza verso il regime fascisteggiante di Kiev, noi non ci opponiamo nella misura in cui ciò favorisce il popolo lavoratore».

Il Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR) è presente nella Duma e in vari parlamenti nazionali. Il PCFR si è rifiutato di definire «imperialista» il conflitto, sostenendo che si tratta di una «guerra di liberazione nazionale contro l’internazionale del nazismo e il nuovo ordine degli Usa e della Nato». I trotkisti di Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (RWP) fanno un appoggio “critico” (sic!) al PCFR. Nel maggio 2019 parte della RWP si è divisa e si è fusa nella Tendenza Marxista Internazionale.

Le masse in Russia fanno da sole e si dovranno per forza sbarazzare con la lotta, la lotta rivoluzionaria, di questi parassiti.

Putin ha fortemente limitato la libertà di riunione delle masse russe e, nel corso di una guerra, chi si oppone è “traditore”, molti media hanno smesso di lavorare. Nonostante ciò, tra fine febbraio e inizio marzo, nei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina, ci sono state partecipate proteste in decine di città russe, tra cui Mosca e San Pietroburgo, le due più popolose, proteste duramente represse dalle forze dell’ordine con 1900 arresti, e nelle settimane successive il regime russo aveva progressivamente intensificato la repressione del dissenso, con nuove norme ancora più stringenti sulla libertà d’espressione.

Secondo il sito indipendente russo OVD-Info, che si occupa di violazioni di diritti umani, della persecuzione politica in Russia, una ong nata durante le proteste di massa del dicembre 2011, nei giorni successivi e fino al 7 marzo erano state arrestate quasi 5mila persone in 69 città. Le fonti su cui attinge il proprio lavoro OV-Info si basano sui dati provenienti dai comunicati stampa del Ministero degli affari interni, dai rapporti dei servizi stampa dei tribunali, dai messaggi che ricevono sul loro sito e sui numeri di telefono che raccolgono le denunce.

Il 4 marzo è stata emanata una legge che criminalizza la “diffusione di informazioni deliberatamente false sulle forze militari della Federazione Russa”: da allora chi sia ritenuto colpevole di propagare feki (da fake news, in pratica tutto quello che si discosta dalla propaganda ufficiale), o anche solo di utilizzare la parola “guerra”, è passibile di condanna fino a 15 anni prigione.

L’8 aprile il ministero della Giustizia ha chiuso gli uffici di Amnesty International, Human Rights Watch, Carnegie Endowment e altre dodici organizzazioni straniere e internazionali in Russia. L’agenzia li ha esclusi dal registro delle succursali e degli uffici di rappresentanza di organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative estere senza fini di lucro per “violazione della legge”, senza specificare quali fossero le “violazioni”.

La coscrizione di 300 mila militari non ha ottenuto l’effetto sperato da Putin e si hanno notizie di migliaia di russi mobilitati per il servizio militare in Ucraina sono stati rimandati a casa dopo essere stati ritenuti non idonei al servizio. Il quotidiano russo indipendente in esilio Novaya Gazeta ha stimato a oltre 250.000 il numero di coloro che erano fuggiti dalla Russia dopo la mobilitazione (fonte: Aljazeera)

Anche tra le fila dei i militari russi aumenta il numero dei disertori, degli obiettori o degli evasori, e le pene sono l’arresto fino a 10 anni nel caso di conflitto. Soldati carne da cannone reclutati nelle zone più povere e periferiche.

Militari che si rifiutano di combattere ovviamente sono anche tra le fila ucraine e bielorusse.

L’opposizione alla guerra in Russia viene alimentata dalle madri dei soldati che chiedono e pretendono notizie sui propri figli di cui non sanno più nulla da settimane o che si attivano diffondendo informazioni utili per poter rifiutare l’arruolamento o il ritorno al fronte per chi è tornato per l’avvicendamento.

Di seguito i dati delle mobilitazioni dal sito OVD-Info sugli arresti in Russia di chi ha manifestato contro la guerra

24 febbraio: 1.965

25 febbraio: 643

26 febbraio: 533

27 febbraio: 2.857

28 febbraio: 516

1 marzo: 329

2 marzo: 852

3 marzo: 498

4 marzo: 80

5 marzo: 84

6 marzo: 5.572

8 marzo: 122

13 marzo: 936

2 aprile: 215

21 settembre: 1.382

22 settembre: 14

24 settembre: 847

25 settembre: 149