Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

13 settembre – Giornata per i Diritti dei Prigionieri Politici in India – comunicato internazionale

adesione di Soccorso Rosso Proletario

Il Comitato Internazionale di Sostegno alla Guerra Popolare in India (ICSPWI) saluta, appoggia e fa appello al proletariato mondiale, a tutte le organizzazioni rivoluzionarie, democratiche e antimperialiste a salutare e appoggiare a partecipare il 13 settembre Giornata per i Diritti dei Prigionieri Politici in India, e rendiamo omaggio rivoluzionario ai nostri compagni in prigione che incrollabilmente resistono e impugnano saldamente la bandiera rossa, dentro la campagna internazionale prolungata per la liberazione di tutti i prigionieri politici in India.

I compagni indiani scrivono ‘94 anni fa, sotto dominazione britannica, il rivoluzionario nazionalista Jatindranath Das iniziava lo sciopero della fame a oltranza insieme al compagno Bhagat Singh, per rivendicare il riconoscimento dei rivoluzionari come prigionieri politici. Cadde martire dopo 63 giorni di sciopero della fame. In memoria di questo grande martire, il PCI(maoista) il 13 settembre celebra la Giornata dei Diritti dei Prigionieri Politici. I governanti non solo non sono parte della lotta per l’indipendenza, vi si oppongono e sostengono i padroni coloniali. In questi giorni in modo spudorato e subdolo pretendono di festeggiare l’Azadi ka Amrut Kaal (il 75o dell’indipendenza). Ma ancor oggi nessun rivoluzionario è trattato come prigioniero politico in carcere in questo presunto grande paese democratico.

Il governo hindutva approva di gran lena, disegni di legge antidemocratici e incostituzionali nella loro marcia che prevede la costruzione di una nazione indù entro il 2047, centenario della cosiddetta

indipendenza dell’India. È nostra responsabilità prioritaria far fallire i loro sogni e difendere la biodiversità dell’India, comprese le minoranze religiose, in particolare le minoranze musulmane e cristiane, grazie alla vittoria della rivoluzione di nuova democrazia.

La lotta per la liberazione incondizionata dei prigionieri politici è compito urgente di tutte le forze solidali e parte integrante del sostengo, per la vittoria della loro guerra di liberazione.

La nuova campagna prolungata che comincia il 13 settembre in tutte le maniere possibili, adattata alle condizioni nazionali concrete di tutti i paesi, culminerà in una Grande Giornata Internazionale di Azioni il 25 novembre 2023

Libertà incondizionata per tutti i prigionieri politici!

Viva la guerra popolare in india!

Comitato internazionale di sostegno alla guerra popolare in India (ICSPWI)

settembre 2023

Prorogata la detenzione arbitraria di Khaled, cittadino talo-palestinese

Aggiornamento sulla detenzione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di “Allenby” e tuttora detenuto.

Il 7 settembre, come previsto, si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’udienza relativa alla proroga del suo trattenimento in carcere conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, quando dovrà comparire nuovamente davanti al giudice.

In questa udienza il detenuto e il suo difensore non hanno potuto comparire congiuntamente, finora impossibilitati per legge a vedersi e comunicare. In questa occasione si è appreso del suo trasferimento presso il carcere di Ashkelon.

La nostra viva preoccupazione è rivolta al totale spregio dei diritti di civiltà giuridica operati dalla legislazione israeliana ovvero alla violazione di quelle tutele, comunemente riconosciute in Italia (art. 13-24-111 della Cost.) e in Europa (art 6 CEDU) e in seno all’ONU (artt. 9-14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), la cui osservanza consente di definire un processo “equo” e un arresto “non arbitrario”.

Dopo 9 giorni di detenzione a Khaled è stato impedito di interloquire con il proprio difensore di fiducia e non potrà certamente incontrarlo quantomeno fino al 12 settembre.

E’ quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore ed è quindi solo mentre affronta domande pressanti poste dai poliziotti nella saletta di un carcere.

Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia e la sua possibile durata; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito.

Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità, fondati esclusivamente su meri sospetti e non su ‘indizi gravi di colpevolezza’.

Tuttavia, ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è la facoltà concessa all’autorità israeliana di poter sostituire, in difetto di prove, la detenzione penale con quella amministrativa.

Condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.

In considerazione dell’allarmante situazione detentiva di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione e il suo ritorno in Italia.

* Legale della famigliai di Khaled in Italia

Soccorso Rosso Proletario – comunicato

Luigia una compagna attiva, generosa che in questi anni è stata animatrice e principale gestora del blog Soccorso Rosso Proletario ha sostanzialmente ‘disertato’ per crisi ideologica e motivi ‘personali – ce ne dispiace e ci auguriamo che ritorni sui sui passi

intanto non gestisce più questo blog e non fa più parte di Soccorso Rosso Proletario

nuova rivolta al carcere ‘ assassino’ di torino

info

Torino – Una vera e propria rivolta è andata in scena ieri sera nel Padiglione C del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Intorno alle 19.30 un gruppo di detenuti ha incendiato materassi, buttato nei corridoi ogni tipo di oggetto presente nelle proprie celle, sradicato telecamere e lanciato le bombole del gas.

La scintilla sarebbe stata la solidarietà per un detenuto che pretendeva subito un medicinale che ha invece dovuto attendere. Il personale di polizia penitenziario in ferie è stato richiamato in servizio e due sezioni del Padiglione sono state evacuate per il fumo denso. Cinque agenti sono rimasti feriti. I danni sono ingenti e la calma è tornata solo dopo le 23.30.

Georges Abdallah mois de mobilisation du 21 septembre au 21 octobre 2023 – date de la 13e manifestation à Lannemezan.

bonjour camarade,
“À l’heure où la mobilisation pour sa libération, sur le terrain, dans la diversité de ses expressions, ne cesse de s’amplifier, Georges Abdallah vient de lancer une nouvelle offensive juridique en déposant le 8 juin dernier une dixième demande de libération-expulsion vers son pays, le Liban”. (extrait de la déclaration ci-jointe)
Pour imposer une décision favorable à cette nouvelle demande de libération, alors que Georges Abdallah entrera dans sa 40e année de détention le 24 octobre prochain, nous appelons à intensifier toujours plus notre/la mobilisation nationale et internationale dans ce rapport de force engagé contre l’Etat français.
Et en ce sens, la Campagne Unitaire pour la Libération de Georges Abdallah appelle cette fois encore à un nouveau mois international d’actions du 21 septembre au 21 octobre 2023 – date de la 13e manifestation à Lannemezan.
Faisons voir par nos actions et entendre partout où nous sommes et devant toutes les représentations de l’Etat français notre ferme détermination à arracher la libération de notre camarade et montrons l’ampleur du soutien à notre camarade en signant l’appel à ce mois international d’actions.
« Camarades et Ami·e·s, les diverses initiatives solidaires que vous avez développées dans cette campagne internationale depuis un mois, apporte un cinglant démenti à ceux et à celles qui misaient sur l’essouflement de votre mobilisation. » (Georges Abdallah)
 
Salutations rouges internationalistes et solidaires

ultime da Alfredo – scrivetegli

Alfredo Cospito, attualmente detenuto nel carcere di Bancali(Sassari) va meglio fisicamente e ha ripreso un po’ di peso dopo i sei mesi di sciopero della fame. Per ora riceve poca posta e la prigione non gli comunica niente quando tratteien lettere, cartoline o telegrammi a lui indirizzati. E’ stato lanciato un appello a scrivergli lettere o cartoline utilizzando l’invio in raccomandata con ricevuto di ritorno, per aumentare la possibilità che gli vengono consegnate o se vengono trattenute, che lui sia informato. inviare a Alfredo Cospito – casa circondariale G.Bacchiddu – strada provinciale 56, n.c.4- Località bancali- 07100- Sassari – Italia

 

il carcere assassino di torino

suicidi in carcere. Celle piene, violenze e fragilità lasciate esplodere. “Le donne soffrono di più”

Suicidi in carcere. Celle piene, violenze e fragilità lasciate esplodere. “Le donne soffrono di più”
(ansa)

OMA — La giovane ultrà della Sanremese persa nella droga. La donna nigeriana che voleva vedere il figlio di 4 anni, autistico. Gli ultimi due suicidi, entrambi nel carcere delle Vallette di Torino, illuminano una realtà sconosciuta: le donne in detenzione. Sono 2.510 su 57.749 reclusi, il 4,3 per cento di una popolazione carcerata che quest’anno è cresciuta ancora.

Il ministro della Giustizia in città dopo la giornata drammatica di venerdì che ha visto due donne, Susan John e Azzurra Campari, morire in carcere. I detenuti hanno protestato con fischi, urla e battiture sulle sbarre

È arrivato alle 11.30 nel carcere di Torino il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Fischi, grida e battitura contro le sbarre delle celle. Il sopralluogo nei padiglioni da parte del ministro della Giustizia è stato sonoramente contestato dai detenuti.  La protesta non riguardava un braccio in particolare. Le urla arrivavano all’esterno in modo uniforme da tutto il carcere e si sentivano anche, miste a fischi, fino al

cancello principale. Da qui, col passare dei minuti si sono iniziate a percepire anche le battiture dei detenuti sulle sbarre. Dall’interno arrivava anche il rumore di forti tonfi ripetuti, come fossero grandi oggetti, forse anche mobili, sbattuti contro qualcosa.

Ad accogliere il ministro, fra gli altri, c’erano la direttrice Elena Lombardi Vallauri, i garanti dei detenuti, Bruno Mellano e Monica Gallo, oltre al responsabile della sanità penitenziaria Roberto Testi. Il ministro ha chiesto di incontrare la psichiatra del carcere e ha voluto visionare i documenti relativi alle due detenute morte. Intanto sui due casi la procura di Torino ha aperto due inchieste. L’ipotesi di reato al momento è istigazione al suicidio (non ci sono indagati).

 

 

«Non si è trattato di sciopero della fame»

Ai giornalisti che gli hanno chiesto conto della morte di Susan John, domandandogli se si sarebbe potuto fare qualcosa di più per evitare la sua mancata alimentazione per venti giorni ha spiegato: «Questi sono dettagli tecnici che non abbiamo affrontato oggi, ma ho saputo che non si è trattato di sciopero della fame o di opposizione al governo o alla politica. Erano tutte sotto strettissima sorveglianza» . «Lo Stato non abbandona nessuno – ha aggiunto –  Purtroppo il suicidio in carcere è un fardello di dolore che affligge tutti i detenuti in molte parti del mondo ed è spesso imprevedibile. Non è vero che tocca a chi ha una prerogativa di ergastolo. Accade per ragioni imperscrutabili. Da pm ne ho trattati ahimè tanti e non esiste mistero più insondabile della mente umana quando uno cerca soluzioni così estreme. E  so perfettamente che quando vi sono degli eventi suicidari simili si apre un fascicolo e la magistratura è autonoma e sovrana nel procedere nelle indagini».

 

Nordio non è il primo ministro della Giustizia che visita il carcere di Torino, negli ultimi 2 anni. L’11 marzo 2022 la ministra Marta Cartabia aveva effettuato un sopralluogo in  due padiglioni del Lorusso e Cutugno dopo l’avvio dell’inchiesta sulle  torture ai detenuti che ha portato alla chiusura del Sestante (oggi riaperto dopo la ristrutturazione).

In quell’occasione aveva incontrato anche il sindaco Stefano Lo Russo assicurando un intervento, ma i problemi alle Vallette sono rimasti. A cominciare dal sovraffollamento, con oltre 1400 detenuti, rispetto ai 1100 posti disponibili, per arrivare alle croniche carenze di polizia penitenziaria. Una situazione di emergenza resa ancora più drammatica da una raffica di aggressioni, incendi e un alto numero di suicidi. Lo scorso anno nella casa circondariale torinese 4 persone si sono tolte la vita (peggio  solo Foggia ) e quest’anno si sono già registrati 3 suicidi, oltre alla tragico decesso della 42enne nigeriana Susan John, che si è lasciata morire di fame e di sete.

Giornata drammatica

Quella dell’11 agosto è stata probabilmente una delle giornate più drammatiche del sistema penitenziario piemontese. Che, ancora una volta, ha messo a nudo le carenze organizzative, strutturali e di organico. Ma anche gravi «buchi» nella comunicazione fra il «dentro» e il «fuori». Nel giro di poche ore due donne, Susan e Azzurra, 42 e 28 anni, sono morte nella casa circondariale di Torino mentre un terzo detenuto ha tentato il suicidio a Cuneo, ma è stato salvato dalla polizia penitenziaria.

Susan John si è lasciata morire di fame

Susan John, cittadina nigeriana, è stata trovata senza vita alle tre del mattino. Non mangiava e non beveva da 20 giorni, da quando era entrata in carcere e nella sua cella è stato trovato un biglietto di poche righe: «Se mi succede qualcosa chiamate il mio avvocato». La donna abitava con il marito e i due figli piccoli nel quartiere San Donato e si è lasciata caparbiamente morire di fame e di sete nell’Articolazione di tutela della salute mentale, il luogo più sorvegliato (anche con telecamere) dell’intera sezione. Era entrata in carcere lo scorso 22 e ha sempre rifiutato terapie, integratori e anche un ricovero d’urgenza in occasione dell’intervento del 118. Non si trattava di uno sciopero della fame e non ha mai inscenato proteste. Susan ha semplicemente deciso di «spegnersi in silenzio» e, incredibilmente, è riuscita nel suo intento in meno di tre settimane.

Il garante: «Non siamo stati avvisati»

«Sono davvero rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative a questa persona — afferma Monica Cristina Gallo, garante per i diritti delle persone private della libertà per la Città di Torino —. Sono stata nella sezione femminile poco tempo fa e ho visitato proprio una delle 4 celle dove sono ristrette le detenute che hanno particolari problemi e nessuno mi ha parlato di questa donna. Non ho avuto altre notizie neppure da altre detenute con le quali ho contatti regolari e da quando ho saputo la notizia mi interrogo sui motivi. Non conosco il caso, ma dalle poche notizie apprese mi sembra evidente che questa donna avesse bisogno di un supporto medico e psicologico costante. Magari non sarebbe cambiato nulla e magari l’autopsia dimostrerà che sono intervenute altre cause, ma almeno saremmo stati sicuri di aver fatto il possibile per evitare questa ennesima tragedia».

Ilaria Cucchi: «Si faccia chiarezza»

Dall’inizio dell’anno al Lorusso e Cutugno si sono registrati già 3 suicidi e la morte sospetta di un detenuto di 27 anni che aveva inalato il gas di una bomboletta. La drammatica vicenda di Susan, per certi versi, ricorda quella di Antonio Raddi, morto nel carcere di Torino nel 2019 dopo aver perso 25 chili. Diceva di non riuscire a mangiare e, debilitato, venne stroncato da un’infezione polmonare. La pm Delia Boschetto dovrà accertare che la situazione di Susan John, madre di due bambini piccoli, non sia stata sottovalutata, ma dal carcere assicurano che la detenuta è stata costantemente monitorata e che ha sempre rifiutato sia le cure che il ricovero d’urgenza.

«Questa è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico — ha commentato la senatrice Ilaria Cucchi —. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Chiedo venga fatta chiarezza». Susan John era stata accusata di gravissimi reati, compresa la tratta di essere umani da parte di un’organizzazione che, con minacce e riti esoterici, costringeva giovani ragazze a prostituirsi. Era stata condannata in via definitiva a 10 anni e 4 mesi di reclusione. Sarebbe tornata in libertà nel 2030, ma si è sempre professata innocente e da quando è entrata in carcere, di fatto, è diventata un «fantasma».

Azzurra Campari, impiccata nella sua cella

Leo Beneduci dell’Osapp , che pochi giorni fa aveva denunciato che nel carcere torinese gli agenti sono chiamati a piantonare a vista i detenuti a rischio per motivi sanitari, aggiunge: «Quello del malfunzionamento dei penitenziari in Italia si appresta a diventare l’esempio più eclatante delle molteplici contraddizioni, a discapito dei più deboli». Ed era sicuramente un soggetto debole Azzurra Campari, 28 anni, che doveva scontare un cumulo di pene che sarebbero terminate nel 2024. Piccoli furti che l’avevano fatta finire in carcere prima a Genova e poi a Torino, dove era considerata «a rischio», ma nonostante il monitoraggio venerdì pomeriggio è riuscita a impiccarsi nella sua cella.

«Era una ragazza con molti problemi e una vita complicata — ha dichiarato il suo avvocato Marzia Ballestra, di Imperia —. Ma aveva un grande cuore».

 

Detenute morte in carcere a Torino, la Procura apre due inchieste per istigazione al suicidio

Nei prossimi giorni verranno eseguite le autopsie. Secondo i primi accertamenti, Susan aveva smesso di mangiare e bere e Azzurra aveva disturbi psichici

Due inchieste della Procura di Torino chiariranno le circostanze in cui sono morte due detenute all’interno del carcere di Torino Lorusso e Cutugno. L’ipotesi di reato al momento è istigazione al suicidio (non ci sono indagati). I fascicoli sono affidati alla pm Dalia Boschetto e alla collega Chiara Canepa (quest’ultima da oltre un anno sta indagando anche sulle condizioni di vita dei carcerati all’interno del Sestante): Susan, 42 anni, si sarebbe lasciata morire, rifiutando acqua e cibo; Azzurra, che di anni ne aveva 28,  si è impiccata all’interno del penitenziario.

Il primo passo dei magistrati sarà quello di disporre le autopsie sui corpi delle donne. Susan, secondo i primi rilievi medici, sarebbe morta in conseguenza di uno squilibrio elettrolitico: aveva smesso di mangiare e di bere in segno di protesta, perché non poteva incontrare il proprio figlio. A quanto pare la donna veniva monitorata tutti i giorni, ma in alcune circostanze si sarebbe rifiutata di farsi misurare i parametri vitali. Il 6 agosto avrebbe avuto un malore, uno svenimento, e anche in qual caso avrebbe rifiutato cibo, acqua e interventi medici. Visitata il giorno prima di morire, Susan sarebbe apparsa lucida e orientata dal punto di vista psichico.
Anche Azzurra sarebbe stata monitorata dai sanitari, ma nel suo caso si parla di possibili problemi psichici.

 

 

Suicida nel carcere di Torino, Azzurra aveva 28 anni era detenuta per reati commessi tra il 2013 e il 2014

Lo scorso 29 luglio è stata trasferita nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, dove è stata ricoverata nell’Astm, l’Articolazione per la tutela mentale. Mamma Monica ha provato a fissare un incontro, ma senza riuscirci

Azzurra Campari era una ragazza dolce e molto sensibile, ma «ribelle», con un passato difficile alle spalle e un presente costellato da grandi passioni e piccoli reati. Aveva 28 anni, ma sembrava più piccola della sua età anagrafica. Assieme al fratello è cresciuta a Riva Ligure, in provincia di Imperia, cresciuta solo dalla mamma Monica, di cui ha voluto prendere il cognome. Il padre ha abbandonato la famiglia molto presto e la figlia non ha praticamente mai instaurato un rapporto con lui.

Dopo il primo triennio in un istituto alberghiero, con indirizzo turistico, ha abbandonato gli studi e si arrangiava con qualche lavoretto saltuario. È stata in cura al Serd per le sue dipendenze dagli stupefacenti che però sembrava aver superato, ma il passato ha presentato il conto lo scorso 27 aprile con un cumulo di pene per ricettazione, danneggiamento a seguito da incendio e oltraggio a pubblico ufficiale. Vecchi reati commessi tra il 2013 e il 2014 che avrebbe finito di scontare a marzo del 2025. Fuori dal carcere aveva già tentato il suicidio e la detenzione nel penitenziario di Genova ha acuito le sue fragilità.

Lo scorso 29 luglio è stata trasferita nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, dove è stata ricoverata nell’Astm, l’Articolazione per la tutela mentale. In teoria il reparto più sicuro dell’intera sezione detentiva femminile, con stanze singole, telecamere, monitoraggio costante e controlli medici due volte al giorno. Eppure venerdì pomeriggio, poco dopo le 17, mentre mamma Monica tempestava di telefonate il centralino per fissare un incontro, Azzurra è riuscita a suicidarsi impiccandosi con un cappio artigianale.

Torino, detenuta di origine nigeriana si lascia morire di fame nella sezione femminile del carcere. La garante: «Nessuno ci ha informato»

Aveva 43 anni. Da tre settimane rifiutava cibo e acqua. Era monitorata dai medici del carcere, ma avrebbe respinto qualsiasi tipo di terapia. Ilaria Cucchi: «Tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile»

Una detenuta si è lasciata morire, la scorsa notte, nella sezione femminile del carcere di Torino: rifiutava cibo e acqua fin dallo scorso 22 luglio, giorno del suo arrivo in carcere dalla Sicilia, dove era avvenuto il suo processo.

Garante: nessuno ci ha informato

«Sono rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona». È quanto afferma Monica Cristina Gallo, garante comunale per i diritti dei detenuti a Torino. «I nostri contatti sono regolari – afferma – eppure nessuno ci aveva informato. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però, almeno, avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa». «Provo rammarico – conclude Gallo – perché le informazioni, in chiave preventiva, andrebbero scambiate. Credo che sia il minimo. Si tratta di salvare delle vite».

Detenuta suicida, seconda morte in poche ore

E una seconda donna si è tolta la vita a distanza di poche ore, si è impiccata nella sua cella con un cappio artigianale.

 

Cucchi: «Si faccia chiarezza»

Sulla vicenda è intervenuta anche la senatrice Ilaria Cucchi: «Questa è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c’entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo venga fatta chiarezza anche per questo».

Chi era

La donna, di origini nigeriane,  Susan John, 43enne, era madre di due bambini e residente a Torino. Stava scontando una pena per cui era previsto il termine nell’ottobre 2030. A comunicare la notizia è il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, secondo il quale a nulla sono servite le sollecitazioni ad alimentarsi da parte dei medici e del personale.

 

Il sindacato

Il decesso intorno alle 3, nell’articolazione di salute mentale in cui era ristretta la detenuta, la morte è stata accertata dal personale medico e paramedico del 118, immediatamente chiamato dagli agenti. La donna si era sempre dichiarata innocente e si era da subito rifiutata di assumere alimenti pur non dichiarandosi ufficialmente, come avviene in questi casi, in «sciopero della fame». «Rifiutava ogni cura e sollecitazione a mangiare e persino i ricoveri in ospedale», ha spiegato il Segretario del Sappe Piemonte Vicente Santilli. Era monitorata dai medici del carcere, ma avrebbe respinto qualsiasi tipo di terapia e, nei giorni scorsi, si sarebbe opposta anche al ricovero d’urgenza quando le sue condizioni sono peggiorate.

«Il pur tempestivo intervento dei nostri Agenti di Polizia Penitenziaria di servizio non ha purtroppo impedito la morte della detenuta». «Quello del malfunzionamento del carcere in Italia si appresta a diventare l’esempio più eclatante delle molteplici contraddizioni, a discapito dei più deboli, che contraddistinguono la pubblica amministrazione. Mentre una detenuta nigeriana sarebbe morta di fame e di sete nel Carcere di Torino, risultano in piena ripresa le inchieste a vari livelli sulla qualità delle mense e gli appalti per i generi alimentari somministrati negli istituti penitenziari ai ristretti e al personale». Lo dichiara Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp.  «In tale marasma – dice ancora Beneduci – l’assenza più inaccettabile è quella dell’amministrazione penitenziaria. In ragione dell’evidente disastro chiediamo a gran voce alla maggioranza di governo il commissariamento delle carceri e l’avvicendamento degli attuali vertici».

La lettera delle detenute

Il 30 giugno scorso le detenute torinesi avevano scritto una lettera per denunciare l’ennesimo suicidio e denunciare le condizioni di vita negli istituti penitenziari della città.

 

La lunga emergenza carceri a Torino

«In Piemonte – osserva ancora Santilli – vi sono 13 istituti penitenziari sui 189 nazionali. La capienza regolamentare regionale stabilita per decreto dal ministero della Giustizia sarebbe di 3.999 reclusi, ma l’ultimo censimento ufficiale, al 31 luglio 2023, ne ha contati 4.036. È una delle regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti. Le donne sono 160, gli stranieri circa 1.600» Per Donato Capece, segretario generale del Sappe, «la situazione sanitaria nelle carceri resta allarmante.

«Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza. Da decenni chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per farli scontare le pene nelle carceri dei loro Paesi; chiediamo inoltre di prevedere la riapertura degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti».

 

Torino, detenuta suicida in carcere: seconda morte in poche ore

La donna, italiana, si è impiccata nella sua cella con un cappio artigianale

È sempre più drammatica la situazione del carcere di Torino. A poche ore di distanza dalla morte di Susan John, la donna di 42 anni che questa mattina si è lasciata morire di fame e sete nella sua cella, oggi pomeriggio, alle 17,30 circa un’altra detenuta si è tolta la vita impiccandosi con un cappio artigianale. A dare la notizia è l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria OSAPP. Secondo il segretario generale Leo Beneduci le carceri in Italia sono «le anticamere dell’inferno» e il carcere di Torino, in particolare, «ha assunto in pieno le caratteristiche dei gironi danteschi sia per i detenuti, sia per il personale».

Il sindacalista attacca: «Peccato che a non rendersi conto della reale gravità delle condizioni delle carceri Italiane siano proprio coloro che avrebbero dovuto intervenire da tempo in sede di amministrazione penitenziaria centrale e in ambito governativo per una carenza di organico di polizia penitenziaria di almeno 6 mila unità sull’intero territorio nazionale. Ad una grave mancanza di strumenti e di preparazione professionale (per fronteggiare risse, aggressioni, tossicodipendenze e patologie mentali) fanno da contraltare il crescente sovraffollamento detentivo e la fatiscenza delle infrastrutture spesso prive anche delle manutenzioni ordinarie. A fronte di un’emergenza che appare insanabile alle attuali condizioni – conclude Beneduci – non possiamo che ribadire l’estrema urgenza di provvedere ad un celere commissariamento del sistema penitenziario italiano».

Si tratta del terzo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno, a cui va aggiunta la morte di Susan John e quella di un detenuto di 27 anni che a marzo aveva inalato il gas di una bomboletta. Numeri drammatici che superano già quelli dello scorso anno.