Pubblichiamo di seguito la dichiarazione del nostro compagno Niccolò letta in aula questa mattina in occasione della terza udienza del processo che lo vede imputato, assieme ad altri 9 studenti e studentesse, per i fatti del 18 febbraio 2022 davanti alla sede di Confindustria a Torino, nella giornata nazionale di sciopero studentesco a seguito della morte di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci durante lo svolgimento di progetti PCTO (ex alternanza scuola lavoro).
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Nel 2021, circa 110 mila studenti hanno abbandonato la scuola prima del diploma.
I NEET, ovvero i giovani tra i 18 e i 29 anni che sono disoccupati e che non sono inseriti in nessun percorso di formazione sono il 24%. Circa 3 milioni di giovani di questo paese.
38 giovani diplomati ogni 100 non hanno alcun tipo di lavoro.
In Italia, secondo i sindacati, nella scuola pubblica mancano 210mila docenti e 38mila lavoratori del personale ATA.
Tra settembre 2021 e Agosto 2022 si sono verificati 45 crolli scolastici, e ad oggi il 56% degli edifici scolastici di tutto il paese richiede interventi infrastrutturali urgenti.
Il 22 febbraio di quest’anno crolla il tetto dell’Università di Cagliari, per fortuna di notte, quando il plesso era vuoto. Una tragedia annunciata, che solo per puro caso non ha fatto vittime.
Dal 2017 ad oggi, si contano circa 300 mila infortuni e almeno tre morti nei percorsi di PCTO e di Alternanza Scuola-Lavoro. Tra questi, solo nell’ultimo anno, Lorenzo Parelli, 18 anni; Giuseppe Lenoci, 16 anni; e Giuliano De Seta, 18 anni.
Il sistema della formazione pubblica, dalle scuole alle università, da anni versa in uno stato di crisi irreversibile, e questo è sotto gli occhi di tutti.
Senza andare troppo indietro nel tempo: la riforma Moratti del 2003, quella Gelmini del 2010, la Buona Scuola di Renzi. Governi di centro-destra e di centro-sinistra hanno contribuito in egual modo a trasformare la scuola pubblica fino ad arrivare a questa situazione; fino ad arrivare ai dati drammatici che citavo prima. E non è un segreto che ogni legge, ogni riforma, ogni trasformazione che ha subito il sistema formativo italiano in questi anni, è passato sotto l’égida di Confindustria che allo stesso modo è responsabile e complice della situazione che milioni di studenti vivono tutt’oggi.
Il 21 gennaio del 2022, durante il suo ultimo giorno di PCTO, una putrella di acciaio travolge Lorenzo Parelli, che aveva da poco compiuto 18 anni, e lo uccide.
Ci sono esatti responsabili, con nomi e cognomi, del motivo per cui Lorenzo quel giorno non era a scuola con i suoi compagni, ma anziché studiare, e imparare nella classe della sua scuola, si trovava a lavorare in una ditta di carpenteria metallica.
Anche questo è sotto gli occhi di tutti. È sotto gli occhi dei sindacati, è sotto gli occhi dei professori, sotto gli occhi della società civile, e sotto gli occhi delle istituzioni che hanno permesso che questa tragedia si compisse, ma soprattutto è sotto gli occhi degli studenti di tutta Italia, che da quel momento hanno deciso che non possono più rimanere in silenzio.
A Roma l’attivazione degli studenti e l’occupazione delle scuole contro la gestione del sistema formativo durante la pandemia parte ad Ottobre. A Gennaio del 2022 decine e decine di scuole sono state occupate in tutta la capitale.
Poi Lorenzo viene ucciso, e la rabbia di decine di migliaia di studenti per due anni di gestione scellerata della pandemia, esplode in tutto il paese.
Da questo momento il problema non è solo la gestione della Didattica a Distanza, dei rientri in classe scandagliati, dei problemi di edilizia, delle classi sovraffollate e dell’aumento esponenziale del disagio psicologico; ma il problema è l’intero sistema della scuola pubblica, della sua trasformazione negli ultimi decenni, fino all’ultima riforma scritta da Renzi e Confindustria per cui si permette che gli studenti debbano imparare a essere sfruttati sin dal proprio percorso scolastico. E se durante questi tirocini di sfruttamento qualche studente viene schiacciato da una putrella, o lascia la vita in un incidente sul lavoro, anche questo fa parte della loro formazione perché questo è quello che spetterà loro una volta finiti gli studi: precarietà, sfruttamento e nel peggiore dei casi la morte sul posto di lavoro, come è successo pochi mesi prima a Luana, giovanissima morta in fabbrica e a molti altri, troppi altri come lei.
Tutto questo, a vari livelli, diventa chiaro, diventa evidente per tutti gli studenti delle scuole superiori, in tutto il paese.
La morte di un ragazzo, di quello che poteva essere un nostro compagno di banco, un nostro amico o un nostro fratello, non può passare in silenzio. E allo stesso modo è chiaro agli studenti di tutto il paese che quella morte ha precisi responsabili.
Nelle scuole di tutta Italia gli studenti si organizzano perché tragedie come questa non debbano più accadere, perché il percorso di alternanza scuola-lavoro venga abolito immediatamente.
A Torino, così come a Roma e in molte altre città d’Italia, in questo periodo vengono occupate circa 50 scuole, e allo stesso modo si contano decine di picchetti e di scioperi studenteschi.
Il 28 gennaio viene chiamata una prima piazza studentesca nella nostra città, una settimana dopo la morte di Lorenzo.
E qui arriviamo al motivo che ci vede oggi in quest’aula. Perché il motivo per cui ci troviamo in questa aula oggi non è solo quanto successo il 18 febbraio davanti la sede dell’Unione degli Industriali, che poi ha assunto le caratteristiche che tutti conosciamo; ma come hanno riportato in modo netto ed evidente due giorni fa i testimoni in quest’aula, il motivo è la gestione che le Istituzioni e le forze dell’ordine hanno deciso di mettere in atto di fronte la morte di uno studente e di fronte a una delle più importanti mobilitazioni di studenti degli ultimi anni.
Perché di fronte a una crisi di questa portata nel sistema della scuola pubblica, di fronte alla morte di Lorenzo Parelli, di fronte alla partecipazione attiva e democratica di migliaia di studenti che rivendicano una scuola migliore, una scuola che non uccida, la risposta delle istituzioni è stata quella di additarci e di trattarci come criminali e come delinquenti.
Ricordiamo tutti il discorso dell’allora Ministro degli Interni Lamorgese che giustifica la repressione e le cariche della polizia nelle numerose manifestazioni a Roma, e durante la manifestazione del 28 gennaio in Piazza Arbarello, dicendo che a portare avanti queste manifestazioni non fossero gli studenti ma bensì i centri sociali e le organizzazioni studentesche.
Questa è stata la risposta più facile che il governo Draghi ha saputo dare a migliaia di persone che sono scese in piazza per manifestare la propria rabbia e la propria indignazione: i manganelli della polizia, oltre il tentativo di ridurre un intero movimento che rivendicava una scuola migliore, in un gruppetto di violenti che manovravano le manifestazioni ad arte, per cercare solamente lo scontro con la polizia.
Perché la verità, anche questa sotto gli occhi di tutti, è che in questo paese la morte di uno studente e la voce e la rabbia di migliaia di suoi coetanei non vengono trattate come una questione da risolvere per cambiare qualcosa, ma vengono trattati come un problema di ordine pubblico affinché nulla cambi.
Il 23 gennaio a Roma, due giorni dopo la morte di Lorenzo, un corteo di studenti viene caricato ferocemente al Pantheon. Lo stesso copione si presenta a Torino 5 giorni dopo.
Nessuno degli studenti presenti in Piazza Arbarello il 28 gennaio stava cercando lo scontro con la polizia quando il presidio è stato caricato più volte, quando sono state rotte teste e braccia dagli scudi e dai manganelli.
Tutto questo solamente perché si voleva manifestare per le strade della città, anche a dispetto dell’ordinanza che lo vietava, perché ritenevamo giusto che ci fosse consentito di manifestare il nostro dolore e la nostra indignazione per l’omicidio di un nostro coetaneo, così come in quegli stessi giorni a Torino erano state consentite molte altre manifestazioni che sfilavano senza problemi per la città.
Perché personalmente trovo assurdo che sin dall’inizio della pandemia migliaia di lavoratori, anche non dei settori strettamente essenziali, fossero costretti ogni giorno a rischiare di morire di Covid per andare a lavorare e per mantenere adeguati gli standard produttivi, come Confindustria aveva imposto al nostro governo; mentre invece a diverse centinaia di studenti non fosse consentito di sfilare per le strade della città.
In quella decisione e in quelle cariche non c’era e non c’è mai stata nessuna esigenza di sicurezza sanitaria ma solamente un problema di ordine pubblico da gestire.
Questo ci porta alla manifestazione del 18 febbraio convocata in Piazza XVIII Dicembre.
Il 14 febbraio, sempre durante le ore di alternanza scuola-lavoro, muore in un incidente stradale Giuseppe Lenoci, 16 anni, giovanissimo.
L’unico indagato per quel drammatico incidente è l’autista che guidava il furgone. Ancora una volta nessuna parola sulla reale responsabilità di una vita così giovane spezzata, nessuna parola sul perché Giuseppe, a 16 anni, quella mattina si trovasse a bordo di un furgone anziché essere a scuola con i suoi compagni.
A quel punto la rabbia diventa tanta e attraversa tutta la settimana prima della manifestazione.
La manifestazione del 18 febbraio, a differenza di quella di Piazza Arbarello, è molto numerosa, si contano diverse migliaia di studenti, ma non solo. Sono in tanti, come me, ad essere indignati per la morte di due giovanissimi studenti nel giro di pochi giorni, nonché del trattamento scellerato che la Questura di Torino ci aveva riservato per la manifestazione del 28 gennaio.
Quando il corteo passa davanti all’Unione degli Industriali, e vedo le sbarre del cancello aprirsi mi avvicino velocemente nelle prime file. Non era un’azione studiata e non avevo nessuna intenzione prima di quell’esatto momento. Ma quando si apre il cancello, per la prima volta mi trovo di fronte la possibilità di esprimere tutta la mia rabbia e il mio dolore proprio in faccia ad alcuni dei responsabili della morte di Lorenzo, della morte pochi giorni dopo di Giuseppe, e della morte e degli incidenti di tanti altri studenti durante i percorsi di Alternanza Scuola-Lavoro. Quando il varco viene sbarrato dai carabinieri in tenuta antisommossa, come molti altri mi trovo davanti per esprimere nuovamente la mia rabbia, colpiti nuovamente dai manganelli come in Piazza Arbarello.
Non c’era nessun intento criminoso o violento in tutto questo, volevamo contestare in maniera simbolica il palazzo dell’Unione degli Industriali perché questi erano coloro che ritenevamo in parte responsabili di quello che è successo. Non avevamo intenzione di entrare. Non avevamo intenzione di spaccare o bruciare tutto, ma avremmo semplicemente, e finalmente, espresso la nostra rabbia per tutto quanto, ma come sempre, anche in questo caso la voce e la rabbia di migliaia di studenti è stata trattata come un problema di ordine pubblico, da gestire e da reprimere.
Mentre noi ci troviamo a processo oggi per quei fatti, la morte di Lorenzo, di Giuseppe e di Giuliano, la cui morte, sempre in Alternanza Scuola-Lavoro, si è aggiunta pochi mesi dopo, ancora non hanno trovato colpevoli. Nonostante sia sotto gli occhi di tutti chi siano i responsabili per questi crimini.
È di ieri la notizia che il ministro Valditara stia attuando un fondo di 10 milioni di euro per gli studenti morti in Alternanza Scuola-Lavoro. Mentre dopo tutte queste morti, dopo tutte queste tragedie, dopo una mobilitazione di studenti che si attiva per cambiare e trasformare il nostro sistema scolastico in declino, questo governo ancora torna a discutere di ripensare e riformare l’alternanza scuola-lavoro, senza mettere nemmeno in dubbio la possibilità di abolirla.
Per concludere, la giornata del 18 febbraio, per me e per altri 9 ragazzi è costata con misure cautelari pesantissime, che perdurano tutt’ora. Perfino il carcere per tre studenti giovanissimi, di cui uno aveva appena 19 anni.
Ragazzi che come me hanno espresso la loro rabbia per una tragedia accaduta ad un loro coetaneo e che sono stati trattati, e continuano a essere trattati, come criminali e delinquenti.
Il trattamento che abbiamo ricevuto, così come questo processo, è il chiaro segnale che questo governo, come quelli precedenti, anche a fronte di tragedie come queste, non hanno nessuna intenzione di cambiare le cose, e non hanno nessuna intenzione di fare passi indietro. L’unico modo in cui sanno reagire è colpire, incarcerare e reprimere chiunque provi a farlo.
Per Lorenzo, Giuseppe, Giuliano, e per tutti i morti di scuola.