Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Siamo tutti ASKATASUNA! –

 

L’avvocato Claudio Novaro, difensore di molti militanti: «Si vuole eliminare la protesta sociale»

Tanto per esser chiari, scrive alla fine l’avvocato Claudio Novaro, il senso (della vicenda) è in una canzone del Sessantotto francese, di Dominque Grange: «Même si vous vous en foutez, chacun de vous est concerné», anche se ve ne fregate, ognuno di voi è coinvolto. Nel lungo e articolato pezzo — pubblicato sul sito Volerelaluna.it, il difensore di tanti militanti antagonisti parla della maxi inchiesta di Digos e Procura sul centro sociale Askatasuna, con l’obiettivo di ampliare la riflessione (giuridica) e allargare l’orizzonte (politico), come da titolo: «Costruire il nemico. Askatasuna, i No Tav, il conflitto sociale». Difatti, l’ultimo capoverso è proprio un appello alla politica: «Sarebbe bene che quel poco di sinistra che ancora esiste a Torino e nel Paese – scrive il legale – iniziasse a interrogarsi e a preoccuparsi di queste derive giudiziarie, perché non si tratta solo di Askatasuna o della repressione per via giudiziaria delle attività di un centro sociale». Piuttosto, «le affermazioni sopra riportate (quelle relative all’inchiesta, ndr) rendono plasticamente conto dei rischi di una deriva autoritaria non solo della giustizia, ma, visto il ruolo preponderante nell’inchiesta dell’autorità amministrativa, incarnata nella Polizia di stato, delle istituzioni, con il tentativo di delegittimare ed eliminare dallo scenario collettivo il conflitto e la protesta sociale». Va da sé, il punto (non secondario) è con quali mezzi e strumenti sono poi portati avanti, conflitto e protesta sociale.

 

«L’obiettivo è lo sgombero, come con l’ex Asilo»

La riflessione dell’avvocato Novaro arriva dopo che, l’11 luglio scorso, il tribunale del Riesame ha parzialmente accolto l’appello della Procura su alcune richieste di misure cautelari e, soprattutto, su un’ipotesi di reato, inizialmente bocciata dal gip: quell’associazione sovversiva che i giudici hanno ora riqualificato in associazione per delinquere. Con questa specificazione, riferisce il legale: «A costituire un’associazione per delinquere non è il centro sociale ma “un gruppo criminale dedito a compiere una serie indeterminata di delitti, principalmente in Val di Susa”». Seguono durissime critiche, chiaramente di parte (difensiva), a Riesame e Procura: poiché la prospettiva interpretativa dei giudici «cerca di salvare l’insalvabile, ma ne condivide il pressapochismo, la scarsa aderenza alla realtà dei fatti e, soprattutto, la scarsa conoscenza delle pratiche, dei linguaggi, perfino delle idee che caratterizzano il variegato mondo dell’antagonismo italiano». Morale, sempre secondo l’avvocato Novaro: la polizia aveva in mente per Askatasuna la stessa operazione fatta con l’ex Asilo occupato, cioè lo sgombero. Ma qui, sostiene il legale, «la posta in gioco è ancora più alta». Perché si va dalla «conflittualità metropolitana, legata alle manifestazioni di piazza, alle politiche abitative cittadine», fino «al bersaglio più grosso, la resistenza in Val di Susa contro la Tav». Tant’è che, «106 reati sui 112 contestati originariamente, ora ridotti a 66 su 72, riguardano episodi commessi in Valle, nell’ambito della lotta No Tav». Mentre, per quanto riguarda le tantissime intercettazioni, «si tratta di conversazioni malamente e approssimativamente lette e decifrate sulla base di un’interpretazione esclusivamente letterale, anche quando ci si trova di fronte a battute, risate, frasi scherzose». Poi però, spesso, gli scontri con le forze dell’ordine, sono verissimi. Opposta, ovviamente, la lettura di Digos e pm, che in due anni di inchiesta sono convinti di aver ricostruito un’attività illegale sfociata nei reati a vario titolo contestati. Sull’effettività delle misure cautelati dovrà esprimersi ora la Cassazione, su tutto il resto si aspetterà, eventualmente, un dibattimento.

 

 

Torture ai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, 105 rinviati a giudizio

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze
DA IL DUBBIO: MERCOLEDÌ 13 LUGLIO 2022

Il gip di Santa Maria Capua Vetere Pasquale D’Angelo ha disposto il rinvio a giudizio per 105 imputati per le violenze sui detenuti nel carcere sammaritano avvenute ad aprile 2020. È stata così accolta la richiesta presentata lo scorso 26 aprile dal pm Alessandro Milita di rinviare a giudizio 105 imputati tra appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e funzionari dell’amministrazione penitenziaria. La Procura sammaritana non aveva chiesto il rinvio a giudizio per uno solo dei 108 imputati dell’udienza preliminare, che ha dimostrato di non essere presente all’interno del carcere nel giorno delle violenze, mentre altri due imputati hanno chiesto e ottenuto il rito abbreviato, che sarà celebrato il 25 ottobre.

I reati ipotizzati dalla Procura sono, a vario titolo, tortura, lesioni, violenza privata, abuso di autorità e, per 12 imputati, l’omicidio colposo per la morte di un detenuto alcuni giorni dopo le violenze. La prima udienza sarà celebrata il 7 novembre davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, culminata il 28 giugno 2021 con l’esecuzione di 52 misure cautelari, è stata avviata a seguito delle segnalazioni di violenze avvenute all’interno del carcere nel giorno successivo a una protesta dei detenuti dopo l’emersione di alcuni casi di positività al Covid-19.

la persecuzione contro Askatasuna a Torino – «Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi

“Criminali, non sovversivi”. I giudici riscrivono le accuse su Askatasuna

Il tribunale del Riesame di Torino ha parzialmente accolto un ricorso della procura e ha disposto undici misure cautelari per sponenti del centro sociale. Gli attivisti: la nostra storia parla per noi

Non un gruppo sovversivo, ma un’associazione criminale che attacca le istituzioni dello Stato e fa della violenza uno strumento di lotta. Il tribunale della Libertà ha ridisegnato le ipotesi d’accusa che la procura aveva sollevato nei mesi scorsi nei confronti degli attivisti del centro sociale di corso Regina, autori da anni delle battaglia contro la Tav e di manifestazioni di protesta in città. (continua solo per gli abbonati, n.d.r.)

 

Undici misure cautelari ad Askatasuna, per i giudici nel centro sociale un’associazione per delinquere

I pm di Torino avevano ipotizzato per il centro sociale l’accusa di associazione sovversiva, il Tribunale del riesame ha modificato il reato. Gli attivisti: «Parlano per noi la nostra storia»

Gli esponenti di Askatasuna, storico centro sociale legato all’area dell’Autonomia, «formano un’associazione per delinquere». Questo, secondo le prime informazioni, è il senso di una pronuncia del Tribunale del riesame di Torino che ha parzialmente accolto un ricorso della procura.

 

I pubblici ministeri avevano chiesto una serie di misure cautelari ipotizzando l’associazione sovversiva. I giudici, sempre il secondo le prime indicazioni, hanno dato una lettura diversa, senza connotazioni politiche. Il Riesame, accogliendo dunque parzialmente un ricorso della procura, ha disposto undici le misure cautelari e restrittive, due delle quali in carcere,  a carico di esponenti del centro sociale. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione per delinquere, violenza privata, rapina e sequestro di persona. Per sei indagati  si parla di arresti domiciliari e per tre di divieti di dimora nei due comuni della Valle di Susa in cui insiste un cantiere del Tav.

 

Provvedimenti non immediatamente esecutivi

Ancora non si è appreso se il tribunale del riesame ha disposto tutte o solo alcune delle misure cautelari richieste dalla procura. I provvedimenti comunque non sono immediatamente esecutivi perché la decisione può essere impugnata dalle difese in Cassazione.
Il procedimento è il prodotto di un’inchiesta avviata nel 2019 dalla Digos, che si avvalsa di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. Nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del riesame i rappresentanti della procura avevano ribadito la tesi dell’associazione sovversiva sottolineando però che l’accusa non era rivolta a tutti i frequentatori e tutti gli attivisti del centro sociale, ma solo a un gruppo di indagati.

La replica degli antagonisti

«Parla la nostra storia non le loro accuse. L’associazione a delinquere siete voi»  sostiene sulle proprie pagine social il centro sociale Askatasuna. «A marzo di quest’anno sono avvenuti numerosi arresti ai danni di compagni e compagne con l’accusa, inizialmente bocciata dal gip, di associazione sovversiva. Non soddisfatti della decisione, avvenuta dopo indagini durate dal 2009 ad oggi tramite migliaia di pagine di intercettazioni, i pm hanno condotto un ricorso che ha avuto come risultato la trasformazione da associazione sovversiva ad associazione a delinquere». «Prima – si legge sui post – vogliono costruire un disegno farlocco tentando il tutto e per tutto, ora provano a dipingerci come delinquenti». Askatasuna aggiunge: «Leggeremo le carte non appena possibile. Quello di cui siamo sicuri è che non saranno i tribunali a riscrivere le storie delle lotte, di chi resiste e di chi vive per costruire un futuro giusto e migliore per tutti. Parlano per noi le nostre lotte, le persone con cui abbiamo condiviso tutti i momenti di lotta individuali e collettivi».

Un desaparecido al 41 bis: la famiglia non ha sue notizie da più di un anno

l detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva. L’ultimo contatto telefonico lo ha avuto più di un anno fa, da allora la moglie non ne ha più notizie. Parliamo di un uomo al 41 bis fin dal 2008, prima al carcere di Parma in area riservata (il super 41 bis), dopodiché è stato trasferito nel carcere di Novara.

di Damiano Aliprandi

Durante la detenzione a Parma ha cominciato ad avere allucinazioni lamentandosi di essere stato sottoposto a scosse elettromagnetiche. Da allora una discesa negli inferi della patologia psichiatrica. L’associazione Yairaiha Onlus ha raccolto la denuncia della moglie di Pasquale Condello, così si chiama il detenuto al 41 bis, visionando anche le cartelle cliniche che hanno accertato la sua grave patologia psichiatrica. Come appunto si evince dalla comunicazione della moglie e dalla documentazione, il detenuto soffre di gravi problemi psichiatrici e rifiuta le necessarie cure e assistenza specialistica, sia medica che difensiva.

La famiglia nutre grande preoccupazione per le sue sorti, non avendo sue notizie da più di un anno: l’ultimo contatto telefonico risale a febbraio 2021. Condello, nel 2012 è stato ritrovato nella sua cella al carcere di Parma in stato di incoscienza e ricoverato nell’ospedale dove glie erano stati diagnosticati ematomi alla testa. La moglie, con la lettera inviata all’associazione Yairaiha Onlus, denuncia che secondo lei non poteva ridursi in quel modo con una caduta. È rimasto incosciente per tanti giorni. Tornato dall’ospedale, non mangiava e non beveva più, per poi essere ricoverato nel centro psichiatrico di Livorno. Lì aveva ripreso a mangiare ed era più tranquillo. Trasferito nel carcere di Novara, è riprecipitato nel delirio.

La moglie riferisce che sentiva voci e discorsi fuori della sua stanza che erano inimmaginabili. Non si è mai sottoposto a visite mediche né tantomeno a cure. Ha sempre rifiutato di essere curato in carcere perché riteneva che lì lo volevano uccidere. Secondo la moglie avrebbe trovato sempre un ambiente avverso che lo spaventava.

A quel punto era stato mandato uno psichiatra in privato, che ha fatto 4 ore di visita tra cui anche dei test, con la diagnosi che era un malato psichiatrico e che quindi aveva bisogno di cure. Dopo la pandemia, la famiglia non ha più potuto fare i colloqui. Ricordiamo che durante l’emergenza, fu data la possibilità ai detenuti di poter fare più telefonate e video-colloqui. La moglie racconta che Condello telefonava dal carcere a Reggio per potere dare sue notizie. Tutto questo fino al febbraio 2021, dopodiché non si è fatto più sentire. Non ha voluto più ricevere visite dall’avvocato, né dal medico o dai familiari.

La famiglia ha insistito ad andare tante volte per effettuare un colloquio con lui, inutilmente. Non hanno sue notizie da allora. Secondo i famigliari non risulta che qualche perito lo abbia visitato nonostante venga richiesto da parecchi mesi, e nonostante sia in corso un processo per interdirlo, perché non è in grado neppure di avere un rapporto con gli avvocati che dovevano aiutarlo, per cui se ne dovrà occupare la famiglia al suo posto. La famiglia dice di aver incessantemente smosso garanti, associazioni, inutilmente.

Ad oggi ancora la famiglia non sa niente di Pasquale Condello, sta vivendo un tormento. La moglie denuncia che non è possibile che una famiglia non possa vedere un congiunto detenuto o almeno avere notizie. Non chiedono che esca dalla detenzione, ma che venga curato, quindi che venga almeno portato in una struttura adatta dove possa farsi curare. Yairaiha Onlus, rivolgendosi alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, si unisce alla richiesta dei famigliari, chiedendo che venga fatta luce sulla vicenda del detenuto Pasquale Condello.

In attesa delle opportune verifiche da parte delle autorità preposte – scrive Yairaiha nella missiva – da associazione che si spende per la tutela dei diritti delle persone private della libertà personale indistintamente, a prescindere dunque dal nomen iuris del reato commesso dal detenuto, non possiamo che manifestare il nostro sconforto nel venire a conoscenza delle condizioni di abbandono in cui versa un detenuto anziano, affetto da patologie psichiatriche. Riteniamo che il diritto alla salute dei detenuti, anche di coloro che si trovano in regime di 41 bis, richieda un attento monitoraggio da parte di ogni componente della società democratica”.

da il dubbio

Coca Cola di Nogara: la polizia carica i manifestanti per difendere il profitto di pochi sull’interesse di tanti

Attiviste e attivisti di Rise Up 4 Climate Justice e Adl Cobas hanno manifestato questa mattina davanti allo stabilimento della Coca Cola di Nogara, una fabbrica che estrae quasi un miliardo e mezzo di litri d’acqua all’anno dalla vicina falda a un prezzo poco più che gratuito, guadagnando milioni che, grazie a un sistema di holding, vanno tutti in paradisi fiscali. Basti pensare che il prezzo a metro cubo pagato dalla multinazionale è di circa 1 centesimo, mentre il costo medio dell’acqua per l’utilizzo domestico è di circa 1 euro e 37 centesimi a metro cubo.

Rise Up Adl Cobas Coca Cola

La cosa, già di per sé scandalosa, assume ancora più gravità in questa fase storica che vede la crisi climatica diramare prepotentemente i suoi effetti sulle condizioni materiali di vita delle persone. Mai prima d’ora l’Occidente era stato in preda a una siccità su così larga scala ed a una reale carenza di acqua, dovuta in particolare ai disequilibri nella sua gestione. Governo e istituzioni locali si stanno apprestando infatti a varare misure di razionamento idrico per la popolazione, mentre ci sono multinazionali come la Coca Cola che la sprecano senza alcun limite. Ed è proprio al grido di “riappropriamoci dell’acqua bene comune”, che i manifestanti si sono avvicinati ai cancelli con alcuni cubiteni vuoti (l’obiettivo simbolico era quello di riempirli di acqua appunto per riappropriarsene) e sono stati caricati dalle forze dell’ordine.

Lo stabilimento della Coca Cola di Nogara (VR) è uno dei più limpidi esempi di estrattivismo nel nostro Paese. La fabbrica – già nota per condizioni di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti i lavoratori – si avvale di concessioni che la stessa regione non ha mai voluto rinegoziare: meno di due anni fa un decreto del direttore della Direzione Ambiente escludeva addirittura l’azienda dalla procedura di V.I.A., rinnovando a tempo indeterminato l’uso delle derivazioni di acque sotterranee.
La Coca Cola continua a estrarre, sfruttare, produrre e incassare. «L’Adl Cobas nel 2017 aveva aperto in questo stabilimento contro il licenziamento di 40 persone» dice un rappresentante sindacale, «oggi siamo qua per altre ragioni, ma la logica è sempre la stessa perché stiamo parlando di sperpero di risorse pubbliche connesso a un grave sfruttamento del lavoro e dei beni naturali».

Nulla di più iniquo e diseguale, eppure si continua a non prendere alcun provvedimento. È la medesima logica “dell’emergenza”, che scarica verso il basso costi e responsabilità della crisi, che abbiamo visto palesarsi più volte negli ultimi anni, dalla pandemia alla guerra, passando per il “cambio” di modello energetico. «Forse è questa la “transizione” che hanno in mente i governi e le multinazionali: un nuovo grande terreno di accumulazione, a discapito di quella fetta di popolazione povera che si è fatta sempre più grande» dice un attivista di Rise Up 4 Climate Justice, che prosegue «nei giorni passati il Parlamento europeo ha approvato la nuova tassonomia che vedrà gas ed energia nucleare essere annoverate tra le rinnovabili. Questo, come lo sfruttamento incondizionato delle risorse del pianeta, è un altro passo verso la completa devastazione ecologica».

Coca Cola è solo una delle tante multinazionali del territorio che usano un bene comune a scopi industriali, continuando a mettere a profitto risorse sempre più scarse. Uno dei casi da poco emersi nelle cronache locali è quello di Acqua Vera a San Giorgio in Bosco, in provincia di Padova. L’azienda, che appartiene alla Nestlé, ha appena annunciato di voler creare un nuovo polo di imbottigliamento di oltre 37 mila metri quadri, raddoppiando di fatto la produzione.

E questo avviene nonostante 11 anni fa un referendum ha sancito che non ci potesse essere più alcun margine di business per l’acqua e che qualsiasi scelta sul servizio idrico dovesse passare attraverso il pieno controllo democratico. Non solo questo non è mai avvenuto, ma il trend a cui stiamo assistendo è l’esatto opposto: l’acqua sta diventando il simbolo della negazione della democrazia.

Ed è per questa ragione che Adl Cobas e Rise Up 4 Climate Justice annunciano che non si fermeranno nelle mobilitazioni per difendere un bene che le stesse Nazioni Unite definiscono “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.

India: arrestate 10 contadine adivasi che protestavano contro la rimozione illegale delle loro capanne. Le donne sono state molestate e trascinate via con forza dalle guardie forestali. Il CPI (maoista) chiede una lotta comune a sostegno degli agricoltori di Podu e le organizzazioni adivasi in Telengana proclamano un bandh (sciopero) per l’11 luglio.

Scontri tra tribali e polizia forestale, 10 arresti

C’è una situazione di tensione a Koyaposhagudem del distretto di Manchiryal di Telangana. Venerdì sono scoppiati scontri tra tribali e funzionari del Dipartimento forestale per il secondo giorno consecutivo, dopo che il personale del dipartimento forestale ha sgomberato con la forza le contadine adivasi dai terreni forestali che coltivano da generazioni e che permettono loro la sopravvivenza.

Circa 300 membri del personale del dipartimento forestale di polizia sono stati dispiegati a Koyaposhaguda di Dandepally mandal, nel tentativo di rimuovere le capanne.

A causa di questa azione del Dipartimento forestale, c’è molto risentimento tra i tribali che vi vivono. Per protesta, le contadine hanno cercato di fermare i poliziotti forestali con peperoncino in polvere e bastoni e si sono verificati scontri con la squadra del dipartimento, che ha arrestato con violenza 10 donne coltivatrici di podu.

Donne tribali che protestano contro la squadra del Dipartimento forestale

I video mostrano chiaramente il personale forestale che sgombera le donne, spogliandole dei loro vestiti e trascinandole con la forza.

Nel frattempo, lunedì 11 luglio, l’adivasi Adhikar Sangharsh Samiti ha chiesto un bandh nel distretto di Samyukta Adilabad contro il comportamento dei funzionari forestali con i tribali a Koyaposhagudem.

Condannando l’accaduto, l’organizzazione Adivasi Tudum Debba ha lanciato un appello invitando tutte le organizzazioni adivasi a bloccare gli uffici governativi nella regione un tempo unita di Adilabad, lunedì 11 luglio. Tudum Debba ha detto: “I contadini adivasi di Koyaposhagudem erano appena tornati dal carcere pochi giorni fa. Ora di nuovo il Dipartimento forestale li ha attaccati. Il primo ministro K Chandrasekhar Rao sembra essere dietro questi attacchi”. L’organizzazione Adivasi ha affermato di aver chiesto ripetutamente ai funzionari di risolvere la questione della terra di Podu, ma queste preoccupazioni non sono state affrontate.

“Il mese scorso, abbiamo fatto una manifestazione da Koyaposhagudem all’ufficio dell’Integrated Tribal Development Agency (ITDA) e abbiamo consegnato una rappresentanza all’ITDA Project Officer per risolvere immediatamente il problema. Questo attacco è avvenuto a causa del ritardo dei funzionari nell’affrontare la questione”, hanno affermato in una nota.

Tudum Debba ha affermato che i funzionari sono riluttanti ad affrontare la questione poiché sia ​​l’Unione che i governi statali vogliono sfrattare gli Adivasi dalla foresta.
Il presidente del distretto di Tudum Debba Adilabad, Godam Ganesh, ha chiesto che fosse intentata una causa contro i funzionari forestali che hanno attaccato e ferito le donne Adivasi. Ha detto che il personale coinvolto nel raid dovrebbe essere licenziato dal lavoro.

“In risposta alle molestie da parte dei funzionari forestali che hanno impedito agli agricoltori adivasi di coltivare nell’ex distretto di Adilabad presentando casi illegali, abbiamo chiesto il bandh. Esortiamo tutti i partiti politici ad estendere il loro sostegno a noi e rendere il bandh un successo”, ha detto Ganesh.

Tradizionalmente, gli agricoltori Adivasi sia in Telangana che in Andhra Pradesh hanno praticato l’agricoltura Podu, una forma di coltivazione a turni nella foresta. È in corso da anni un conflitto tra il Dipartimento forestale e gli Adivasi per la proprietà di queste terre. Nel distretto di Jayashankar Bhupalapally a Telangana vennero alla luce, nel 2017 gli atti barbarici del governo e del personale forestale, che per cacciare le donne adivasi che vivevano nelle foreste, le legavano agli alberi mentre davano fuoco alle loro capanne. Queste violenze, da parte dei funzionari forestali, sono quindi considerate un’abitudine dai tribali. In seguito, il governo statale aveva annunciato di concedere titoli di proprietà fondiari a richiedenti meritevoli. Tuttavia, il processo iniziato nel novembre 2021 è stato interrotto bruscamente il mese successivo.

Condannando la violenza contro gli Adivasi, il presidente del Congresso Telangana Revanth Reddy ha dichiarato: “Le terre dei Podu ora assomigliano a campi di battaglia. I distretti di Mancherial, Mahabubabad, Nagarkurnool e Khammam sono costantemente in preda alla questione della terra dei podu. Assicurando che daranno titoli di proprietà della terra a podu, KCR ha ottenuto voti e ora le donne vengono spogliate e trascinate via”.

In una dichiarazione pubblicata da The hindu il 6 luglio, il Comitato di Divisione Bhadradri Kothagudem-Alluri Sitarama Raju (BK-ASR) del CPI (maoista) ha chiesto una lotta comune per sostenere la causa dei coltivatori di podu danneggiati nelle aree tribali.

Nella dichiarazione, rilasciata dal portavoce ufficiale del partito maoista, il compagno Abhay, i maoisti hanno affermato che i contadini podu sono stati molestati e coinvolti in falsi casi per aver tentato di arare le terre forestali coltivate da loro per generazioni.

I maoisti hanno accusato le persone al timone nello Stato di non aver mantenuto la promessa pre-elettorale di affrontare tutte le questioni relative ai coltivatori di podu.

I maoisti hanno criticato il governo del BJP al Centro con l’accusa di aver tentato di diluire i diritti duramente conquistati degli Adivasi e di stendere un tappeto rosso sulle grandi entità aziendali per consentire loro di saccheggiare la ricchezza mineraria nelle aree forestali.

Hanno inoltre affermato che il CPI (maoista) estenderà il suo sostegno alle lotte di massa degli Adivasi per l’attuazione del Forest Rights Act, del Panchayats (Extension to the Scheduled Areas) Act (PESA) e del Land Transfer Regulation (LTR) Act di 1 del 1970.

Fonti:

https://www.abplive.com/news/india/telangana-a-clash-broke-out-between-tribals-and-forest-officials-to-vacate-the-huts-built-on-the-forest-department-s-land-ann-2163836

https://www.redspark.nu/en/peoples-war/cpi-maoist-calls-for-joint-struggle-in-support-of-podu-farmers/https://www.thehindu.com/news/cities/Hyderabad/cpi-maoist-calls-for-joint-struggle-for-podu-farmers/article65604085.ece