No tav – ma il lavoro socialmente utile degli attivisti è la lotta sociale, politica e territoriale contro la TAV

notizia stampa

Scontri No Tav in Val Susa, per 6 attivisti niente carcere ma lavori socialmente utili

Le difese hanno presentato la proposta per gli antagonisti che devono scontare pene inferiori a 3 anni. La Procura generale ha dato parere favorevole

Lavori socialmente utili al posto del carcere. Così un gruppo di 6 attivisti No Tav sconterà la condanna per gli scontri avvenuti in Val di Susa nell’estate 2011, quando venne aperto il cantiere per la realizzazione del tunnel geognostico della Torino-Lione.

Gli imputati sono stati condannati in via definitiva a pene inferiori a tre anni di reclusione e i loro legali hanno chiesto alla Corte di appello di Torino di convertire il periodo detentivo in lavori socialmente utili in strutture e associazioni convenzionate con gli uffici giudiziari. Un beneficio inserito dalla recente riforma Cartabia, che ha aperto la strada a misure alternative per una certa tipologia di reati. La richiesta — discussa il 24 maggio — davanti alla Corte d’appello ha già ottenuto il parere positivo della Procura generale.

Fra i condannati figura il toscano Antonio Ginetti, 71 anni, indicato dalle forze dell’ordine come ex appartenente a Prima Linea (ma nel corso del maxi-processo No Tav, all’udienza del 29 giugno 2014, sottolineò che nel 1990 era stato assolto a Firenze), che ha proposto di lavorare a Pistoia in una cooperativa che si occupa di cura del verde pubblico e di sicurezza dei parchi. Un altro No Tav si è offerto di prestare servizio a Torino nel centro studi Sereno Regis, spazio culturale che opera nel settore della peace research, della peace education e della nonviolenza. «Il nostro — ha spiegato il suo legale — è un gesto di forte valenza simbolica, visto che si tratta di un’attività che va in direzione opposta rispetto a quanto affermato dai giudici nella sentenza di condanna». La Corte d’appello deciderà nei prossimi giorni: i richiedenti abitano in diverse località italiane e bisogna verificare se le strutture che hanno indicato sono convenzionate con i Tribunali della zona di competenza.

Il processo è quello che riguarda le due giornate di lotta, il 26 giugno e il 3 luglio 2011, sfociate in violentissimi scontri tra i boschi di Chiomonte: una vera e propria guerriglia al termine della quale si contarono centinaia di feriti tra le forze dell’ordine e i manifestanti. Alla prima udienza dibattimentale, nel 2014, sul banco degli imputati c’erano più di cinquanta attivisti. L’udienza che si è celebrata oggi rappresenta una delle ultime appendici di quel maxi procedimento.

Contro la giustizia borghese la nostra lotta non è finita – Lunedì 22 maggio manifestazione sotto il Ministero di Giustizia

Non è finita
Non è finita con l’interruzione dello sciopero della fame di Alfredo durato 182 giorni. Alfredo è ancora sottoposto al regime di tortura del 41bis insieme ad altri 740 detenuti di cui 12 donne.
Uno di loro, Domenico, detenuto nel carcere di Bancali, è in sciopero della fame da oltre 2 mesi.
Non è finita per le morti di carcere, quelle etichettate come suicidi. Stando ai dati ufficiali, al 17 maggio di quest’anno già 22 persone si sono tolte la vita.
Ed è solo di pochi giorni fa la notizia della morte, per sciopero della fame, nel carcere di Augusta di Liborio e Victor e di un’altra persona, di cui non viene detto neanche il nome, ricoverata di urgenza in ospedale dal carcere di Rebibbia. La stampa parla di “massimo riserbo” da parte delle autorità. Noi la chiamiamo “omertà” dell’apparato repressivo.
E sempre della stessa omertà si tratta quando propiziamente spariscono i referti dei detenuti a Santa Maria Capua Vetere durante la mattanza del 6 aprile 2020.
Non è finita la violenza di Stato e non solo all’interno delle galere.
Non è finita la nostra lotta.
Appuntamento in Via Arenula, sotto il Ministero di Giustizia – Lunedì 22 maggio alle ore 16.00

Violenze al carcere di Santa Maria: in aula i video dei detenuti fatti inginocchiare e picchiati

Detenuti picchiati da agenti penitenziari, alcuni dei quali muniti di casco e manganello, mentre percorrono il corridoio che dalla loro cella porta all’area di socialità – uno con la felpa rossa pestato con violenza – quindi fatti mettere in ginocchio con faccia al muro, e uno in particolare, il marocchino Faqiri Marouane, costretto a muoversi sulle ginocchia a piccoli passettini per raggiungere il suo posto.

Prosegue così il processo per i pestaggi dei detenuti, in corso all’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la proiezione delle immagini choc delle violenze avvenute il 6 aprile 2020 estratte dalle telecamere interne del carcere sammaritano. Ieri sono state proiettate le immagini relative al primo piano del padiglione «Nilo», quelle in cui i detenuti vengono fatti uscire dalle celle e portati nell’area socialità, dove c’è il biliardo e i reclusi possono svagarsi. Ovviamente quel giorno per i detenuti non ci furono momenti di svago, ma tante botte, come si vede dalle immagini. Dall’area socialità alle celle, nel percorso a ritroso, i detenuti sono stati costretti a passare tra due ali di poliziotti che li picchiavano, molti con caschi e mascherina e ancora non identificati. Ma il detenuto Marouane, dice il brigadiere dei carabinieri Vincenzo Medici, che dalla scorsa udienza del 10 maggio sta ricostruendo con l’aiuto delle immagini quanto accaduto più di tre anni fa, «è stato particolarmente attenzionato». In effetti Marouane resta da solo nell’area socialità, dove viene colpito con il manganello in testa, quindi fatto alzare e inginocchiare nuovamente ad altezza di un agente e alla fine riportato in cella tra gli agenti che lo pestano. «Lei ha visto immagini di detenuti che hanno fatto resistenza?», chiede al teste il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere Daniela Pannone. «No, solo un detenuto si è avvinghiato alla grata della cella per evitare di essere trasferito in un altro reparto, ma è stato picchiato con violenza e lo hanno comunque portato via».

70 indagati per i presidi al carcere di Bancali in Sardegna, ma la lotta continua

70 fra compagne e compagni indagati per i presidi tenuti fra Novembre e Gennaio fuori al carcere di bancali, dove era detenuto Alfredo Cospito in regime di 41bis. Le accuse sono per manifestazione non autorizzata. Inoltre nelle settimane scorse è uscito un articolo di giornale, firmato dalla giornalista Nadia Cossu, con elencati i nomi e i cognomi di tutti e 70 gli indagati.

I compagni sardi proseguono, nonostante le denunce, a portare avanti presidi sotto le carceri e i cpr sardi, dove proseguono le lotte di alcuni detenuti, anch’essi in 41 bis, come Alessio Attanasio in sciopero del vitto, e Domenico Porcelli, in sciopero della fame da oltre 2 mesi e le cui condizioni peggiorano sempre più nel silenzio di media ed istituzioni.

Di seguito un’intervista di ROR ad un compagno di Cagliari e un aggiornamento sulla situazione di Domenico Porcelli ed Alessio Attanasio

Domenico Porcelli, detenuto in custodia cautelare al 41bis nel carcere sardo di Bancali, è in sciopero della fame dal 28 febbraio. Come altri detenuti, che però sono nel frattempo morti, ha deciso di seguire la strada dell’anarchico Alfredo Cospito. Il motivo della sua protesta, oltre che la solidarietà ad Alfredo, è stata la proroga del regime speciale che considera priva di presupposti.
In questo periodo ha perso ben 13 kg di peso e la sua condizione è andata deteriorandosi nel corso delle settimane. A causa delle sue condizioni precarie – durante il suo sciopero ha manifestato disestesie alla mano destra e dolore all’avambraccio destro, Porcelli ha dovuto affidarsi alle flebo per mantenere un minimo di forza. Ma da due sabati a questa parte gli sarebbe stato negato questo supporto vitale. La sua vicenda, come quella dei due detenuti morti recentemente nel carcere siciliano di Augusta, non risulta attenzionata da nessun parlamentare, né tantomeno dal ministero della Giustizia, nonostante i numerosi solleciti. Della vicenda è stato attenzionato anche il garante nazionale delle persone private della libertà, che ha inviato una risposta scritta all’avvocata, ma non è mai andato a trovarlo in questi due mesi di sciopero. Come afferma l’avvocata Pintus “Esistono detenuti di serie A e detenuti di serie B anche all’interno del regime detentivo speciale del 41 bis, ma il diritto alla salute non è garantito per nessuno!”

Alessio Attanasio è in custodia cautelare per fatti accaduti nel 2001 e sono in corso due processi d’Appello. Ha già scontato 30 anni di carcere, di cui 20 ininterrottamente in regime di 41 bis, e dopo un periodo di regime in AS 1 nel carcere di Oristano, è di nuovo in 41 bis nel carcere di Nuoro, nonostante non ci siano più i presupposti per questo regime di detenzione. Inoltre è anche sottoposto alla sorveglianza speciale art.14 bis. Dal 5 marzo 2023 ha iniziato uno sciopero del vitto sempre in solidarietà con la lotta intrapresa da Alfredo Cospito.

NO TAV – sempre e solo repressione – ora e sempre solidali

No Tav, blocchi ai cantieri in Val Susa: misure cautelari per 8 attivisti

Nel mirino le azioni di protesta messe in atto in occasione dell’arrivo delle trivelle nella frazione di San Giacomo di Susa

Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per otto militanti No Tav. Il 16 maggio gli investigatori della Digos hanno le misure cautelari disposte dall’autorità giudiziaria per le azioni di protesta messe in atto in occasione dell’arrivo delle trivelle nella frazione di San Giacomo di Susa, lo scorso 30 giugno.

In quell’occasione i manifestanti avrebbero cercato di bloccare i sondaggi geognostici, danneggiando i macchinari e spintonando le forze dell’ordine. Il 15 settembre 2022, di fronte all’azienda Eslo Silos di Bruzolo, gli attivisti avrebbero fermato i camion che trasportavano materiale di risulta provenienti dagli scavi.

2 detenuti morti in sciopero della fame nel carcere di augusta – morti nel silenzio generale .. anche il nostro

la battaglia di Alfredo Cospito e il movimento a suo sostegno ha acceso i riflettori non solo su di lui  rivoluzionario combattente rinchiuso nel 41 bis ma sulla situazione generale nelle carceri

Sospesa la battaglia di alfredo sembra che la battaglia non si faccia più e in questo quadro che non vi è stata la necessaria denuncia e attenzione sulla morte di due detenuti uno siciliano e uno russo, che stavano attuando uno sciopero della fame

non va bene che questo blog di Soccorso Rosso proletario non abbia pubblicato nulla – nè che i nostri compagni siciliani, attivi nella campagna cospito con un ruolo in prima fila non abbiamo fatto un comunicato di denuncia …

esistiamo su questo fronte per questo facciamo quello che è nelle nostre forze, ma  questo va fatto !

 

Violento attacco della polizia al presidio dei lavoratori Si.Cobas alla Clo di Pieve Emanuele (MI)

da Si Cobas Lavoratori Autorganizzati

Gravissimo attacco contro il picchetto di lavoratori in sciopero alla Coop di Pieve Emanuele, almeno 4 feriti!
È in corso proprio in questi minuti uno sgombero brutale del presidio dei lavoratori, dipendenti della CLO e operativi presso il magazzino della Coop di Pieve Emanuele (Milano), da parte di reparti di carabinieri in tenuta anti – sommossa. Le prime notizie ci raccontano di almeno 4 feriti tra i lavoratori e l’intervento di ambulanze davanti al magazzino.

Giá di primo mattino erano iniziate a circolare notizie rispetto a intollerabili provocazioni da parte di alcuni autisti (probabilmente fomentati e organizzati dai responsabili dell’azienda) e di personaggi esterni al magazzino (apparentemente bodyguard assoldati per effettuare il lavoro sporco) che hanno tentato ripetutamente di attaccare i lavoratori in sciopero; tutti tentativi rispediti al mittente dal sangue freddo e dalla determinazione dei lavoratori in lotta!
In questi minuti i lavoratori, dopo 5 giorni di sciopero ai cancelli del magazzino Coop, stanno resistendo alla violenza delle forze dell’ordine che come sempre intervengono per provare a rompere il fronte di lotta, ristabilendo l’ordine padronale.
Scene che rimandano a quegli stessi scioperi del 2019, nei magazzini sempre Coop di Tortona e Siziano, dove nuovamente la CLO – che ama rappresentarsi come cooperativa “di sinistra” attenta ai bisogni dei lavoratori – anche in quelle occasioni si era resa protagonista di attacchi inaccettabili contro i lavoratori in sciopero, tentativi di sfondamento dei picchetti, utilizzo di squadracce e crumiri per intimidire scioperanti e solidali!
Oggi la stessa violenza e tracotanza padronale si tenta di utilizzarla al magazzino di Pieve Emanuele dove – nel silenzio assordante del committente Coop che, ancora una volta, resta silente di fronte a questi fatti gravissimi – padroni, crumiri, bodyguard e forze dell’ordine tentano di spezzare la coraggiosa resistenza dei lavoratori, in sciopero da 5 giorni per rivendicare anche in quel magazzino, al di lá delle chiacchiere etiche e solidali di Coop e CLO, l’applicazione integrale del CCNL di categoria, il riconoscimento dei corretti livelli d’inquadramento, una trattativa per il riconoscimento di un ticket mensa e il rispetto della dignitá dei lavoratori!
A queste richieste si è risposto con violenze, forzature, ricatti e vere e proprie intimidazioni mafiose, dato che è notizia di venerdí scorso, durante la seconda giornata di sciopero, addirittura dell’esplosione di alcuni colpi di pistola in aria (da parte di ignoti) nel tentativo di spaventare i lavoratori.
Questo il clima che si stá costruendo contro la lotta di questi lavoratori. Seguiranno sicuramente aggiornamenti durante la giornata, ma con altrettanta certezza c’è la necessità di rilanciare la lotta e la mobilitazione, con il sostegno incondizionato ai lavoratori in lotta!
Avanti S.I. Cobas! Toccano uno, toccano tutti!