Il caso Anan: Cisgiordania d’Abruzzo

Il procedimento penale che si sta celebrando all’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce ad una mobilitazione necessaria e di vasta portata.

di Avv. Giuseppe Romano – Giuristi  Democratici

Il procedimento penale che si sta celebrando a L’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce a una mobilitazione necessaria e di vasta portata

Come noto, in Cisgiornadania non è la resistenza a essere illegale ma, pacificamente dal 1967, tale è la condotta di quello Stato di Israele che, pur condannato dal consesso giuridico mondiale a lasciare i territori occupati illegalmente, insiste nel procrastinare indisturbato la sua politica di espansione.

Quello che si va compiendo, anche in questi giorni, non è solo la filosofia dello Stato israeliano che, per dirla alla maniera di Alberto Sordi si traduce in “io occupo perché «io so io, e voi nun siete un ….»”, ma una sistematica sopraffazione agita con incendi, assassini, torture e distruzioni. Il tutto all’ombra dello sterminio in Gaza, senza la possibilità qui di invocare Hamas, ma anzi fomentando la costruzione di quell’odio quotidiano che è all’origine della tragedia del 7 ottobre.

Procedendo come in una sequenza filmica: primo frame, febbraio 2002, Anan ha 14 anni è nel suo paese Tulkarem cammina di poco dietro alla fidanzata vicino al confine militare, vanno a scuola. Secondo frame: Click! Non è questo il rumore che precede lo scatto fotografico di una sequenza che cattura la realtà, ma quello del fucile militare israeliano, reale, che le spara in testa.

Terzo frame: per 10 giorni Anan resta attaccato alla tomba della ragazza e decide come tanti giovani palestinesi di aderire alla lotta politico-militare nelle file di Fatah contro il governo nemico. Ottiene visibilità tanto da entrare nella guardia personale del presidente Arafat e venire da lui premiato, giovanissimo, con un titolo onorifico.

Entra nei servizi segreti palestinesi occupandosi di sicurezza interna e diventa tra i principali nemici in loco dello stato occupante. Per evitarne l‘uccisone viene consegnato al carcere di Gerico sotto la supervisione di Stati Uniti, Inghilterra, Egitto e Giordania che ne controllano la detenzione.

Quarto frame: nel 2006 elicotteri dell’esercito israeliano si alzano in volo su Gerico e la bombardano; Anan riesce a salvarsi e fuggire. Torna nella propria città dove cade nella trappola di un conoscente, spia dei servizi israeliani, che aprono il fuoco in un bar ferendo lui e uccidendo un amico.

Anan si salva, sventa un altro tentativo di uccisone in ospedale.

Quinto frame: tre anni di carcere in 18 prigioni subendo torture. Scarcerato nel 2010 continua la sua attività politica e studia scienze politiche ma nel 2013, vessato dalle continue pressioni anche sulla sua famiglia, decide di trasferirsi in Europa. Vive in Norvegia e Svezia per poi spostarsi in Italia dove gestisce un ristorante a Mestre. Da ultimo si trasferisce a L’Aquila.

La cosa interessante è che quanto fin ora detto sulla vita e sull’attivismo di Anan non è frutto di indagini della Digos abruzzese ma è tratto dalle di lui pacifiche dichiarazioni, rese in sede di richiesta di protezione internazionale alla commissione norvegese prima e italiana successivamente.

Ecco che questo primo dato sgombra già da un potenziale equivoco: Anan non era affatto protagonista di un rischio terrorismo, palesandosi come a dir poco insolito che chi entra in un Paese con mire destabilizzanti descriva il suo profilo antagonista alla forza pubblica, verbalizzandolo. Il primo elemento è, quindi, politico. Anan ha militato anche nell’estensione militare del partito Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Questa organizzazione rientra, sotto un profilo amministrativo, nella c.d. Black list che impedisce l’ottenimento dello status rifugiato in Europa (non ostativo ad altre forme di protezione infatti ottenute). La situazione è simile a quella in cui ci si imbatté all’arrivo a Roma Abdullah Öcalan, capo del partito curdo P.K.K. [oramai disciolto, ndr] di cui la Turchia chiese l’arresto.

Öcalan fu collocato in una casa protetta e di seguito, ne fu organizzata (dal governo italiano) la fuga con direzione Sud Africa, ai fini dell’ottenimento della protezione internazionale (poi il viaggio non andò benissimo…).

L’attuale governo Meloni, invece, non appena ricevuta la richiesta di arresto per Anan da parte di Israele, con conseguente estradizione, si è subito messo prono dando il via all’operazione – con la stessa solerte efficacia dimostrata (all’inverso) nel caso del torturatore libico Almsry…

Nelle more della scarcerazione e con tempismo a dir poco sospetto, il Pubblico ministero abruzzese richiede l’arresto chiedendo di giudicare qui fatti accaduti in Cisgiordania, utilizzando impropriamente il terzo comma dell’art 270 bis del codice penale. È passato un anno e mezzo e Anan è ancora in galera col processo ora a dibattimento. È accusato di aver promosso in Palestina un’associazione con finalità di terrorismo denominata “Gruppo di riposta rapida brigate Tulkarem“. Si badi bene che già qui esiste una prima distonia rispetto all’impianto accusatorio che fonda le proprie origini nell’appartenenza di Anan ad un’altra associazione, cioè la sopra richiamata Brigata dei Martiri di Al-Aqsa che è, come detto, nella Black list di alcuni Paesi per terrorismo.

Chi saprà diversificare e spiegare se esistono differenze di approccio tra le due fazioni? La Digos abruzzese? Questo è il punto paradosso di questo processo. Si farà sostanzialmente su fonti aperte indagando un fenomeno complesso e non certo nostrano e nelle conoscenze dei nostri inquirenti. Sgomberato il campo dalla impossibile sovrapposizione con gli attentatori di matrice islamica (pronti alla morte in nome di Allah), va chiarito che Anan non è accusato di aver ucciso civili e mai ha rinnegato la sua affiliazione politico/militare, anzi, l’ha palesata sul suo profilo pubblico.

Il punto di caduta processuale è costituito dalla differenza tra terrorismo e resistenza legittima.

Se un esule ucraino avesse cercato di aiutare i suoi connazionali dall’Italia l’avremmo processato? Per venire al caso specifico già il nome della supposta associazione che si indaga “risposta rapida” si pone in chiara connessione con la necessità di tutela dei propri connazionali quotidianamente aggrediti in un contesto che è quello di una guerra/aggressione in corso.

Si chiama diritto umanitario, e nel nostro caso non vi è dubbio che il popolo palestinese dei territori illegittimamente occupati è portatore (Convenzione di Ginevra e allegati) del diritto alla difesa. Tanto più con lo sterminio / genocidio in corso.

Anan era in Italia all’epoca del 7 ottobre e all’inizio della reazione con triplicata ferocia di Netanyahu. Nessuna e nessuno di noi è rimasto indifferente e mai avrebbe potuto esserlo il nostro imputato portatore del diritto – anzi dovere – di attivarsi per i suoi fratelli e sorelle che anche in Cisgiordania hanno subito la recrudescenza della violenza dei coloni ben tutelati dalla milizia ebraica.

A prescindere dalla fumosità complessiva del processo e di ciò che potrà o non potrà dimostrare, chiaramente, c’è la possibilità che si parli di armi, e di azioni offensive / difensive contro le prevaricazioni e le uccisioni. Del resto una foto con il fucile è davvero in questo contesto la prova di qualcosa? Se emergeranno intercettazioni in cui si discute di armi è cosa ovvia in un contesto in cui non si usano cerbottane, ma si opera nell’ambito della difesa da uno degli eserciti militari più potenti del mondo.

Le eventuali azioni sono contro i presidi dell’esercito dei coloni ed è Israele, semmai, ad aver senza dubbio in plurime occasioni superato la giurisprudenza che individua l’atto terroristico, laddove l’azione è intrapresa pur sapendo di esporre a rischio certo persone non combattenti (anziane, anzini, bambine e bambini, per lo più). Insomma il dato è che, se dobbiamo ricorrere alla c.d. prova aperta (servizi on line ecc…), allora sarebbe efficace pensare al film No Other Land, capolavoro vincitore di Oscar dove, in un misto di tragedia e poesia, ben si comprende la necessità di schierarsi senza tentennamenti.

Perché in Cisgiordania si consuma la lotta infinita tra il ricco e potente e il povero e debole; l’esproprio delle e dei pastori, la sottrazione della terra a chi la abita e la coltiva, il furto del sorriso delle bambine e dei bambini, lo spargimento di sangue degli impotenti, tutto si mescola e fa ribollire il sangue a noi spettatrici e spettatori, figurarsi nell’animo di chi ha vissuto nella propria carne la tragedia, come accaduto ad Anan.

Ho volutamente tenuto fuori dall’analisi la situazione degli altri due imputati, implicati solo per dare sostanza a un quadro associativo inesistente. I coimputati sono, infatti, a piede libero per mancanza di indizi in accoglimento delle richieste dell’avvocato Flavio Rossi Albertini e dell’avvocata Ludovica Formoso, persone preparate e tenaci che difendono Anan a cui una rete di penalisti da tutta Italia fa sapere che non saranno sole laggiù in Cisgiordania… d’Abruzzo.

per Georges abdallah verso il 17 luglio!

Il 19 giugno, il tribunale francese ha rinviato al 17 luglio la decisione sulla liberazione del compagno Georges Abdallah.
In vista della prossima scadenza intensifichiamo le mobilitazioni, come si è fatto, a livello internazionale, prima dell’udienza del 19 giugno con presidi davanti alle ambasciate e consolati di Francia e cortei in:USA: New York e SeattleCANADA : VancouverMESSICO: Città del MessicoLIBANO : BeirutTUNISIA: TunisiSPAGNA : Madrid, Barcellona e ValenciaGERMANIA : AmburgoITALIA: MilanoFRANCIA: Parigi, Tolosa, Lione, Marsiglia, Lille, Nantes, Bordeaux, Rennes , Pau, Saint-Etienne, Montpellier, Martigues

Dal corteo del coordinamento Disarmiamoli, del 21 giugno a Roma, il contributo di srp in sostegno alla resistenza palestinese e a tutte le lotte di liberazione nel mondo

Oltre 10mila persone oggi a Roma al corteo del coordinamento Disarmiamoli, contro il piano di riarmo e la difesa comune europea, la guerra imperialista, contro lo stato illegittimo e terrorista di Israele, contro la repressione e il governo Meloni.
Un corteo rumoroso composto da moltissimi giovani, immigrati, lavoratrici e lavoratori, che hanno denunciato con forza la complicità del governo Meloni nel genocidio in Palestina e la necessità della Resistenza.

Sostegno alla resistenza palestinese e a tutte le lotte di liberazione dei proletari e dei popoli, è stato il contributo del srp in questa piazza.

In particolare è stata espressa la necessità di continuare a lottare per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah, comunista libanese detenuto in un carcere francese da oltre 40 anni, e di Anan Yaeesh, partigiano palestinese arrestato e detenuto in Italia da 17 mesi e attualmente sotto processo a L’Aquila per terrorismo insieme ad altri 2 palestinesi, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

La Resistenza non si arresta e non si condanna – Esito della quinta udienza del processo in Italia ai palestinesi e dichiarazione spontanea di Anan Yaeesh

Il 18 giugno si è celebrata la quinta udienza del processo contro Anan Yaeesh, detenuto dal gennaio 2024, Ali Irar e Mansour Doghmosh, imputati con l’accusa di terrorismo internazionale. Nel corso dell’udienza la Corte ha ascoltato il proprio perito incaricato della traduzione dall’arabo dei documenti oggetto di dibattimento. Sulla stessa questione è stato chiamato a deporre anche il ricercatore Khaled El Qaisi, già impegnato come mediatore linguistico a supporto della difesa di Doghmosh.

La difesa ha sollevato eccezione, poi respinta dalla corte, perché il consulente di parte alla trascrizione delle chat in arabo è stato escluso dalla perizia a causa della “fretta impressa dalla corte” a tutto il procedimento.

Tra i testi dell’accusa è stato sentito il commissario capo in quiescenza Patrizio Cardelli, che all’epoca dei fatti ha condotto le indagini per conto della Digos. Cardelli ha parlato di “fonti aperte”, citando canali social e ricerche su google, spesso senza citare i siti, che documenterebbero, secondo l’accusa, attività terroristiche avviate o sostenute, anche sul piano economico, da Anan Yaeesh.

Tra le “prove” prodotte dall’accusa, il video dei festeggiamenti di Anan in Palestina, quando uscì da un carcere israeliano il 9 aprile del 2010, e le foto dei giovani martiri della Resistenza a Tulkarem.

Presenti in aula tra il pubblico anche rappresentanti di associazioni per i diritti umani e di amnesty international.

Anche questa volta Anan ha rilasciato una dichiarazione, che nonostante la lunga interruzione da parte del giudice e un’incongruenza con la traduzione dell’interprete, che lo stesso Anan ha notato e chiarito, abbiamo cercato di trascrivere e restituire nel suo vero significato politico (le cose tra parentesi sono deduzioni derivanti da una traduzione non del tutto ufficiale, resasi necessaria dall’ incongruenza sopra segnalata):

Buonasera a tutti
Vorrei dare il benvenuto alle persone presenti, che si sono lasciate alle spalle le proprie responsabilità e hanno preferito essere con me oggi in aula.
Grazie a tutti voi per il vostro amore e il vostro amore per la nostra causa
Ringrazio la vita che mi ha dato una famiglia grande come voi, come l’amore di una madre (palestinese)
Il governo italiano ha portato qui Adam, un bambino palestinese di Gaza, e lo ha salvato, perché la sua famiglia è stata uccisa con un razzo israeliano
Chiedo se su questo razzo sia stato scritto che è stato fabbricato in Italia
Ringrazio la polizia e la Digos di L’Aquila, perché è grazie a loro e a questa indagine, che ho finalmente svelato la posizione della polizia contro la causa palestinese
Ringrazio la Resistenza palestinese, perché è grazie alla Resistenza che gli altri sono stati smascherati e siamo arrivati ​​a sapere esattamente chi sono i nostri amici e chi sono i nostri nemici
Per anni, prima di essere arrestato, ho risposto alle domande di Digos e polizia, spiegando loro chi fossi e che cosa ho fatto
E sempre hanno mostrato il loro sostegno alla causa palestinese, dicendo di riconoscere il nostro diritto di difenderci e di lottare per la nostra libertà e la nostra terra
Dicevano anche di condannare i massacri e i crimini commessi dai militari israeliani contro il popolo palestinese, e di documentare la distruzione delle nostre case e della nostra terra da parte delle forze di occupazione israeliane
Ho scoperto finalmente che tutto questo era una menzogna
Però il popolo italiano rimane nostro amico (soprattutto i giovani)
E rimane sempre il popolo che continua a lottare contro il nazismo e il fascismo
E rimane sempre la Resistenza palestinese, che continua a lottare contro l’occupazione israeliana

Il popolo palestinese da 20 mesi sta vivendo sotto il bombardamento, sottoposto a tutti i tipi di massacri e crimini contro l’umanità, sia a Gaza, sia in Cisgiordania, sia nelle prigioni israeliane
Il mio popolo è in stato di guerra con le forze di occupazione, e io mi considero un prigioniero di guerra
Non sono uno che è stato arrestato normalmente, perché sono stato arrestato in Italia dietro richiesta delle autorità israeliane

Però siate certi che nel futuro cambierà tutto
E la Resistenza palestinese scriverà la storia
E i figli della resistenza palestinese saranno i nuovi eroi del futuro
E tutti quelli che sono complici dell’occupazione ne pagheranno le conseguenze
I nazisti vennero processati e condannati dal tribunale di Norimberga
Eichmann fu condannato a morte e giustiziato in Israele per le sue azioni e i suoi crimini
Questo sarà il destino che attende i complici dell’occupazione.

La mia libertà non mi interessa più, perché nessuno mi aspetterà fuori della prigione
Perché tutti i miei compagni e tutti i giovani i cui nomi sono stati citati nell’indagine, sono stati martirizzati dall’esercito israeliano
E hanno nutrito la terra palestinese con il loro sangue

VIVA LA PALESTINA LIBERA E ARABA!
VIVA LA RESISTENZA PALESTINESE!
VIVA TUTTI I MARTIRI PALESTINESI!

Qui le dichiarazioni dell’Avv. Flavio Rossi Albertini al termine dell’udienza: https://www.instagram.com/reel/DLDfIkJNqDL/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==

 

 

Caso Cospito: 10 condanne per corteo Milano, pene fino a 4 anni e 7 mesi

Oggi a Milano la sentenza di primo grado del processo per il corteo dell’11 febbraio 2023, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo e a sostegno dell’anarchico Alfredo Cospito. 11 le persone imputate, con richieste fino a 6 anni. I giudici hanno disposto 10 condanne, da 1 anno e 6 mesi a 4 anni e 7 mesi, e un’assoluzione per – a vario titolo – resistenza aggravata, danneggiamento e travisamento.

A nove degli imputati non sono state riconosciute le attenuanti generiche. Le motivazioni della sentenza saranno depositate in 90 giorni. Gli avvocati Eugenio Losco, Mauro Straini, Iacopo Fonte, Margherita Pelazza e Benedetto Ciccarone avevano chiesto anche assoluzioni perché non si può confondere “qualche scritta sul muro, lancio di gavettoni o piccolo danneggiamento” con la “guerriglia urbana” e perché non si può definire “criminale” chi “combatte contro qualcosa che ritiene completamente ingiusto” come il “41 bis” e le sue “assurde implicazioni”.

COMUNICATO
Stamattina si è concluso il primo grado del processo per il corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito dell’11 febbraio 2023. Corteo che ad un certo punto era stato bloccato e poi caricato dalla polizia in seguito al tentativo delle persone di restare in strada e proseguire. Dopo alcuni momenti di scontro e un fitto lancio di lacrimogeni, il corteo era stato inseguito e caricato più volte dalla polizia per alcuni chilometri.
Nonostante i lacrimogeni, le manganellate, le violenze costanti della polizia, nonostante la tortura sistematica nei confronti de* prigionier* al 41 bis e in generale nelle galere, a pagarne il prezzo è ancora una volta chi prova a mettersi di traverso e a lottare per una società migliore.
Il primo grado del processo finisce infatti con pene per tutte le persone imputate (tranne un’assoluzione) che vanno da 1 anno e 6 mesi a 4 anni e 7 mesi. Come se non bastasse, il tentativo di compagn* in aula di leggere un comunicato è stato represso con una carica da parte dei carabinieri.
È “solo” il primo grado, certo, ma la nostra fiducia nella giustizia dei tribunali è nulla e sono sentenze molto pesanti, sostenute da accuse che parlano per l’ennesima volta un linguaggio che non ci appartiene, ed etichetta alla stregua di terroristi persone che decidono di mettere la propria vita contro le ingiustizie di questo schifo di mondo.
Oggi ci sarà una manifestazione in solidarietà con chi oggi è stat* condannat* e con tutte le persone prigioniere.

L’APPUNTAMENTO È ALLE 19.00 ALLE COLONNE DI SAN LORENZO A MILANO.
INVITIAMO A PARTECIPARE PER FAR SENTIRE LORO TUTTA LA SOLIDARIETÀ DI CUI HANNO BISOGNO!

18 giugno a L’Aquila, nuovo presidio al tribunale per la liberazione di Anan Yaeesh

18 GIUGNO – L’AQUILA, TRIBUNALE: QUINTA UDIENZA CONTRO ANAN, ALI E MANSOUR
Il 18 giugno, presso il Tribunale dell’Aquila, si terrà la quinta udienza del processo contro Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di terrorismo. A essere messi sotto accusa non ci saranno solo i tre imputati: di fronte alla Corte verrà trascinato l’intero popolo palestinese, e con esso il suo diritto alla resistenza e alla liberazione.
 
“Sig. giudice, lei parla di terrorismo e accusa la resistenza palestinese di essere terrorista: con quale diritto? Quale legge rende terrorista chi difende la propria terra? Come può la vittima essere un carnefice ai suoi occhi, e l’oppresso un oppressore?”
 
Queste parole di Anan Yaeesh interrogano ogni aula in cui la giustizia si piega all’ordine coloniale. Ed è in questo processo esemplare che si rivela con chiarezza la complicità dell’Italia e, più in generale, dell’Occidente nella criminalizzazione di un popolo intero.
 
Un processo segnato fin dall’inizio da gravi forzature e da una sistematica compressione del diritto alla difesa, che rende evidente la funzione politica assunta da questo tribunale:
 
– sono state ammesse come prove a carico le cosiddette “confessioni” ottenute sotto tortura dallo Shin Bet nelle carceri israeliane, ritenute utilizzabili fino all’esclusione ottenuta in seguito al ricorso della difesa;
 
– su 47 testimoni proposti dalla difesa, solo 3 sono stati ammessi e relativi a un solo imputato. Esclusi tutti coloro che avrebbero potuto offrire un contesto utile a comprendere i fatti ad eccezione di Martina Lovito, la volontaria italiana aggredita dai coloni israeliani nel 2024, che però non potrà riferire sull’aggressione subita;
 
– Anan Yaeesh si è visto negare il diritto di leggere in italiano la propria dichiarazione spontanea: la sua voce è stata affidata a un’interprete che ne ha restituito una traduzione confusa e distorta, cancellandone il significato politico;
 
– la calendarizzazione delle udienze risponde all’urgenza di chiudere rapidamente il procedimento con una condanna: quattro intere udienze ai testimoni dell’accusa, mezza udienza soltanto a quelli della difesa e alle dichiarazioni degli imputati.
 
Nel calendario già fissato, l’ultima udienza, quella in cui verrà pronunciata la sentenza, è prevista per il 10 luglio.
 
Come ha dichiarato al Manifesto l’avvocato Rossi Albertini:
 
“questa corte lede non poco il diritto alla difesa. Per dire, non avremo nemmeno a disposizione le trascrizioni di quello che succede in aula perché non c’è il tempo per farle”.
 
La Resistenza non si processa e non si condanna!
LIBERTA’ PER ANAN
VIVA LA RESISTENZA PALESTINESE