Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis

Da Osservatorio repressione

E’ attiva la piattaforma “Morire di pena. Per l’abolizione di ergastolo e 41bis”. Una piattaforma per una sensibilizzazione della società civile e per l’eliminazione dei due istituti più inumani dell’ordinamento penitenziario italiano. Il documento vede la sottoscrizione come primi firmatari di oltre sessanta gruppi e associazioni, e quasi centocinquanta tra artisti, intellettuali, docenti universitari, ricercatori, avvocati, attivisti. L’Osservatorio Repressione ha sottoscritto l’appello e vi chiediamo di diffondere, se potete, il blog e il canale telegram 

per qualsiasi richiesta o informazione potete scrivere a: info@abolizioneergastoloe41bis.it
per far sottoscrivere ad altri l’appello: sottoscrizione@abolizioneergastoloe41bis.it

Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis.

Dal 20 ottobre l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto in 41bis, ha rinunciato ad alimentarsi, utilizzando il suo corpo come unica arma possibile per protestare contro il regime di detenzione speciale a cui è sottoposto nel carcere di Sassari e contro l’istituto dell’ergastolo ostativo. Il 6 luglio scorso il reato di “strage contro la pubblica incolumità” per cui era stato condannato è stato riqualificato dalla Cassazione in “strage contro la sicurezza dello Stato”, nonostante le azioni di cui è accusato avessero uno scopo prettamente dimostrativo, e non abbiano causato feriti né morti.

Lo sciopero della fame di Cospito ha avviato una discussione su questi temi anche tra settori della società solitamente prudenti su questi temi, denunciando l’accanimento dello Stato nei suoi confronti persino sui media mainstream, puntando però, per lo più, sull’ambiguo tema della “non proporzionalità” della pena applicata nel singolo caso.

La battaglia che Cospito sta portando avanti ha tuttavia la forza per aprire faglie più ampie nel sistema e un dibattito reale sulla necessità di superamento di due istituti inumani come l’ergastolo e il 41bis, oltre che dell’intero sistema dei circuiti speciali di detenzione. Altre letture rischiano di diventare strumentali al mantenimento dello status quo, e incapaci di rendere giustizia alla lotta che il detenuto anarchico sta portando avanti, mettendo a rischio la propria vita.

Fin dalla sua nascita, che trova radice nelle legislazioni speciali degli anni Ottanta e Novanta, il 41bis si è mostrato come uno strumento di ricatto per spingere i detenuti alla collaborazione con la magistratura, fondato su pratiche di vera e propria tortura. Le condizioni inumane e prive di ogni logica previste da questo istituto si concretizzano in isolamento in celle di pochi metri quadri, limitazioni all’ora d’aria, sorveglianza continua, limitazione o eliminazione dei colloqui con i familiari, controllo della posta, limitazione di oggetti in cella persino come penne, quaderni e libri. Un progressivo annientamento che provoca danni incalcolabili nel corpo e nella psiche dei detenuti.

L’ergastolo, assimilabile in tutto e per tutto alla pena di morte, è invece l’istituto con il quale lo Stato prende possesso del corpo di un individuo, arrogandosi la prerogativa di decidere discrezionalmente se, come e quando restituirgliela attraverso la “libertà condizionale” per “buona condotta”, senza che questi possa venire a conoscenza dei tempi e dei modi del suo eventuale rientro nel consesso sociale. Al netto della inumanità di una punizione a vita, che cancella nell’individuo le idee stesse di “speranza” e di possibile reinserimento nella comunità, l’ergastolo è incompatibile con la Costituzione e con l’idea di “rieducazione” del condannato.

Un dibattito limitativo rischia di essere in questo senso quello sulla possibile abolizione del solo istituto dell’ergastolo ostativo, ovvero quello che – nel caso di alcuni specifici reati – non prevede la possibilità di liberazione condizionale e di altri benefici, a meno che la persona condannata non collabori con gli organi inquirenti. Con la recente legge approvata dal parlamento, inoltre, la possibilità di liberazione condizionale viene spostata a trent’anni di pena scontata invece di ventisei, senza contare che altre misure rendono altamente improbabile la possibilità di affrancamento dalla pena fino alla morte. Il vero tema è quindi quello dell’abolizione dell’ergastolo in toto, nell’ottica di un futuro superamento dell’intera istituzione carceraria, mero strumento di confinamento della marginalità e della povertà (basta vedere da chi è oggi costituita la grande maggioranza della popolazione carceraria, e quali sono i reati di cui questi detenuti sono accusati) nonché di controllo e punizione rispetto a tutte le potenziali conflittualità sociali.

MORIRE DI PENA. PER L’ABOLIZIONE DI ERGASTOLO E 41BIS è una piattaforma di sensibilizzazione e rivendicazione che punta all’abolizione di questi due istituti e dei circuiti speciali di detenzione. La piattaforma nasce a seguito di un’assemblea svoltasi a Napoli che ha visto protagoniste tutte le realtà militanti e sociali in lotta contro il carcere o per la tutela dei diritti dei detenuti, coinvolgendone poi altre sul territorio nazionale. L’obiettivo è quello di allargare la consapevolezza – attraverso iniziative di analisi e discussione, e azioni mediatiche e politiche – rispetto alla necessaria eliminazione di ergastolo e 41bis, sollecitando anche i più prudenti settori sociali citati nella prima parte di questo documento a prendere esplicitamente posizione. Un percorso che immaginiamo lungo e difficile, ma possibile, considerando le fratture che gli accadimenti recenti hanno reso oltremodo visibili.

È possibile, a livello individuale e collettivo, sottoscrivere questo documento e mettersi in rete con le realtà che da qui ai prossimi mesi proveranno a portare avanti la piattaforma, scrivendo all’indirizzo mail: sottoscrizione@abolizioneergastoloe41bis.it.

A seguire alcuni tra i primi firmatari

  • Artisti, personalità del mondo del cinema e della cultura, come Goffredo Fofi, Antonio Capuano, Ascanio Celestini, Pietro Marcello, Elio Germano, i 99 Posse, gli Assalti Frontali, ZeroCalcare, Jorit, Alberto Prunetti, Chef Rubio, Nicola Vicidomini.
  • Esponenti del mondo politico come i militanti del movimento No Tav Nicoletta Dosio, Luca Abbà e Dana Lauriola, l’ex europarlamentare Eleonora Forenza, l’ex senatrice Haidi Giuliani, l’ex consigliere regionale della Campania Francesco Maranta, l’ex consigliere comunale di Napoli Simona Molisso.
  • Attivisti e personalità impegnate nella tutela dei diritti dei detenuti come Charlie Barnao, docente delegato per il polo universitario di Catanzaro, il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello, l’ex presidente del tribunale di sorveglianza di L’Aquila Laura Longo, la presidente di Yairaiha Onlus Sandra Berardi, il presidente di Antigone Campania Luigi Romano, padre Alessandro Santoro, della comunità delle Piagge (Firenze).
  • Docenti universitari e ricercatori: Enrica Rigo, Rossella Selmini, Enrico Gargiulo, Stefano Portelli; avvocati: Flavio Rossi Albertini, Caterina Calia, Domenico Ciruzzi, Alfonso Tatarano, Paolo Conte; giornaliste: Maria Elena Scandaliato e Francesca De Carolis.
  • Sindacati di base: SiCobasUSBUnione Inquilini Napoli

Contro il carcere e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame – Nuove iniziative e un docufilm

Roma

Torino

Cagliari

Firenze, presidio ex GKN

VENERDÌ 3 febbraio 2023, presso presidio permanente per la fabbrica pubblica e socialmente integrata via Fratelli Cervi 1, Campi Bisenzio
Dibattito: Oltre e dietro le sbarre
“Perchè gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili” cit.
ORE 19.30 apericena PRENOTARSI AL FORM: https://forms.gle/WsgasEvjiyZLnpHm8
ORE 20.30 INCONTRO E DIBATTITO CON
  • Don Vincenzo – cappellano del carcere di Sollicciano
  • Sara Manzoli – autrice del libro “Morti in una città silente”
  • OLGa – è Ora di Liberarsi dalle Galere
  • Flavio Rossi Albertini – avvocato di Alfredo Cospito
I carceri sono contesti dove i rapporti di forza sono ancora più sbilanciati di quanto non siano fuori da quelle mura.
La relazione tra il “dentro” e il “fuori” è però molto stretta.
Anche per questo il carcere è una lente attraverso la quale è possibile leggere e comprendere le dinamiche che quotidianamente ritroviamo nel controllo poliziesco dei quartieri, negli stadio, nelle scuole e sui luoghi di lavoro.
All’interno del carcere finiscono quasi esclusivamente figure sociali appartenenti alle classi subalterne. Questo avviene perché il carcere è elemento strutturale della società divisa in classi, ne garantisce e, in ultima istanza, gli equilibri.
Non per caso nella società borghese la popolazione carceraria aumenta o diminuisce in relazione alla fase economica – espansiva o recessiva – e ai rapporti di forza tra le classi: maggiori sono le disuguaglianze sociali più sono i carcerati, piu sono i diritti e le garanzie sociali meno sono i carcerati.
Anche per questo le carceri per lo Stato devono rimanere luoghi pacificati e punitivi.
Perché ciò avvenga è necessario che il carcere non si trasformi mai in luogo di scambio, solidarietà e emancipazione.
Quando ciò avviene i carceri vengono segnati da lotte e rivolte che scuotono la nostra società dalle fondamenta.
Per questo il carcere è stato pensato e ristrutturato nei termini della differenziazione, con vari gradi e livelli di restrizione, perché fosse più facile agire attraverso il meccanismo “del premio e della punizione”, quello che fuori da quelle mura potremmo far corrispondere alla “cultura del merito” che per esempio in una fabbrica ritroviamo nella stratificazione dei livelli, dei premi produzione, dei richiami disciplinari, dei reparti confino e dei licenziamenti.
Dalle sezioni dei cosiddetti “comuni” fino alle sezioni del 41bis, il gradino massimo di controllo, isolamento e restrizione, il carcere corrisponde ad un sistema di tortura nei confronti di chi lì si trova prigioniero.
Il carcere, al di là della retorica sulla rieducazione e riabilitazione, è un “non luogo” disumanizzante utilizzato come discarica sociale dove le menti non devono pensare, e su cui non devono esprimersi quelle di coloro che stanno fuori dal carcere.
Perché il carcere vive, si legittima e agisce soprattutto nel silenzio che lo circonda: anche per questo vogliamo portare fuori dal carcere le voci dei prigionieri di Sollicciano, di chi si è sollevato nel carcere di Modena, dei familiari delle vittime di quella rivolta, di Alfredo Cospito, prigioniero politico al 41bis in sciopero della fame.
Quest’iniziativa si pone nel solco di tutti coloro che questo silenzio vogliono tentare di romperlo.

Il documentario –
Fino all’ultimo respiro. Il caso Alfredo Cospito e Anna Beniamino

Il filmato realizzato, da Streeen, piattaforma professionale con base a Torino dedita alla presentazione del cinema d’autore, al fine di far conoscere la lotta contro il 41bis e la drammatica vicenda di Alfredo Cospito e Anna Beniamino.

Il film è un instant movie realizzato, anche con interviste e materiali presi dal web, che grazie soprattutto al racconto degli avvocati Flavio Rossi Albertini e Caterina Calia intervistati via cellulare, cerca di districarsi, non senza difficoltà, nelle vicende relative agli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, quest’ultimo detenuto al 41bis e in sciopero della fame da 90 giorni contro tale regime detentivo, non solo per lui, ma per tutti i detenuti al 41bis.

Una storia complessa, ma in realtà molto semplice, di un uomo che corre seri rischi di morire o di rimanere con danni vitali seri per la sua protesta, affrontata in un regime già arduo di per sé come il 41bis e, per noi di Streeen, diventa impellente usare questo, che è l’unico filmato che cerca di ricostruire questi fatti, per far sì che questa storia si conosca e se ne parli, affinché chi nelle istituzioni può fare qualcosa si faccia vivo rapidamente.

Videocitronix è il nome collettivo fin dai primissimi anni ‘90 dei videomakers della sala montaggio video di El Paso Occupato, storico centro di attività dell’undergound politico e artistico torinese che si definiscè “né centro sociale né squat”, occupato dal 1987 da punk e anarchici.

Il film FINO ALL’ULTIMO RESPIRO – IL CASO ALFREDO COSPITO E ANNA BENIAMINO è No Copyright, quindi riutilizzabile a piacimento.

Il film si può vedere direttamente da qui o scaricare da qui: https://mab.to/t/EL9T16e0eRD

Se realizzate eventi, proiezioni, o altro e volete segnalarli tramite Streeen scrivete a: info@streeen.org

Perù, oltre 200 arresti nell’irruzione della polizia all’Università Nazionale Maggiore di San Marco a Lima

La Polizia nazionale del Perù (Pnp) ha pubblicato i nomi di 218 persone arrestate dopo l’irruzione di ieri nell’Università Nazionale Maggiore di San Marco (Unmsm), a Lima.

Secondo fonti ufficiali gli studenti arrestati sono stati trasferiti presso le sedi della Direzione Antiterrorismo e della Direzione Investigazioni Criminali, lo ha dichiarato il procuratore generale Alfonso Barrenechea.

Dal 19 gennaio migliaia di persone in protesta contro il governo sono confluite da varie regioni del Paese nella capitale per la cosiddetta “Toma de Lima” (presa di Lima). Secondo il Coordinatore nazionale dei diritti umani (Cnddhh), che ha presentato un ricorso al ministero dell’Interno, ci sono anche quattro leader studenteschi “detenuti arbitrariamente”: Lucia Garay, Leani Vela, Diany Vivas e Marco Tello. Anche l’Associazione nazionale dei giornalisti (Anp) ha denunciato fermi arbitrari chiedendo la liberazione di Paty Condori Huanca (inviata di  “Fama Tv”), Percy Pampamallco Yancachajlla (reporter di “Radio Huancané” e “Lider Tv”) e Juliaca Cesar Huasaca Abarca (di “Radio Sudamericana”).

La polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma e impedito agli avvocati di entrare. Cittadini si sono radunati davanti alla Centrale operativa di investigazione della Pnp (Dirincri) per chiedere il rilascio degli studenti. Sui “social” sono stati diffusi video per denunciare maltrattamenti degli agenti.

La mobilitazione anti governativa, cominciata il 7 dicembre dopo l’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo, non si è placata. Il bilancio delle vittime negli scontri fra dimostranti e forze di sicurezza è attualmente di 55 morti e più di 1.200 feriti.

I manifestanti chiedono la scarcerazione dell’ex presidente Pedro Castillo, arrestato il 7 dicembre 2022 con l’accusa di “ribellione”, le dimissioni del presidente illegittimo, Dina Boluarte, e un ritorno alle urne per eleggere un nuovo presidente e un nuovo parlamento. Altre zone calde per le proteste sono state ieri Puno e Arequipa. A Puno, secondo la stampa peruviana, un uomo identificato come Isidro Arcata Mamani, 62 anni, appartenente alla comunità aymara, è morto a causa di colpi sparati da agenti.

Roma: nuovo assalto allo spazio autogestito Casale Garibaldi

Porte divelte, vetri infranti, strutture e mobilio danneggiato, locali inondati di schiuma di estintori: questo lo scenario che hanno trovato ieri mattina gli attivisti dello spazio autogestito Casale Garibaldi, nella periferia est di Roma, nel quartiere Casilino 23.

Uno spazio occupato sul finire degli anni ’80, di proprietà municipale, che ospita tantissime attività, eventi e laboratori, per piccoli e grandi, impegnato in prima fila in percorsi di mutualismo e sede sindacale delle Camere del lavoro autonomo e precario.

Questa mattina all’alba ignoti hanno distrutto alcune porte e finestre del casale e si sono introdotti per vandalizzare strutture e materiali, usando estintori, pietre e altri oggetti utili al danneggiamento.
Si tratta di un salto di qualità della “guerra a bassa intensità” che negli ultimi anni è stata compiuta contro uno spazio sociale, mutualistico, femminista, di produzione culturale e di nuovo welfare. Uno dei tanti spazi autogestiti che non si arrende davanti a un presente fatto di precarietà, sfruttamento, egoismo e speculazione.
Una strategia infame e vigliacca, che intende colpire un’idea e una pratica di città solidale.
Non abbiamo tempo per lamentarci, solo tanta rabbia e voglia di non mollare di un centimetro. Rispondiamo quindi con una mobilitazione permanente: dalle 12 di oggi appuntamento pubblico e collettivo per iniziare a sistemare lo spazio, fare la conta dei danni, condividere la rabbia e i prossimi passaggi di mobilitazione.
Confermiamo ovviamente l’evento di oggi, domenica 22 gennaio, con lo STRAmercato, che diventa la prima tappa della mobilitazione straordinaria, politica, militante e di autofinanziamento. Unica risposta degna per gli infami che pensano di fermarci.

Questo atto – raccontano gli attivisti – si inserisce in una scia di episodi vandalici iniziati con la fine della vecchia convenzione, nel 2017, a partire dalla decisione di non lasciare lo spazio, a fronte dell’immobilità della vecchia amministrazione. Su questi episodi abbiamo presentato anche un esposto e una denuncia-querela alla polizia municipale, di cui ad oggi non sappiamo che fine abbiano fatto. Diversa celerità invece è stata dimostrata dal reparto edilizia della polizia locale che lo scorso anno ha fatto un’ispezione nel giardino del casale, terminata con una denuncia surreale di abuso edilizio per una struttura mobile, con rotelle, utilizzata per coprire la zona cucina da pioggia e intemperie”.

Filippine: il governo fascista Marcos bombarda le popolazioni in lotta – la denuncia del Partito Comunista delle Filippine che rende onore alla compagna martire Helenita Pardalis

I sempre più frequenti attacchi aerei alle zone del Paese sotto il controllo della guerra popolare diretta dal Partito Comunista delle Filippine mirano a recuperare terre per l’estrazione  mineraria e per il cosiddetto agrobusiness da mettere a disposizione delle multinazionali imperialiste, ma si tratta di un compito molto difficile per il governo fascista Marcos sostenuto dagli USA come si evince dal comunicato che pubblichiamo.

Tributo del CC del PCF 

alla compagna martire Helenita Pardalis

Comitato Centrale del PCF | Partito Comunista delle Filippine

14 gennaio 2023

Il Comitato Centrale del Partito Comunista delle Filippine (PCF) rende il suo più alto tributo alla compagna Helenita Pardalis, affettuosamente conosciuta dai compagni e dalle masse di Bicol e Visayas orientali come Ka Ning, Ka Eliz, Ka Celine e Ka Elay.

Ka Elay è stata uccisa in un bombardamento aereo di prima mattina condotto dall’8a divisione di fanteria a Barangay Imelda, Las Navas, Northern Samar, lo scorso 23 novembre. Aveva 65 anni. Altri cinque compagni e combattenti sono morti nel brutale bombardamento che ha visto l’uso sproporzionato della forza da parte delle forze armate delle Filippine (FAF) e del regime USA-Marcos contro una piccola unità guerrigliera del New People’s Army (Nuovo Esercito del Popolo).

Estendiamo le nostre più sentite condoglianze a tutta la famiglia di Ka Elay, in particolare a suo marito, ai suoi figli e nipoti, così come ai suoi cari compagni e amici.

Ka Elay proviene da Pio Duran, Albay nella regione di Bicol, dove ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza. Era la maggiore di 9 fratelli. Ha studiato alla Pio Duran Elementary School e alla Marcial O. Raniola Memorial School nella sua città natale. Ha frequentato il college durante i primi anni della legge marziale presso l’Università d’Aquino a Legazpi City, Albay.

Le gravi disuguaglianze sociali e la repressione politica sotto la dittatura della legge marziale hanno spinto Ka Elay a diventare un’attivista e ad essere vicina al popolo. In mezzo all’atmosfera di paura, e nonostante le minacce di arresti che potevano “salvare”, ha osato prendere la strada della resistenza e si è unita alla causa democratica nazionale. Si è immersa tra i lavoratori e le masse povere urbane. Le sue sentite simpatie e i suoi modi la rendevano cara alle masse e ai compagni.

Nei primi anni 1980, il marito di Ka Elay è stato rapito e fatto sparire da agenti militari a Metro Manila. Lei e i suoi due figli hanno iniziato una ricerca che durerà per anni senza fine. Si è unita ad altre vittime di sparizioni forzate ed è diventata una dei dirigenti del gruppo Find (Famiglie delle vittime di sparizione involontaria). La repressione politica continuò sotto il regime di Corazon Aquino, e lei stessa fu arrestata e detenuta per un certo numero di anni. In seguito si è anche risposata con un marito amorevole.

Nei primi anni 1990, ispirata dal Secondo Grande Movimento di Rettifica del Partito, Ka Elay decise di andare in campagna e unirsi al Nuovo Esercito Popolare. Tornò nella sua provincia natale dove si immerse nel lavoro di massa tra le masse contadine, contribuendo ad aumentare la loro coscienza sociale e politica e stimolando le masse organizzate a lottare per la loro causa.

In seguito sarebbe diventata segretaria di un fronte di guerriglia nell’area di Libmanan-Bato a Camarines Sur, e in seguito segretaria del Comitato Provinciale di Camarines Sur del Partito. Per i suoi risultati esemplari nel lavoro di massa e nell’organizzazione del partito, è stata eletta membro del Comitato regionale di Bicol e del suo comitato esecutivo alla fine degli anni 1990.

In seguito fu assegnata dal Comitato Centrale a servire come Vice Segretario della Commissione Nazionale Contadina. La sua ricca esperienza nel lavoro di massa e nella costruzione della base sarà ulteriormente sviluppata, riassunta e condivisa in tutta l’organizzazione del Partito e nel NEP. Per anni, ha contribuito attivamente con articoli ad Ang Bayan.

Più tardi, nel 2015, è stata nominata nel Comitato regionale delle Visayas orientali, dove è stata eletta vice segretario. Fu nominata membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale Provvisorio nel giugno dell’anno successivo. È stata delegata al 2° Congresso del PCF nel novembre 2016, dove è stata eletta come membro a pieno titolo del Comitato Centrale.

Al momento della sua morte, Ka Elay era segretaria del Comitato Regionale del Partito nelle Visayas Orientali. Negli ultimi anni, di fronte agli implacabili attacchi su larga scala del nemico, Ka Elay ha guidato il Partito e il NEP nelle Visayas orientali a condurre una guerriglia estesa e intensa sulla base di una base di massa sempre più ampia e profonda.

Senza dubbio, la morte di Ka Elay insieme ad altri compagni lascerà un pesante segno sulla leadership del Partito nella regione orientale di Visayas. Tuttavia, un certo numero di veterani e giovani quadri del Partito si sono già fatti avanti per prendere le redini della leadership nella regione. Sono pienamente capaci e disposti a farsi carico dei compiti difficili. Hanno consolidato i comitati dirigenti e selezionato il sostituto di Ka Elay. Sono sempre determinati a guidare il Partito, il Nuovo Esercito Popolare e il movimento rivoluzionario di massa di tutte le classi oppresse e sfruttate nelle città e nelle campagne, specialmente in mezzo al peggioramento della crisi semicoloniale e semifeudale sotto il regime USA-Marcos.

Hanno fatto tutto il possibile per affrontare gli urgenti problemi socioeconomici delle masse, conducendo una riforma agraria e aiutando le masse a superare epidemie, tifoni, inondazioni e altri disastri climatici. Nel mezzo della pandemia di Covid-19, il NEP nella regione è diventato la fonte di informazioni e guida delle masse per superare l’emergenza sanitaria. Il NEP continua a organizzare squadre di produzione e aiutare le persone ad aumentare la produzione, aumentare il raccolto, lottare per salari giusti e prezzi equi per i loro prodotti. Di conseguenza, la guerra popolare e il NEP continuano a godere del profondo e ampio sostegno delle masse delle Visayas orientali.

Il nemico ha sganciato tonnellate e tonnellate di bombe sulle foreste, sui campi e sulle comunità contadine, e ha ucciso un certo numero di combattenti rossi e quadri del Partito. I fascisti hanno imposto la legge marziale a centinaia di villaggi per controllare, limitare e monitorare da vicino ogni movimento del popolo, nella vana speranza di spezzare la volontà del popolo di combattere e impedire loro di dare sostegno ai loro eroici combattenti. Ma così facendo, hanno solo suscitato maggiore indignazione. Le masse contadine delle Visayas orientali rimangono la fonte immortale della guerra popolare.

Il legame indissolubile tra le masse e il Nuovo Esercito Popolare fa parte dell’eredità immortale di Ka Elay. Il suo amore per le masse oppresse è sconfinato e continua a riempire lo spirito di ogni combattente rosso e quadro del Partito con cui ha incrociato la strada. Il nemico può essere riuscito a soffocare la vita di Ka Elay, ma lei vivrà per sempre nei cuori e nelle menti delle masse rivoluzionarie. (16 dicembre 2022)

“Botte al cronista, per 4 agenti solo una multa”, dai tribunali della borghesia: Impunità per la polizia, repressione per gli antifascisti

da il Manifesto

Botte al cronista, per 4 agenti solo una multa

Il giornalista di Repubblica Stefano Origone rimasto ferito il 23 maggio 2019 a Genova – Ansa

La corte di Appello di Genova ha trasformato la condanna a 40 giorni di reclusione in una multa da 2.582 euro a testa per i quattro poliziotti che il 23 maggio 2019 picchiarono il giornalista di Repubblica Stefano Origone. Il sostituto procuratore generale Alessandro Bogliolo aveva chiesto un anno e quattro mesi per lesioni dolose. L’Associazione Ligure Giornalisti e il Gruppo Cronisti Liguri hanno espresso «disappunto» per la decisione.

Il cronista fu manganellato, nonostante si fosse identificato, durante la manifestazione antifascista che assediò il comizio elettorale di Casapound nel capoluogo ligure. Non fu l’unico episodio di violenza da parte delle forze dell’ordine. Al corteo parteciparono oltre duemila persone e si verificarono tensioni e scontri. «Se c’è qualcuno che sbaglia, paga», dichiarò il giorno seguente l’ex procuratore capo Francesco Cozzi.

Si riferiva sia agli agenti che ai manifestanti. Di questi in 47 sono finiti a processo: 43 sono stati condannati in primo grado a pene comprese tra otto mesi e quattro anni di reclusione (due persone). La procura genovese aveva richiesto condanne tra sei mesi e un anno e nove mesi di carcere. Le imputazioni: resistenza a pubblico ufficiale, porto di oggetti atti a offendere, travisamento e lancio di oggetti pericolosi.

Il 41 BIS E’ VENDETTA DI STATO

IN SOLIDARIETÀ CON ALFREDO COSPITO E TUTTI I PRIGIONIERI E LE PRIGIONIERE POLITICHE

Alfredo Cospito, compagno anarchico, è in lotta ininterrotta dal 20 ottobre tramite lo sciopero della fame nel carcere di Sassari contro il regime inumano del 41bis e contro l’ergastolo ostativo, il “fine pena: mai”. La decisione coraggiosa ed estrema di Alfredo sta rompendo, di fatto, il silenzio che da sempre vige sulla vendetta e tortura di Stato che rappresenta il regime di 41bis. Un silenzio colpevole, soprattutto in Italia e nell’UE, l’autoproclamatasi “giardino” delle democrazie liberali e ipocrita protettrice dei diritti fondamentali dell’uomo.

Come ormai noto, Alfredo sta portando avanti questa lotta contro la condanna comminatagli per un attentato dimostrativo nel quale nessuno è rimasto minimamente leso: il reato che gli è stato attribuito inizialmente è stato quello di “strage” (422 cp), riqualificato dalla Corte di Cassazione nel luglio dello scorso anno nel reato di “strage politica” con le finalità di attentare alla sicurezza dello stato (285 cp), che prevede l’ergastolo ostativo. Una condanna non applicata nemmeno nelle stragi di mafia, come quelle di Capaci o via d’Amelio, che si aggiunge all’applicazione del regime di 41bis disposto dai giudici a seguito dell’invio dal carcere di articoli e testi da parte di Alfredo a delle riviste anarchiche.

Non ci soffermiamo tanto sulla evidente sproporzione della pena e del regime di detenzione rispetto ai fatti realmente commessi, in barba anche a quei famosi principi di “offensività, proporzionalità e rieducativitá” della pena del Codice Rocco, di natura fascista. Quello che denunciamo invece è l’ennesimo utilizzo vendicativo della repressione che questo stato attua nei confronti di compagni, militanti e attivisti sociali che hanno portato avanti in passato o portano avanti attualmente un’ipotesi e un’azione di rottura radicale e rivoluzionaria del sistema dominante. Uno stato che dopo 40 anni ancora tiene in carcere detenuti e detenute politiche che provengono dalle esperienze rivoluzionarie degli anni 70 e che richiede l’estradizione nei confronti di esuli politici italiani che da 40 anni vivono e lavorano in Francia. Uno stato che, adesso, si arma di “decreti anti-rave” dai limiti sottili e che reagisce con pene esemplari per un po’ di vernice sul senato da parte di gruppi ambientalisti.

Attualmente siamo in un contesto di crisi generale del sistema capitalista, dove sacrosante proteste per ottenere condizioni di vita e di lavoro migliori o per lottare contro la devastazione di territori e dell’ambiente in cui viviamo vengono sistematicamente represse. Una repressione gestita tramite una politica e una narrazione mediatica manettara e giustizialista che vede il carcere come una discarica sociale per soggetti “non conformi” che meritano condizioni di vita disumane, fra sovraffollamento, regimi di isolamento, abusi e brutali violenze della polizia penitenziaria in caso di ribellioni.

Al contrario, quella strage quotidiana (questa sì, reale) che avviene sui luoghi di lavoro o durante l’alternanza scuola lavoro, così come le violenze e gli omicidi a opera delle forze dell’ordine e della polizia penitenziaria continuano a restare pressoché impunite.

In questo contesto, Alfredo e la sua lotta ci ricordano che è necessaria e possibile un’alternativa che parta dalla rottura radicale e rivoluzionaria con questo sistema che produce povertà, ingiustizia sociale e repressione.

Di questi temi parleremo sabato 21 gennaio, alle ore 18, ai Magazzini Popolari di Casalbertone (via Baldassare Orero, 61) insieme a:

– Flavio Rossi Albertini e Caterina Calia, legali di Alfredo Cospito e di altri detenuti politici in 41bis

– Nunzio D’Erme, Osservatorio Repressione

In solidarietà con Alfredo e con tutte le prigioniere e i prigionieri politici.