Appello alla solidarietà con i movimenti dei disoccupati 7 novembre e Cantiere 167 Scampia

SCRIVIAMO QUESTO APPELLO RIVOLGENDOCI ALLA SOCIETÀ CIVILE TUTTA, AL MONDO ACCADEMICO, AL MONDO DELL’INFORMAZIONE, AI GIURISTI E ALLE GIURISTE, AGLI ARTISTI E ALLE ARTISTE, AGLI E ALLE INTELLETTUALI

Ancora una volta i Movimenti di lotta “Disoccupati 7 Novembre” di Napoli e “Cantiere 167” Scampia – dall’estate scorsa, per decisione collettiva hanno unificato le proprie istanze – sono sotto attacco.

Da quasi 10 anni questi movimenti si battono per la conquista di un lavoro stabile e sicuro o di un salario garantito, vivendo del protagonismo collettivo di padri e madri che il lavoro lo hanno perso, di famiglie che soffrono l’inflazione alle stelle o che patiscono la distruzione totale di ogni forma di welfare, di uomini e donne che lottano ogni giorno per mettere il piatto a tavola o che fanno i salti mortali per pagare affitti da rapina.

Una lotta condotta da chi prova a emanciparsi dalla marginalità sociale ed anche dalle reti facili della criminalità presenti nei quartieri popolari e periferici della città di Napoli. Le stesse periferie – Traiano, Soccavo, Quartieri, Sanità, Bagnoli, Scampia, Montesanto – nelle quali i disoccupati e le disoccupate si impegnano quotidianamente per sviluppare forme di solidarietà e di socialità senza scopo di lucro, in territori abbandonati al degrado ed alla speculazione.

Fin dalla sua nascita, questo movimento di disoccupati e disoccupate ha avuto il merito di denunciare come le molteplici emergenze che affliggono il territorio partenopeo – ambiente, rifiuti, messa in sicurezza delle aree a rischio idrogeologico e vulcanico, decoro urbano, tutela del patrimonio artistico, assistenza sociale e sanitaria, evasione scolastica – richiederebbero un vero e proprio piano straordinario di investimenti pubblici e di assunzioni finalizzate ad attività socialmente utili e necessarie e/o al ricambio degli organici attuali, in larga parte composto da lavoratori prossimi all’età pensionabile. Attraverso iniziative pubbliche o di approfondimento, è stato messo in luce come ciò venga impedito sia dalle politiche di tagli alla spesa pubblica, sia da una gestione delle risorse (vedi PNRR) orientata unicamente ad alimentare il circolo vizioso degli appalti e dei subappalti, cioè la fame di profitti dei privati e delle clientele connesse alle consorterie istituzionali che di volta in volta si alternano al potere.

La storia del Movimento “Disoccupati 7 Novembre” e del “Cantiere 167 Scampia è la storia di una lotta condotta da sempre alla luce del sole e senza “scheletri nell’armadio”. Essa ha il merito di essere diventata un presidio di democrazia diretta per l’accesso al lavoro, uno spazio di crescita per molti disoccupati e molte disoccupate e per chi ha sempre vissuto combattendo contro la miseria, in una città che ha fatto del clientelismo, del mercimonio e del voto di scambio le uniche vie per ottenere un’occupazione stabile. Ogni incontro istituzionale, ogni momento di piazza, ogni proposta, è stato discusso/ragionato/comunicato collettivamente in assemblee, dibattiti, aggiornamenti, pubblici e interni al movimento.

Nel corso di questi anni il Movimento dei/delle disoccupati/e ha incontrato numerose volte il vescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, in sedi istituzionali Prefetti, Sindaci, delegati di ogni ente locale, ha partecipato ai tavoli organizzati con i ministri del Lavoro e ha interloquito perfino con la segreteria del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Deputati e senatori della Repubblica si sono espressi per sollecitare una soluzione alla vertenza dei disoccupati, oggi dichiarati/e come delinquenti da settori di quegli stessi organi dello stato.

Neanche un mese fa, dopo numerosissimi tavoli ed incontri inter-istituzionali, i Movimenti dei disoccupati erano in attesa degli ultimi adempimenti per poter iniziare ad intravedere l’inizio di un percorso di formazione e di inserimento al lavoro in progetti di pubblica utilità nei settori della tutela dell’ambiente, del territorio, della città e del potenziamento dei servizi sociali.

Un impegno puntualmente slittato per motivi mai chiariti.

Senza neanche degnarsi di avvisare, di comunicare le ulteriori problematiche emerse, di capire quali fossero le alternative tecniche su cui si stesse discutendo, le istituzioni locali si sono assunte le responsabilità di lasciare per strada senza notizie oltre 600 giovani, famiglie, mamme e padri dalla mattina alla sera.

Non solo mancano risposte concrete ma poi, ultimo in ordine il presidente della Regione, si attacca questa lotta collettiva definendola violenta, banalizzando e minimizzando una storia di dignità ed emancipazione collettiva oltre che anni di passaggi di impegni istituzionali di tavoli, incontri, confronti.

All’immobilismo istituzionale e alle continue provocazioni, si affianca una escalation repressiva fatta di multe, denunce, procedimenti di vario tipo, fino all’indagine per “Associazione a delinquere” che ha colpito alcuni/e appartenenti alla platea.

Dinanzi a tutto ciò si risveglia una sensazione, mai sopita, di inquietudine e una consapevolezza poco gradita: chi oggi chiede risposte concrete alle tante emergenze che affliggono centinaia di migliaia di persone, o non viene ascoltato o viene trattato come un soggetto dalla pericolosità sociale, indagato/a e perseguita/o come tale.

In un momento di crisi economica e sociale drammatica le istituzioni, invece di dare risposte concrete al disagio sociale, alla disoccupazione, alla precarietà ed al lavoro nero, criminalizzano e reprimono chi si organizza per emanciparsi dalla povertà e dalla marginalità tramite la lotta.

Alla luce di questa situazione ci chiediamo: è contro la legge manifestare e mobilitarsi per il riconoscimento del diritto al lavoro sicuro e retribuito? È forse contro la legge il tentativo di tanti e tante di provare a sottrarsi alla marginalità sociale, vera e propria piaga che condanna ad una vita infernale fasce sempre maggiori della popolazione a Napoli come altrove?

Dinanzi agli spot e alle infinite produzioni audiovisive che stanno raccontando Napoli e la stanno rilanciando ulteriormente come vetrina da turismo di ogni tipo, e alle serie TV e film che spopolano nel raccontare la Napoli dei bassifondi piena di ragazzi difficili e sfortunati, spesso limitandosi solo a una narrazione superficiale e parziale di queste storie, come è possibile che continuino a mancare interventi strutturali che favoriscano l’emersione dalla marginalità e la costruzione reale di alternative individuali e collettive per i “dannati della metropoli”?

Il movimento dei disoccupati organizzati ha dimostrato che è possibile costruire un’alternativa alla violenza, all’isolamento, alla precarietà, ai destini segnati di migliaia di senza-lavoro.

Questa esperienza è oggi duramente sotto attacco.

La determinazione di tutta la platea è un dato di fatto, ma da sola non può bastare.

Ci rivolgiamo quindi a chi ritiene inaccettabile l’atteggiamento delle istituzioni e l’accanimento repressivo, a chi guarda alla necessità di schierarsi al fianco di chi legittimamente combatte per un salario e una vita dignitosa.

Siamo convinti/e che sia necessaria una presa di parola collettiva rispetto a tutto ciò.

La risposta, in questi casi, deve essere sociale e collettiva. L’ isolamento è la più grande arma del potere: non lasciamo nessuno e nessuna da sola/o a portare avanti la propria vertenza.

Facciamo appello a tutte le istituzioni – governo nazionale, regione Campania, città metropolitana e comune di Napoli – affinché operino concretamente per far sì che questa vertenza si sblocchi nel più breve tempo possibile.

Chiediamo ai giudici del Tribunale di Napoli-sezione penale incaricati di esprimersi sui capi di accusa a carico del movimento dei disoccupati, di valutare attentamente il contesto sociale, le ragioni e le finalità di rango costituzionale in nome delle quali si sono svolte le iniziative e le manifestazioni oggetto di rinvio a giudizio, e dunque si esprimano per un’assoluzione.

Come già fatto altre volte, ci rivolgiamo nuovamente ai giornalisti e alle giornaliste, interessate/i a raccontare la storia collettiva del Movimento “Disoccupati 7 Novembre” e del “Cantiere 167 Scampia” e a chiunque, in giro per l’Italia, voglia confrontarsi con i/le protagonisti di questa lotta oggi sotto attacco.

Per chiunque volesse sottoscrivere l’appello può inviare la propria adesione:

– Inviando una mail all’indirizzo di posta elettronica “mov7nov@gmail.com”

Cantiere 167 Scampia

Movimento di Lotta – Disoccupati “7 Novembre

Sabato 22 aprile – Presidio al carcere di L’Aquila

Stando all’ultimo rapporto del garante nazionale di chi è privato/a della libertà, pubblicato a fine marzo, sono 740 le persone detenute in 41 bis, tra cui 12 donne. Nel carcere di L’Aquila, l’unico ad avere una sezione femminile di quel regime di totale isolamento, sono rinchiuse ben 150 persone. Il numero più alto di tutti gli altri 60 reparti distribuiti in 12 carceri.
E’ stato detto più volte, la lotta portata avanti con il proprio corpo da Alfredo, compagno anarchico, ha disvelato cosa si nascondeva dietro ciò che è stato definito, sin dalla sua nascita, uno strumento magari un po’ contraddittorio ma necessario ai fini della “democratica” lotta alla criminalità organizzata, della eroica lotta dei paladini del “bene” contro il “male”.
Il 41bis si è rivelato essere ciò che realmente è: un regime carcerario che vuole silenzio, non solo al suo interno ma anche intorno a sé.
Nato come provvedimento emergenziale si è trasformato gradualmente in prassi, sino ad essere normato come luogo di sperimentazione di tutte quelle pratiche e restrizioni che servono a dividere ed indebolire
l’intera popolazione carceraria. Dal divieto della parola, della socialità, della corrispondenza, dei rapporti familiari al divieto della lettura. Luogo di esasperazione del carcere in cui tutto può succedere e divenire consuetudine.
Ciò che finalmente è emerso è la brutalità del 41bis, agghiacciante nella sua “logica” regolamentare e di giustificazione autoassolutoria.
Strumento ritorsivo e di annichilimento della volontà, identità e dignità della persone a cui è applicato.
E poiché, per altro, tale condizione può aver fine solo attraverso la collaborazione con lo Stato e le sue forze repressive, ecco che definire il 41bis uno dei moderni strumenti di tortura, non può avere il sapore di una spropositata enfatizzazione. Resti chiuso/a lì dentro fino a che non ti dissoci, fino a che non collabori. Tutto il resto, la privazione più totale delle relazioni e sensazioni, non ha importanza: sei un numero e devi imparare ad accettarlo e far tua questa consapevolezza.
Emblematica la decisione di applicare ad Alfredo il 41bis.
Siamo nel pieno di una guerra esterna, questa volta molto vicina a noi.
Si profilano mutate strategie geopolitiche, scontri egemonici per l’accaparramento di risorse. Pioggia di miliardi per i signori della guerra, per chi finanzia l’industria delle armi e la ricostruzione dei territori, miseria e lutto per gli/le esclusi/e.
La indotta crisi economica e sociale può portare con sé le condizioni affinché il dissenso cresca e si trasformi in qualcosa che vada a modificare, magari ribaltandoli, gli equilibri sempre più fragili che stanno alla base del sistema di sfruttamento che ha portato al peggioramento delle condizioni di vita: lavoro, sanità, scuola e ambiente sono ormai ridotti allo stremo.
Per questo è necessario che alla guerra esterna venga affiancata una guerra interna, ormai sempre più evidente: propaganda, paure e razzismo sono la ricetta che i governi vari propongono per allontanare l’incubo dei conflitti interni.
È necessario, al fine di promuovere ulteriori strette repressive che arriveranno a colpire anche il dissenso dei più sinceramente democratici, creare un nuovo nemico interno. Lasciare morire Alfredo, esaspera ed esaspererà gli animi dei solidali che si mobilitano, per poi poter tuonare sulla “intollerabile violenza” rappresentata da qualche incendio, vetrina rotta o scritta sul muro. Tutte le azioni di rabbia e solidarietà saranno tacciate di “terrorismo”.
L’obiettivo: “colpirne uno per educarne 100”. Isolare, controllare e intimidire al fine di prevenire qualsiasi espressione di protesta contro le politiche di uno Stato che ha, per esempio, come ministro della difesa un mercante d’armi che ci sta portando a passi da gigante verso una guerra nucleare.
Per chi non ci sta, non si sottomette, sono pronti sgomberi, licenziamenti, repressione e carcerazione, di cui il 41bis è il fiore all’occhiello e punta dell’iceberg.
Il carcere di L’Aquila, con la sua quasi totalità di persone detenute in 41bis, rappresenta la quintessenza della cinica e sprezzante arroganza di chi sta fagocitando le nostre vite. Di chi porta avanti politiche di annientamento corporeo e mentale. Di chi è responsabile di stragi in mare, nelle strade, nei luoghi di lavoro e non ultimo nelle carceri.
La lotta contro il 41bis, che ha acquisito maggior respiro da quando Alfredo ha iniziato lo sciopero della fame, non può prescindere dal farla conoscere a chi quel regime lo vive sulla propria pelle.
Rompiamo l’isolamento.
Tutte e tutti a L’Aquila – sabato 22 aprile ore 15 – PRESIDIO AL CARCERE

Nuova giornata per la liberazione dei prigionieri palestinesi – manifestazione a Parigi


AUX PRISONNIERS POLITIQUES ET RÉVOLUTIONNAIRES, FLAMBEAUX DE LA RESISTANCE !

LUNDI 17 AVRIL 2023 – 18H – RASSEMBLEMENT AU MÉTRO MÉNILMONTANT (11e)

« La solidarité, toute la solidarité avec les résistants dans les geôles sionistes et dans les cellules d’isolement au Maroc, en Turquie, en Grèce, aux Philippines et ailleurs de par le monde ! ». Ce mot d’ordre, ceux qui le connaissent, l’associent instantanément et automatiquement à la parole de Georges Abdallah. C’est, en effet, un des mots d’ordres clés qui clôt depuis des années chacune des déclarations de notre camarade.

Pour Georges Abdallah, ce mot d’ordre n’est pas que parole : comme pour tous les combats qu’il a menés durant toute sa vie, le verbe va inéluctablement de pair avec l’action. Cette dialectique de la théorie et de la pratique jalonne l’ensemble de son expérience et de sa lutte et on ne compte plus les occasions – avant naturellement mais aussi pendant ses très longues années de détention – où cette solidarité clamée s’est aussi traduite dans les actes.

Ce 17 avril 2023 prochain – journée des prisonniers palestiniens et des prisonniers politiques – sera une nouvelle occasion qui nous sera donnée pour exprimer notre soutien inconditionnel à la lutte héroïque du peuple palestinien et en particulier notre entière solidarité avec la lutte armée que mènent les lionceaux de cette résistance contre l’occupant sioniste. Ce 17 avril 2023 prochain sera une nouvelle occasion qui nous sera donnée pour exiger aussi la libération des flambeaux de cette résistance tombés aux mains de l’ennemi : celle de tous les prisonniers palestiniens, de Walid Dakka en particulier dont l’état de santé est désormais alarmant et de notre camarade Georges Abdallah détenu par l’Etat français depuis maintenant plus de 39 ans.

Et à ce titre, nous appelons donc toutes les organisations amies et tous les soutiens de la Palestine et de notre camarade Georges Abdallah à participer au rassemblement que la Campagne Unitaire organisera au métro Ménilmontant, place Jean Ferrat, en ce lundi 17 avril 2023, à partir de 18h.

Ensemble Camarades, et ce n’est qu’ensemble que nous vaincrons !

La solidarité, toute la solidarité avec les résistants dans les geôles sionistes et dans les cellules d’isolement au Maroc, en Turquie, en Grèce, aux Philippines et ailleurs de par le monde !

Liberté pour Georges Abdallah, pour Walid Dakka, pour tous les prisonniers palestiniens et pour tous les prisonniers révolutionnaires !

Paris, le 13 avril 2023

Campagne unitaire pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah

Migranti subsahariani in Tunisia caricati e gasati dalla polizia

Dal blog Proletari comunisti

il 12 aprile su richiesta del responsabile dell’UNHCR-Tunisia: il miserabile Vincent Cochetel.
ultime notizie da tunisi
La novità di oggi è che gli arrestati sono saliti a 20
Migranti subsahariani in Tunisia caricati e gasati dalla polizia il 12 aprile su richiesta del responsabile dell’UNHCR-Tunisia: il miserabile Vincent Cochetel.
L’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, davanti al limbo migratorio e legale a cui sono destinati i migranti subsahariani a cui non vengono forniti documenti e carte di soggiorno, costringendoli all’illegalità per anni (e quindi alla repressione delle stessa polizia tunisina) invece di farsene carico, chiama la polizia tramite il proprio capo in Tunisia Vincent Cochetel per sgomberare il sit-in di protesta davanti alla propria sede nel quartiere-vetrina di Lac 1.
Vincent Cochetel è lo stesso cane che pochi mesi fa aveva invocato la repressione contro le madri tunisine dei dispersi in mare che invocavano giustizia per i propri figli in manifestazioni a Zarzis e Medenine nel sud della Tunisia.
I migranti hanno reagito all’attacco a freddo della polizia tunisina nell’unico modo possibile: respingendo la carica con pietre e rispedendo i larimogeni al mittente, come segno di protesta è stato eseguito anche qualche danneggiamento nel quartiere più chic della capitale tunisina.
Mentre 20 subsahariani sono stati arrestati per un paio di automobili danneggiate, ancora nessun tunisino è stato arrestato tra quelli che ha preso parte alle innumerevoli “imprese” di fine febbraio fatte di aggressioni fisiche, stupri, incendi di abitazioni a danno di subsahariani.
La Federazione tunisina dei Diritti Economici e Sociali oggi in una conferenza stampa ha espresso piena solidarietà ai migranti subsahariani in Tunisia.
E anche noi comunisti marxisti-leninisti-italiani esprimiamo il nostro massimo sostegno a questi migranti.

Non sulla nostra pelle. Manifestazione dei migranti il 28 aprile a Roma

Non sulla nostra pelle. Manifestazione dei migranti il 28 aprile a Roma

Un affollatissima assemblea online con piu di 250 partecipanti in rappresentanza di decine e decine di associazioni, comitati, rappresentanti di Usb della logistica, del bracciantato e delle lavoratrici domestiche, interventi di sostegno dei CALP di Genova, di Potere al Popolo, di ong impegnate nel soccorso dei migranti in mare, hanno appoggiato con forza l’iniziativa lanciata da USB e Movimento rifugiati e migranti di Napoli, per contrastare e ribaltare la rappresentazione corrente della presenza di migranti in Italia come un problema e non come una risorsa.

NON SULLA NOSTRA PELLE, la parola d’ordine dei lavoratori migranti che ci porterà alla manifestazione nazionale del 28 aprile a Roma.
Con un protagonismo e una soggettività conflittuale gli interventi di lavoratori e attivisti migranti hanno evidenziato la impellente necessità di trovare forme di organizzazione dal basso, di costruzione di un tessuto connettivo tra tutte le comunità straniere in Italia.
Non servono meccanismi di mediazione tra le giuste e innegabili rivendicazioni dei migranti residenti in Italia e coloro che intendono rappresentare sotto il profilo umanitaristico e assistenziale istanze emancipative presso istituzioni e forze politiche.
Quelle stesse forze politiche di destra, di sinistra e di centro, che da vent’anni operano per costringere i lavoratori stranieri nella irregolarità, nella precarietà, nello sfruttamento lavorativo.
Dalla assemblea di oggi deve partire un percorso di costruzione dell’identità del lavoratore straniero, che deve saper ribaltare il concetto di soggetto beneficiario della benevolenza del padrone di turno, alla consapevolezza di essere il protagonista della ricchezza del made in Italy.

NON SULLA NOSTRA PELLE, dovrete costruire la vostra ricchezza!
Rivendichiamo diritti di cittadinanza e diritti lavorativi !
Siamo noi i protagonisti del processo di cambiamento che deve dare in primo luogo:
– LA REGOLARIZZAZIONE DI TUTTE E TUTTI LE LAVORATRICI E I LAVORATORI STRANIERI
– LA CONCESSIONE DELLA RESIDENZA ANAGRAFICA, CON LA RICHIESTA DOVE NECESSARIO DELLA RESIDENZA FITTIZIA
– L’ACCESSO AL SERVIZIO SANITARIO PER TUTTI, REGOLARI E IRREGOLARI
– IL RISPETTO DELLE CONDIZIONI DI LAVORO, RICONOSCIMENTO DI TUTTE LE GIORNATE DI LAVORO E DI TUTTE LE ORE SVOLTE GIORNALMENTE,
– IL RISPETTO DELLE CONDIZIONI DI SICUREZZA SUL LAVORO
Su queste parole d’ordine andremo a costruire assemblee in tutta Italia, nelle campagne, nelle città!
Con i lavoratori nelle campagne e nei magazzini, insieme alle lavoratrici domestiche clandestine nelle case dei propri assistiti, con i lavoratori nei ristoranti e nei centri commerciali
NON ABBIAMO PIU’ TEMPO PER ASPETTARE !
Non sulla nostra pelle!!
Il 28 aprile tutti a Roma!

DOCUMENTI PER TUTTI, BASTA REPRESSIONE E MALTRATTAMENTI. ORGANIZZIAMO UNA MANIFESTAZIONE A TORINO

Comitato Lavoratori delle Campagne

Alle persone immigrate di tutte le comunità di Torino:

Siamo moltissimi con problemi di permesso di soggiorno, di casa e di lavoro. Chi è arrivato in Italia  dopo viaggi lunghi e pericolosi si trova costretto ad aspettare in centri di accoglienza che sono come prigioni o a dormire in strada. Arriviamo dal nord Africa, dal Mali, dal Senegal, dalla Nigeria, dalla Turchia, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dal Bangladesh. Rinnovare il permesso è sempre più difficile, le pratiche rimangono bloccate in questura per troppo tempo. Chi nel 2020 ha fatto domanda di sanatoria è stato truffato o ancora aspetta una risposta dalla prefettura. Basta aspettare mesi o anni per un permesso di soggiorno! Basta file di ore fuori dall’ufficio immigrazione senza avere informazioni, basta razzismo e maltrattamenti della polizia! Senza i documenti tutto è difficile.

Uniamoci per costruire questa grande manifestazione, per cambiare le leggi sull’immigrazione, per chiudere i centri di espulsione, per dire basta al razzismo e allo sfruttamento nelle campagne e nelle città.

IL 16 APRILE ALLE 15:00 CI INCONTRIAMO AI GIARDINI CALCUTTA (Corso Vercelli, 10) PER UN’ASSEMBLEA APERTA.

Salvini si inventa nuove sanzioni per mandare in galera gli ambientalisti di Ultima Generazione

Davanti a vernice lavabile lanciato su un palazzo del potere, la destra risponde con quella che pare la loro risposta a tutto: repressione, punizioni e sanzioni.
Capita così che il padano Salvini, strenuo difensore delle auto inquinanti ed acerrimo nemico di chi chiede rispetto per l’ambiente, si vanti di aver imposto nuove multe che faciliteranno la repressione del diritto di critica degli ecologisti. E dopo le multe a chi salva vite umane, dopo la decisione di rendere orfani i figli dei gay, dopo le imitazioni al diritto di aggregazione con la scusa dei rave party, è per mettere in galera gli ecologisti che il governo Meloni ha introdotto l’ennesimo reato:

In realtà è Salvini a voler rendere criminale chiunque osteggi il suo potere. Salvare vite umane è reato. Salvare il pianeta è reato. Contestare il suo potere potrebbe costituire reato se ci si aggrega con altri.
Inoltre le leggi esistono già, motivo per cui le loro continue promesse di ulteriori punizioni paiono un pretesto per non parlare die fallimenti sul Pnrr o della loro intenzione di tagliare le pensioni. Infatti basterebbe leggere la norma per domandarsi in che modo il “gettare della vernice” lavabile possa rientrare in una delle definizioni elencate nei due commi del DDL:


Si tratta di due reati già previsti dagli gli art.733 e 734 del Codice Penale, rendendo prettamente populistica la loro norma. Quinci nel mondo del governo Meloni, chi evade può condonare, chi sporca un muro con vernice lavabile va in galera.