carceri di Torino – rivolte e nuovo suicidio .. dimostrano l’inaccettabilità dellasituazione

A 13 anni guida la rivolta nel carcere Ferranti Aporti di Torino: 4 gli agenti feriti

09.11 ore 12:58. A soli 13 anni guida la sommossa nel carcere Ferranti Aporti di Torino, da nove giorni messo a ferro e fuoco da un gruppo di detenuti che protesta contro tutto e tutti. Quattro le guardie carcerarie ferite in soli 9 giorni

Video qui: https://www.telecitynews24.it/cronaca/rivolta-nel-carcere-ferranti-aporti-torino-quattro-gli-agenti-feriti

 

 

Detenuto si impicca nel carcere di Torino, è il quarto caso dall’inizio dell’anno

L’uomo di 56 anni si è ucciso con un lenzuolo. L’episodio a due settimane dalla morte di Tecca Gambe

Ancora un suicidio al carcere Lorusso Cutugno di Torino, il quarto dall’inizio dell’anno. Un italiano di 56 anni si è tolto la vita ieri sera intorno alle 23, impiccandosi. L’episodio è successo nel padiglione C: l’uomo è stato trovato seduto a terra, aveva anche scritto una lettera per spiegare le ragioni del suo gesto, legate a questioni personali.

Antonio R. era detenuto nel carcere del quartiere Vallette , in attesa di giudizio. Era in cella da agosto. Anche lui ha utilizzato un lenzuolo per togliersi la vita, che ha attaccato alle sbarre, proprio come il 28 ottobre aveva fatto Tecca Gambe, il ragazzo del Gambia che era finito in carcere per aver rubato delle cuffiette.

 

Padova: Sgomberata occupazione abitativa. Violente cariche della polizia

A Padova, gli agenti della Digos della Questura hanno eseguito lo sgombero di quattro appartamenti di proprietà dell’ATER  nella zona del quartiere Palestro. Dopo lo sgombero dell’occupazione, un centinaio di persone si è mossa in corteo verso l’ATER, l’agenzia regionale proprietaria dell’immobile e di migliaia di case popolari non assegnate. Ad attenderli polizia e carabinieri in assetto antisommossa, che hanno caricato due volte i manifestanti. Si contano diversi feriti. Alle 18 verrà rilanciato un presidio pubblico davanti alla sede del Comune

Questa mattina a Padova un’ingente operazione di polizia ha sgomberato quattro appartamenti di proprietà ATER situati in via delle Melette, dove da sei anni vivevano giovani e giovanissimi studenti, lavoratori precari. Via delle Melette 3 accoglieva dieci persone ora private di una dimora, in una città dove il mercato degli affitti è preda di speculazioni selvagge e trovare casa è impossibile.

In una fase di grandissima emergenza abitativa – a Padova e non solo – l’ATER sceglie, senza alcun preavviso, di chiudere l’ennesimo appartamento di sua proprietà. L’agenzia che dovrebbe gestire le case popolari in Veneto da anni specula sugli immobili tenendoli sfitti o vendendoli all’asta. In particolare nel quartiere Palestro di Padova si possono contare un centinaio di appartenenti vuoti e lasciati al degrado.

La risposta della città non si è fatta attendere. Centinaia di solidali si sono ritrovati all’incrocio tra via Volturno e via Melette, chiarendo fin da subito che la questione del diritto all’abitare non potesse essere derubricata a un problema di ordine pubblico. Ben tre cariche della polizia hanno tentato di allontanare i/le manifestanti dall’appartamento, mentre la polizia picchiava senza alcuna remora una delle abitanti dello stabile.

Dopo la conclusione delle operazioni di sgombero, si è formato un corteo selvaggio che ha raggiunto la sede  di ATER. Anche qui, le forza dell’ordine in assetto anti-sommossa hanno respinto con violenza i manifestanti, con altre due cariche che hanno provocato diversi feriti.

«È tempo di schierarsi: dalla parte dei diritti o dalla parte della speculazione immobiliare da difendere a sprangate: la città deve scegliere» con queste parole viene rilanciato un presidio pubblico alle 18 davanti alla sede del Comune.

La corrispondenza a Radio Onda d’Urto di Mattias del Centro sociale occupato Pedro di Padova Ascolta o scarica

da GlobalProject

Solidarietà ad Alfredo Cospito e agli altri compagni prigionieri in lotta, sabato 12 novembre manifestazione nazionale a Roma

Dal 20 ottobre 2022, il compagno anarchico Alfredo Cospito, detenuto nel carcere di Bancali, è in sciopero della fame fino alla morte contro la tortura del 41bis, a cui è sottoposto dal 5 maggio, e contro la barbarie dell’ergastolo ostativo.

Altri 2 prigionieri anarchici, Juan Sorroche, detenuto nel carcere di Terni, e Ivan Allocco, detenuto in Francia, si sono uniti allo sciopero in solidarietà attiva con Alfredo.

Inizialmente giustificato con l’emergenza della “lotta alla mafia”, il regime di 41 bis è in realtà un regime di vera e propria tortura e annientamento psico-fisico, con il quale si cerca di distruggere, da ben 17 anni, l’identità politica e le convinzioni ideologiche  di 3 compagni e compagne comuniste delle Brigate Rosse.

Situato all’apice del sistema repressivo italiano, il 41 bis non ha affatto sconfitto la mafia, perché la criminalità mafiosa è un aspetto del capitalismo e sta nelle strutture statali, così come un aspetto del capitalismo sono il terrorismo e il razzismo di stato, le stragi impunite, gli assassinii di donne, le stragi sul lavoro, le morti in mare, l’impunità delle violenze fascio-razziste, i massacri nelle carceri, i pestaggi nelle piazze.

Il 41 bis, con l’ergastolo ostativo, è l’erede delle leggi e carceri speciali degli anni 70, usate, con il pretesto dello “stato di emergenza” come strumento di repressione e deterrenza delle lotte, sia all’interno che all’esterno delle carceri.

Di emergenza in emergenza però questo stato di polizia riesce sempre meno a giustificare la vera finalità della propria macchina repressiva, perché la vera emergenza è la guerra imperialista, sbocco inevitabile del sistema capitalista in crisi, sono le sue conseguenze sui proletari e le masse impoverite, la vera emergenza è la crisi pandemica e climatica che esso produce, la vera emergenza è la guerra di classe che questo sistema, questo stato, questi governi al servizio di padroni e politici mafiosi fanno ogni giorno alla classe operaia e al proletariato. A queste emergenze la classe dominante non può dare altra risposta che quella repressiva e controrivoluzionaria per mantenersi al potere, perché l’unica risposta è la rivoluzione proletaria, unica via per uscire da ogni stato di emergenza, prodotto e alimento, al tempo stesso, di questo sistema borghese che marcia veloce verso il moderno fascismo.

E’ in questo solco che il nuovo governo dei padroni a guida Meloni inizia a decretare vecchie e nuove misure repressive palesemente incostituzionali, come l’ergastolo ostativo per i militanti rivoluzionari o il decreto anti rave per colpire ogni forma di dissenso, i giovani, i centri sociali, in continuità con la criminalizzazione delle lotte, dell’autorganizzazione, del sindacalismo di base e di classe, delle occupazioni, con la segregazione del proletariato migrante e il respingimento in mare di quello che questo stato, questo governo, considera senza mezzi termini “carico residuale”, ossia proletari immigrati da gestire a distanza come esercito industriale di riserva per non ingrossare le fila del malcontento popolare “made in Italy”.

Per tutto questo, per altro, per tutto, la lotta di Alfredo, di Juan e di Ivan è una lotta che ci riguarda tutti e tutte, rivoluzionari, avanguardie proletarie e il proletariato nel suo insieme, quando si esprime nel conflitto sociale ed eleva la sua coscienza di classe per diventare soggetto attivo nella lotta di liberazione dal sistema capitalista, patriarcalista e imperialista che sta distruggendo questo pianeta.

La solidarietà verso questi compagni si è già molto estesa, iniziative e sostegni ovunque, nelle città italiane come europee. Una manifestazione nazionale è indetta:

Sabato12 novembre ore 15 a Roma, in piazza Gioacchino Belli, nei pressi del Ministero della Giustizia

la Procura di Torino riapre le indagini sulla morte di Mara Cagol – info

interrogati ex appartenenti alle Brigate Rosse

La moglie di Renato Curcio, a capo della colonna torinese delle Br, rimase uccisa con l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso nel conflitto a fuoco in provincia di Alessandria durante la liberazione dell’imprenditore Vittorino Gancia

 

La Procura di Torino ha riaperto le indagini sulla morte di Mara Cagol e dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, rimasti uccisi in un conflitto a fuoco in provincia di Alessandria durante la liberazione dell’imprenditore Vittorino Gancia, il 5 giugno 1975. L’inchiesta, affidata all’aggiunto Emilio Gatti, ha portato a individuare alcuni reperti che sono stati analizzati dai carabinieri del Ris di Parma. Nelle scorse settimane, a quanto si apprende, sono anche stati sentiti alcuni testimoni, tra cui alcuni ex appartenenti alle Brigate Rosse. Gli accertamenti del Ris potrebbero quindi dare un nome a chi partecipò a quello che è passato alla storia come il primo sequestro di persona a scopo di autofinanziamento operato dalle Brigate Rosse. Uno dei carcerieri di Gancia riuscì a fuggire. Sono passati 47 anni da allora e non si è mai saputo chi fosse quel terrorista scampato alla giustizia. Ancora oggi è un uomo libero.

L’attività investigativa fa seguito agli accertamenti scientifici cui sono stati sottoposti, con le più moderne tecniche, i reperti sequestrati all’epoca della sparatoria. In particolare, le analisi riguarderebbero la macchina per scrivere che sarebbe stata usata da un brigatista (mai identificato) e utilizzata per comporre uno dei documenti di rivendicazione poi trovato nel covo di via Maderno a Milano, nel gennaio 1976, dove furono catturati Renato Curcio insieme a Nadia Mantovani.

A far riaprire le indagini è stato l’esposto presentato, con il tramite di un avvocato, da Bruno D’Alfonso, anche lui carabiniere, figlio dell’appuntato morto nella sparatoria del 5 giugno 1975. «Al momento si tratta di indagini, non ci sono ancora accuse precise nei confronti di alcuno, ma sono abbastanza soddisfatto che qualcosa si stia muovendo da parte della procura di Torino a cui ho presentato un esposto nel novembre dello scorso anno». Queste le sue parole all’Adnkronos. «So che sono stati effettuati interrogatori di persone informate sui fatti, quindi qualche elemento in più rispetto a quello che si sapeva prima sembra che stia venendo fuori visto che c’è comunque ancora un brigatista che non ha mai pagato nulla per quell’episodio», ha aggiunto D’Alfonso.