Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

France Repression – Dissolution de Défense collective (et réactions) – info solidale

Mercredi 3 avril, le conseil de ministres a prononcé en France la dissolution de la Défense Collective (DefCo), un collectif rennais qui lutte contre la répression et vient en aide aux personnes inquiétées par la justice. Le soir même, la préfecture d’Ille-et-Vilaine a pris un arrêté pour interdire tout rassemblement. Même chose hier jeudi soir, mais cette fois, une centaine de manifestants se sont rassemblé place Saint-Anne, pour protester contre la dissolution. Les nombreuses forces de l’ordre déployées dans le centre-ville ont empêché tout regroupement (photo). Certains ont tenté de déployer une banderole, d’autres d’improviser une prise de parole. À chaque fois, CRS et gendarmes mobiles ont dispersé la foule. Dix interpellations. Vingt-six personnes ont refusé de décliner leur identité lors d’un contrôle, elles ont été conduites au commissariat.

riceviamo e pubblichiamo per info solidale – Anna Beniamino: La giostra della repressione

 

A quasi otto anni dagli arresti per Scripta Manent, per la seconda volta la Corte di Cassazione, il 24 aprile 2024, si pronuncerà sul reato di “strage politica”, ex art. 285 c. p., nei confronti di Alfredo e miei, ultimo scampolo rimasto in sospeso del processo (i), dopo una giostra di rinvii, ricalcoli e magheggi repressivo-giurisprudenziali (ii).

Benché l’iterazione dell’errore anestetizzi all’orrore, e viviamo tempi di orrori multipli ostentati e anestesie totali, credo ci sia ancora qualche parola da spendere sul tentativo di annientamento in atto, sulle reazioni, riuscite e tentate. Non tanto perché ritenga questo possa esser utile alle nostre personali sorti ma per una forma di testardo “romanticismo” che ritiene silenzio e rassegnazione letali sempre ed a maggior ragione in un processo politico.

Non avendo alcuna inclinazione a rassegnarmi in silenzio alla somministrazione della “giustizia” (come avviene quotidianamente nelle patrie galere) e neppure a farmi limitare dalla logica della riduzione del danno (altro caposaldo della sopravvivenza tra galera e tribunali) ma spostando l’attenzione alle politiche repressive sottese a questo ed alla capacità effettiva di reazione, di creare momenti di lotta e rottura, di costruire argini, individuali e collettivi, alla tracotanza della repressione.

Ho parlato di errore ed orrore perché questo sono le politiche repressive nella loro essenza, errore ed orrore che si mescolano nello stravolgere completamente il portato teorico e pratico del nemico, seppellirlo vivo e/o costringerlo all’arroccamento della difesa preventiva e delle riserve indiane della “controcultura” e della ricerca di “indignazione democratica” (che pure questa ormai è poco più di una riserva indiana, con una soglia di sensibilità che è sempre più spesso una cotenna inscalfibile nei più), strategia che fiacca sul breve periodo la reattività dei compagni e delle compagne impastoiati, più di quanto credano, in un senso di ineluttabilità degli eventi ed impossibilità a costruir reazioni.


Sette anni fa pensavo fosse possibile gestire il processo Scripta Manent come ordinaria repressione, ribattendo dal punto di vista tecnico, punto per punto, sia sui singoli accadimenti che sull’intero costrutto associativo, vista la labilità palese del castello accusatorio. Un eccesso di ottimismo sulla volontà e strategie politiche in atto ed una miopia imperdonabile nel non evidenziare subito con maggior forza quello che stava passando. C’è stato “bisogno” di 41bis ed ergastolo che aleggiavano per far puntare occhi ed attenzione.

Lungi dal voler ricadere nella retorica dell’“errore giudiziario”, dell’eccesso, perché dal punto di vista giurisprudenziale e probatorio è stato proprio quello il dato da ammettere a denti stretti da alcuni media mainstream (altri hanno mantenuto la barra dritta sulla mostrificazione) che per giustificare l’anarchico in 41bis dovevano con un certo imbarazzo contestualizzare i fatti ed il personaggio, oltre che collocare il cuore dello Stato, la sua sicurezza – la cui messa in pericolo è proprio ciò che caratterizza la strage politica – in un paio di cassonetti esplosi alle 3 di notte sulle mura di cinta di una caserma, e a dover glissare con pari imbarazzo sulle altre falle della sceneggiatura offerta da DNAA e procura torinese.

Lungi dall’“errore giudiziario” perché questa è volontà precisa, con convergenze tra castelli di carte di questura e gabbie di cemento vista cemento: la componente episodica (la carriera del singolo birro o magistrato, i media sempre pronti a pompare il nuovo pericolo, la propaganda più becera) c’è ma confluisce in una macchina ben avviata che necessita sempre di nuove teste tagliate da esporre sui bastioni della legge e dell’ordine. Poi a volte la macchina si inceppa… ed è dovere ed orgoglio di ogni antiautoritario farla inceppare.

In questi anni di galera e processi ho avuto modo di sperimentare in vivo una serie di forzature logiche e giuridiche che non pensavo potesse esser possibile concentrare in un’operazione singola, rendendomi parimenti conto che è il modus operandi di prassi tra procure e tribunali nell’estensione della legislazione “speciale”, da “emergenziale” a “quotidiana”, di antimafia e antiterrorismo: non più eccezione, ma la consueta gestione che la DNAA applicava e applica ai processi alla cosiddetta criminalità organizzata ampliata agli anarchici e che la giustizia in generale applica a quei segmenti di opposizione sociale e non omologazione isolati e facilmente attaccabili che ancora esprimono, seppure in forma germinale, la necessità di riprendersi le piazze, la parola e la dignità di un’opposizione non negoziata. Un attacco sinergico – alimentato da un clima politico non di un semplice governo di destra ma equivalente negli ultimi governi “politici” o “tecnici” che volessero definirsi – contro le componenti non recuperabili ai fini elettorali: in un generale abbassamento dell’asticella del penalmente punibile e del parallelo innalzamento del mediaticamente mostrificabile, si possono leggere le strategie in atto e le resistenze da opporvi.

In questo senso credo sia chiaro lo scritto di Juan (iii) nel cogliere il positivo, se non la necessità di porvi argine, oltre alle dovute domande critiche ed autocritiche di movimento.

Sul costrutto giuridico: castelli di carte

Mostrificare il nemico, è quello che avviene, prassi non eccezionalità. Sicuramente in maniera più raffinata nel caso di processi politici, dove il nemico interno deve venir sterilizzato da qualsiasi empatia critica/comunicativa, ma avviene anche nella gestione dei processi ai mondi e sottomondi malavitosi dove i reati e la minaccia sono ingigantiti. In cui sono gli stessi “malcapitati” che prima vengono usati e si ingrassano un po’ grazie agli “onori” criminali tributati dalle cronache giornalistiche per poi venir triturati, compostati e distrutti nel circuito carcerario: spacciatori di strada trasformati in boss malavitosi, in una commedia delle parti in cui vittime e carnefici si mescolano, tutti proni al dio denaro.

Negli ultimi anni l’ombrello della “lotta alla mafia” è diventato il paravento utile a coprire un contesto in cui le collusioni tra politica istituzionale e interessi economici gestiti con la manovalanza illegale sono la prassi, ed è altrettanto una prassi buttare via la manovalanza esausta. Su questo si è innestato l’allargamento della DNA a DNAA, con l’applicazione di strategie simili e di simili circuiti carcerari. Poco importa che i numeri effettivi dei prigionieri per reati classificati di terrorismo siano infinitesimali, la grancassa mediatica ha pompato comunque il nuovo claim “mafiosi e terroristi” da contenere in gabbie speciali.

Sui circuiti detentivi: gabbie di cemento vista cemento

Il contesto mediatico è funzionale a creare un meccanismo di silenzio/assenso rispetto a veline di Stato e di governo, fino a quando non si riesce ad opporre/imporre una narrazione diversa. I mezzi che abbiamo spesso sono in dosi omeopatiche rispetto alla potenza di fuoco mediatica del nemico, ma a volte efficaci.

Lo abbiamo sperimentato durante la lotta per liberare Alfredo dal 41bis. Lotta persa sull’obiettivo specifico, dove c’è stata sì una parziale “vittoria morale”, nel senso che si è rotto il muro del silenzio rispetto ad un circuito di tortura “bianca” in Italia, aprendo pure delle crepe sulla mostrificazione del nemico e sulla stretta repressiva sugli anarchici, ma il dato di fatto è che Alfredo è ancora ostaggio di quelle gabbie, a Bancali. Insomma è una lotta ancora aperta. E c’è da ragionarci su.

In seguito allo sciopero della fame prolungatosi alle soglie della morte, ad una mobilitazione vasta, non solo di area anarchica e preceduta da una netta presa di posizione pubblica di diversi avvocati (iv) che ha fornito un input anche alle aree di movimento più intimorite ad esporsi, si è verificato un cortocircuito informativo che qualche risultato ha dato, benché i tentativi di recupero più beceri per restaurare il mostro troppo umanizzato non si siano fatti attendere. Nella miglior tradizione giornalistica prima di creazione del personaggio e poi della sua scarnificazione e smembramento. Parziale, non tutto è recuperabile per quanto sia un procedimento faticoso opporvisi.

A distanza di qualche mese c’è stato pure qualche tentativo giornalistico/editoriale di storicizzare fatti ed idee in forma più onesta benché lavorando sempre sulla falsariga delle carte di polizia (che gli storici e cronachisti di professione hanno il vizio di considerare fonte certa, quando a volte queste lo sono in base a meri dati sugli eventi, a volte in quanto anche questi sono parzializzati o forzati, ma poi si affonda nell’abisso del travisamento funzionale di biografie, idee, citazioni, pensiero politico). Per cui anche in questi casi alla forza di un’istanza di lotta collettiva ed individuale si sostituisce un personaggio, l’eroe singolo e testardo, che alla fine fa comodo per liquidare il suo portato ideale e pratico, vendendo per romanticismo quella che è una lucida lettura, benché amara, senza sconti, della realtà.

Tra castelli di carte e gabbie di cemento: variabili e costanti della strategia repressiva

Un cambio di passo con Scripta Manent c’è stato sia sull’uso dei reati che dei circuiti detentivi. O meglio, ci sono state negli ultimi anni diverse accelerazioni, con una serie di procedimenti contro l’area anarchica ed antagonista, di cui le condanne draconiane nei processi Scripta Manent e nei confronti di Juan in primo grado a 28 anni sono state l’esempio più eclatante, con la concomitante cappa del 41bis fatta scendere a cavallo di questi. Il reato di “strage politica” – un reato-monstre che solo a pronunciarlo fa cadere l’interlocutore in un pozzo nero di indiscriminato terrore – associato al 41bis – il girone infernale dei supercattivi – probabilmente dovevano servire ad annullare qualsiasi tipo di reazione. Inoltre il cambio di passo con la condanna per 270bis, associazione sovversiva per la FAI, apriva agli anarchici la “fruizione” del reato associativo con la relativa lettura stravolta delle relazioni umane e della solidarietà tra compagne e compagni.

Mi spiego: da anni m’è capitato di scontrarmi, assieme a molte/i compagne e compagni, con il tentativo di svariate procure italiche, da sole o con comunione d’intenti repressivi, di appiopparmi il reato associativo assieme ad altri anarchici, ad iniziare dal processo Marini e via via con operazioni che partivano dai giornali anarchici, usavano qualche azione come reato scopo ed imbastivano la quasi stagionale operazione. Con Scripta Manent è passato come precedente giudiziario il reato associativo con finalità di terrorismo. Poco importa a questi fini che Scripta Manent, dopo gli esordi da mega inchiesta, sia riuscita ad appiopparlo – con un raffazzonatissimo sistema “insiemistico” di associazioni a scatole cinesi di attori inconsapevoli e soprattutto inspiegata “struttura” (v) – solo ad Alfredo, Nicola e me… serve comunque da precedente per una serie di operazioni successive in cui non c’è neppure più lo sforzo di costruire una storia plausibile tra fatti, giornali… come in Scripta Scelera: basta il fatto di fare un giornale a far partire il reato associativo. È passata tout court la logica repressiva sui giornali anarchici se questi danno la parola ai compagni in carcere. L’abbassamento dell’asticella della punibilità lo si legge anche nell’“autoaddestramento”, che da reato inventato per reprimere l’attivismo e proselitismo sul web di area islamica in caso di singoli, ora passa a coprire anche l’attivismo antiautoritario, per quanto siano fenomeni con fini e mezzi antitetici. Vale e serve la suggestione del “lupo solitario” se l’imputato è da solo. Si usano poi a profusione reati di “pericolo presunto”, mostrificazioni preventive, per sorveglianze speciali distribuite a piene mani.

Un altro cambio di passo è stato il tentativo di applicare il 41bis all’area anarchica. Prima di quanto successo con Alfredo c’era stato il preliminare tentativo di creare a L’Aquila un’AS2 sotto gestione GOM con trattamento sovrapponibile al 41bis (in un allargamento di quanto già applicato a detenuti/e classificati islamici, prima a Badu ‘e Carros per le donne e a Rossano Calabro per gli uomini). Tentativo arginato con uno sciopero della fame congiunto di compagne e compagni all’epoca prigionieri in varie carceri e per differenti inchieste giudiziarie (vi). Senza dimenticare che il regime di 41bis è nato come sospensione speciale e temporanea, preceduto dall’articolo 90 che con misure simili negli anni ’80 rispose alle rivolte carcerarie, si è cristallizzato come “baluardo” antimafia per poi essere applicato ai prigionieri rivoluzionari comunisti con periodici rinnovi automatici, e rimane tuttora un deterrente e mezzo di pressione. Insomma: usi diversificati alla bisogna… succede sia per gli articoli del codice penale che per le gabbie di cemento.

Ora, per non ricadere nella mistica paralizzante di una macchina repressiva che tutto distrugge tra pene esemplari, desertificazione delle piazze e censura totale, bisogna pure dare un’occhiata alla capacità effettiva, che c’è stata e c’è, di non farsi mettere totalmente con le spalle al muro da questo. Anzi, in alcuni casi (e con costi non indifferenti o con la leggerezza della ragione che sia) si è riusciti a ribaltare la narrazione imposta ed a costruire qualcosa di nuovo. Anche in un’inaspettata convergenza di attenzione ed intenti che potenzialmente c’è stata e probabilmente si è spenta troppo velocemente in quell’incostanza che non è prerogativa solo dei movimenti ma costume diffuso.

Certo non sono tempi di praterie in fiamme ma neppure solo di pompieri e rassegnati. C’è una componente che resiste e persiste, ma subisce un po’ troppo di frequente la stanchezza costituzionale di pensar di passare la vita a combattere contro i mulini a vento, quando i venti so’ pure contrari!

Non credo negli eroi né nei superuomini ma nella coscienza che donne e uomini debbano costruirsi, che la lotta non è gratis, implica contraccolpi e cadute, resistenze ed ondivaghe botte d’autostima. E che ne valga la pena, sempre e comunque, per la qualità dei rapporti che si costruiscono, non di sopravvivenza ideale ma di vita quanto mai reale.

Anna Beniamino
Rebibbia, marzo 2024

Note:

i. Vedi: https://ilrovescio.info/2022/11/07/scripta-manent-appunto/

ii. Se serve… un breve riassunto:
– L’appello del 2020 aveva confermato le condanne per 422 c. p. (strage “comune”) – benché il GIP l’avesse già riqualificata in 280 c. p. – per Alfredo e me e le condanne per 270 bis, riducendo le dimensioni dell’associazione sovversiva e liberando 2 compagni dall’accusa di partecipazione che era passata in primo grado. Altra contraddizione tra le due sentenze è quella relativa all’istigazione a delinquere a mezzo riviste e blog, caduta in primo e riconosciuta in secondo grado per 13 compagni e compagne. Tra la strage e i vari reati in continuato il secondo grado condannava Alfredo a 20 anni e me a 16 anni e 6 mesi.
– La Cassazione del luglio 2022 ha riqualificato direttamente (senza rimandare in appello) il 422 c. p. in 285 c. p. (strage “politica”) in quanto a titolo di reato, lasciando ai giudici d’appello bis cinicamente l’onere del ricalcolo della pena, che, essendo il 285 c. p. un reato a pena fissa, sarebbero state ergastolo e 30 anni.
– All’udienza d’appello bis del dicembre 2022 (a cui ci presentammo, con Alfredo, in sciopero della fame contro il 41 bis ed ergastolo ostativo) furono accolte alcune delle questioni poste dalla difesa, in particolare quelle sulla mancata applicazione delle attenuanti ad Alfredo, rimandando il quesito in Corte Costituzionale che nel maggio 2022 ha risposto positivamente.
– Nell’udienza d’appello del giugno 2022, a seguito delle indicazioni della Corte Costituzionale, le condanne sono state quantificate in 23 anni per Alfredo e 17 anni e 9 mesi per me.
– La procura torinese è ricorsa in Cassazione contro la concessione ad entrambi del 311 c. p. (lieve entità del fatto) e contro la prevalenza delle attenuanti rispetto alla recidiva concessa ad Alfredo. Le difese hanno fatto ricorso sollevando nuovamente una questione costituzionale rispetto alla pena fissa.

iii. https://ilrovescio.info/wp-content/uploads/2024/01/considerazioni-juan.pdf

iv. https://ilrovescio.info/2022/11/17/la-parola-agli-avvocati-2-nuovo-documento-e-nuove-adesioni-contro-la-repressione-degli-anarchici/

v. La stessa sentenza di Cassazione del luglio 2022, dopo anni ed anni di processo, liquida l’associazione con poche righe che non tentano neppure di giustificare lo schema, che diventa autoportante, per cui Alfredo, Nicola ed io saremmo “associati di lunga data che hanno rivestito posizione apicale nella FAI”, senza spiegare da nessuna parte su cosa si basi quest’affermazione assiomatica. Ammettendo in maniera manifesta le “immanenti problematiche” ad “identificare, sulla base di evidenze che hanno assunto le più disparate morfologie, nei differenti coefficienti di intensità indiziaria scrutinati, una cellula eversiva strutturata attorno a 3 nuclei soggettivi, affasciati da scopi comuni, comuni risorse, comuni idealità, metodi replicati, conoscenze condivise, solidarietà manifestate […]”. Cioè, detto in termini più grezzi: sono una cellula eversiva perché sono anarchici che si conoscono da tempo. Punto. L’idea anarchica è il collante, la sostanza dell’associazione.

vi. Queste le parole con cui iniziò lo sciopero nel maggio del 2019:
“Ci troviamo da quasi due mesi rinchiuse nella sezione AS2 femminile de L’Aquila, ormai sono note, qui e fuori, le condizioni detentive frutto di un regolamento in odore di 41bis ammorbidito.
Siamo convinte che nessun miglioramento possa e voglia essere richiesto, non solo per questioni oggettive e strutturali della sezione gialla (ex-41bis): l’intero carcere è destinato quasi esclusivamente al regime 41bis, per cui allargare di un poco le maglie del regolamento di sezione ci pare di cattivo gusto e impraticabile, date le ancor più pesanti condizioni subite a pochi passi da qui, non possiamo non pensare a quante e quanti si battono da anni accumulando rapporti e processi penali. A questo si aggiunge il maldestro tentativo del DAP di far quadrare i conti istituendo una sezione mista anarco-islamica, che si è concretizzato in un ulteriore divieto di incontro nella sezione stessa, con un isolamento che perdura.
Esistono condizioni di carcerazione, comune o speciale, ancora peggiori di quelle aquilane. Questo non è un buon motivo per non opporci a ciò che impongono qui.
Noi di questo pane non ne mangeremo più: il 29 maggio iniziamo uno sciopero della fame chiedendo il trasferimento da questo carcere e la chiusura di questa sezione infame. Silvia e Anna”.

[Ricevuto via e-mail e pubblicato in https://lanemesi.noblogs.org/post/2024/04/07/anna-beniamino-la-giostra-della-repressione/]

Carcere di Bologna: omicidio colposo con previsione ?

Esposto alla Procura della Repubblica di Bologna e a chiunque interessato/a di Vito Totire, medico del lavoro/psichiatra, presidente centro “Francesco Lorusso”

Gli organi di informazione hanno notificato l’evento del decesso di una donna privata della libertà che sarebbe morta a causa o in concomitanza dell’uso di una bomboletta di gas butano; siamo intervenuti di recente (20 marzo 2024 ) su un evento analogo accaduto nel carcere di Modena nel 2023 il che ci ha consentito di analizzare in maniera aggiornata la questione legata al rischio in esame; facciamo dunque alcune osservazioni rispetto all’evento di Bologna :

  • Gli usi possibili della bomboletta di gas butano sono noti; accanto all’uso per la preparazione dei cibi compatibile con la vita in campeggio (non a caso il nome di “bomboletta da campeggio” e non di “bomboletta da penitenziario”), vi sono altri usi ben noti a tutti e noti dunque anche alla amministrazione penitenziaria, ai medici del carcere, a tutti i soggetti istituzionali che si occupano di questioni relative alla salute delle persone ristrette
  • Pur constatato il frequente uso con finalità cosiddette voluttuarie e/o autolesioniste e suicidarie le istituzioni non hanno adottato le necessarie e semplici misure di prevenzione; auspichiamo che vengano chiamate a spiegare una condotta che, a nostro avviso, si configura come omissione di misure di sicurezza
  • I dati epidemiologici dicono che la bomboletta è il secondo mezzo (5.6%) utilizzato per atti suicidari dopo la impiccagione (1) ; noi , in sintonia con la letteratura scientifica sul tema, non riteniamo che la prevenzione del suicidio si limiti all’impedire l’accesso al mezzo ma RITENIAMO CHE LA FACILITA’ DELLA DISPONIBILITA’ DEL MEZZO FACILITI FORTEMENTE IL PASSAGGIO ALL’ATTO
  • Se la incidenza dell’uso della bomboletta si riesce a quantificare negli atti suicidari è più difficile farlo negli atti para-suicidari (tentativi “non riusciti” di suicidio) e negli atti autolesionisti che anche quando censiti non sono abitualmente “classificati” in quanto ai mezzi usati
  • Apparentemente incomprensibili le motivazioni della facile disponibilità e del facile accesso per tutti alla bomboletta ; incomprensibili solo apparentemente , a nostro avviso, in quanto in verità la bomboletta è un maldestro , mortifero tentativo di supplire alle gravi mancanze del penitenziario per quel che riguarda la gestione dei pasti e della alimentazione; in altri termini “il carcere” tollera il facile accesso a un mezzo mortifero per tentare, senza successo, di tamponare le sue lacune e le sue inadempienze; infatti : 1) la carta dei diritti dell’Onu relativa alle persone private della libertà recita che occorre garantire , per ragioni igienistiche ma anche psicologiche, il refettorio, che come è noto nel carcere di Bologna (e in quasi tutti gli altri penitenziari italiani) non esiste il che costringe a consumare i pasti in cella (averla definita camera di pernottamento…non merita commenti) con una grave commistione dello spazio dedicato ai bisogni fisiologici con quello in cui si lavano le stoviglie; per far fronte a questa umiliante e rischiosissima condizione-palese violazione dei diritti sanciti dalla carta dell’ONU del 1955 adottata , ancorché tardivamente, anche dalla UE- “IL CARCERE” consente la libera distribuzione di gas butano !!! Una distribuzione del tutto, di fatto, libera in quanto, nonostante qualche impacciato tentativo di selezione, chiunque, anche se personalmente escluso dall’accesso al mezzo mortifero, se la può procurare; i partecipanti al “gruppo di auto-aiuto carceri” informano che una bomboletta è acquistabile da un detenuto che ne sia stato privato con due pacchetti di sigarette o con sei euro;
  • Forse quanto fin qui esposto potrebbe essere considerato “opinione” della associazione scrivente; in sostanza utopia e speranza irrealistica in un mondo migliore? Tuttavia vediamo che nell’ultimo rapporto semestrale della Ausl di Bologna il “problema” delle bombolette di gas viene affrontato

con una proposta chiara: EVITARNE L’USO E LA DISTRIBUZIONE; la Ausl giunge alla suddetta conclusione -e fa anche una proposta tecnica alternativa- in relazione a rischio incendio, scoppio , ecc.; non vogliamo fare la esegesi del testo ma ci pare evidente che “ecc.” possa essere interpretato nel senso che chi ha compilato il rapporto  “minus scripsit quam voluit” forse con la aspettativa che i destinatari del report semestrale potessero facilmente comprendere gli “eccetera” che, comunque sia, sono fin troppo evidenti, almeno a noi

  • nessuno dei destinatari del rapporto semestrale (inviato nell’ottobre 2023) pare aver dato cenno di interessamento fattivo al tema ; noi, a differenza dei destinatari ufficiali/istituzionali, il suddetto rapporto non lo riceviamo d’ufficio, dobbiamo chiederlo, a volte reiteratamente, ma in conclusione avendolo acquisito abbiamo avuto modo di farne una lettura critica.

La donna di 55 anni, slovacca (altro non sappiamo) di cui parliamo è stata vittima di una condotta che si configura come grave omissione di misure di prevenzione in un contesto nel quale deve essere evitata la accessibilità al gas butano in relazione al profilo di rischio della popolazione detenuta, per questi motivi:

  • esistenza di una forte pulsione tossicofila e di una rilevante quota di persone tossicodipendenti
  • elevatissima presenza di persone in trattamento con psicofarmaci che entrano facilmente in sinergia negativa con il gas butano in particolare per la depressione della capacità respiratoria e per gli effetti collaterali a danno dell’apparato cardiovascolare; i dati epidemiologici a questo riguardo sono netti ed esaustivi; appunto il carcere differisce dal campeggio sia per le condizioni ambientali sia per le caratteristiche socio-sanitarie delle due distinte popolazioni

Conclusioni: avanziamo la ipotesi che possa essere congrua una indagine che valuti se l’evento possa configurarsi come omicidio colposo con previsione nel contesto di “colpa di organizzazione”.

Riteniamo che la Procura della Repubblica, a partire da questo ennesimo evento luttuoso, possa adottare iniziative e stimoli finalizzati alla bonifica di un rischio mortale e morbigeno che può e deve essere azzerato.

A disposizione per eventuali approfondimenti necessari.

(1) L’ultimo rapporto della Ausl di Bologna è commentato nell’articolo pubblicato dalla rivistaVoci di dentro n.51 febbraio 2024 pp.44-47

Turchia repressione info

Italiana, osservatrice alle elezioni in stato di fermo in Turchia
Anna Camposanpiero è partita per la Turchia questa mattina invitata dai compagni curdi per le elezioni amministrative di domenica 31 marzo. 
Doveva svolgere il ruolo di osservatrice alle elezioni su invito del partito della Sinistra Verde nato dopo la messa fuorilegge del partito Hdp ma nella Turchia di Erdogan la repressione continua a colpire le forze di opposizione, i movimenti di sinistra e in particolare quello curdo.
Arrivata a Istanbul alle 17 ora locale, è stata fermata al controllo passaporti, portata in una stanza, gli hanno ritirato il passaporto e il bagaglio. Preso impronte digitali e foto segnaletica. Si è rifiutata di firmare un documento di cui non capiva il contenuto e si è rifiutata di consegnare il cellulare. E’rinchiusa in una stanza con altre 4 persone in attesa di espulsione. 

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18.März: Zusammen gegen Repression (Hamburg)

Der Staat baut seit Jahren schon seine Befugnisse aus. Vor allem Polizei und andere Sicherheitsbehörden bekamen weitreichende Rechte, während die Grundrechte immer weiter ausgehöhlt wurden. Im aktuellen Rondenbarg-Verfahren nimmt die Justiz Rache für den Gesichtsverlust beim G20 Gipfel und gleichzeitig will man so das Versammlungsrecht weiter einschränken. Linke Demonstrationen sehen jetzt schon von außen eher aus wie Polizeiaufmärsche. Wenn überhaupt demonstriert werden darf, denn viele Themen sollen aus dem Stadtbild verschwinden, Palästinenser:innen war es u.a. in Hamburg am längsten verboten ihr Anliegen auf die Straße zu tragen.

Antifas aus dem Knast!

Mittlerweile sitzen mehrere Antifaschist:innen in deutschen Knästen. Auch wenn Regierungsvertreter:innen sich gern auf Anti-AfD-Demonstrationen ablichten lassen, wird in diesem Land ein konsequenter Antifaschismus immer noch mit langjährigen Haftstrafen verfolgt. Bei kleineren Aktionen wie dem Protest gegen Alexander Gauland (AfD) im Hamburger Rathaus sollen mit massenhaften Geldbußen Aktivist:innen abgeschreckt werden. Aber auch die europäischen Nachbarn stehen dem in nichts nach, so sind u.a. mehrere Antifaschist:innen in Budapest vor Gericht angeklagt, weil sie die faschistische Demonstration Tag der Ehre zu verhindern versuchten, andere sollen an Ungarn noch ausgeliefert werden.

Migrantische Genoss:innen vergessen wir nicht!

Der deutsche Staat schlägt mit noch größerer Härte vor allem auf türkische und kurdische linke Strukturen ein. Leider wird dies von der Öffentlichkeit kaum wahrgenommen. Mit einem konstruierten Terrorvorwurf (§129b) werden immer wieder Menschen eingesperrt, obwohl man ihnen persönlich keinen konkreten Tatvorwurf macht. Alleine eine angebliche Mitgliedschaft in der PKK (Arbeiterpartei Kurdistands) oder der DHKP-C (revolutionäre türkische Organisation) reicht für mehrjährige Haftstrafen aus, so macht sich Deutschland zum Handlanger Erdogans.

Kein Mensch ist illegal?

Geflüchtete werden in diesem Land immer noch in Lager gesperrt und mit einer Residenzpflicht belegt, so dass sie sich nicht frei bewegen dürfen. Es wurde ein ganzes System der Diskriminierung geschaffen, überall gibt es Abschiebegefängnisse. Dort wird man eingesperrt, falls sonst die Abschiebung erschwert oder vereitelt werden würde. Die aktuelle Bundesregierung hat mit dem „Rückführungsbeschleunigungsgesetz“ diesen entrechteten Menschen weitere Schikanen auferlegt. Sie versuchen der radikalen Rechten den Wind damit aus den Segeln zu nehmen, dass sie ihre Politik umsetzen.

Keine Knete, dann Knast!

Jedes Jahr müssen etwa 55.000 Menschen eine Ersatzfreiheitstrafe absitzen, weil sie sich die Geldstrafe nicht leisten können. So kann man fürs Schwarzfahren in den Knast gehen, aber z.B. fürs falsch Parken nicht. Mehr als 50 % der Menschen sitzen wegen Eigentumsdelikten in den Gefängnissen. Kaum sind darunter reiche Steuerbetrüger, weil ihnen häufig Deals angeboten werden, während die „kleinen Fische“ in den Knast gehen. Dies ist ein Ausdruck der Klassenjustiz. Im Knast werden die Gefangenen dann unter schäbigen Bedingungen für paar Euro die Stunde auch noch ausgebeutet. Die schlechten Verhältnisse in den Gefängnissen machen die Menschen psychisch und gesundheitlich kaputt.

Ob draußen oder drinnen sollen wir mit diesem System der Strafe domestiziert werden, damit die Eigentumsordnung weiter durchgesetzt wird, aber diese Ordnung bedeutet für uns immer Ausbeutung und Unterdrückung. Wer sich mit den Verhältnissen nicht abfinden will und sich für eine bessere Welt einsetzt, dem droht in dieser Gesellschaft der Polizeiknüppel und auch der Knast. Lassen wir die Betroffenen nicht alleine, halten wir immer zusammen und sind solidarisch, wenn der Staat wieder Linke verfolgt und schlagen wir organisiert zurück!

  1. März ist der „Tag der politischen Gefangenen“

Historisch wurden an am 18.März an den Aufstand der Pariser Kommune im Jahr 1871 erinnert, aber auch an ihre Zerschlagung und die folgende Repression. 1923 erklärte die Internationale Rote Hilfe den 18.03. zum ‚Internationalen Tag der Hilfe für die politischen Gefangenen‘. Nach dem Faschismus gab es erst seit 1996, auf Initiative linker Gruppen und der Roten Hilfe, einen Aktionstag für die Freiheit der politischen Gefangenen. Seitdem finden jedes Jahr Veranstaltungen und Aktionen statt

Demo/Konzert 17:30 Uhr Zum Grüner Jäger/Arrivati Park

https://de.indymedia.org/node/346728

Turchia – sciopero della fame dei prigionieri politici rivoluzionari nelle prigioni tipo F

Hunger strike by prisoners in Tekirdağ F Type Prison No 1

TKP-ML and MLKP prisoners in Tekirdağ F Type Prison No 1 went on a hunger strike in support of the hunger strike by PKK prisoners against the isolation in İmralı Island and violations of rights in prisons since November.

TKP-ML and MLKP prisoners in Tekirdağ F Prison No 1 organised a 3-day hunger strike to support the hunger strike of PKK prisoners and against the deepening violations of rights in prisons.

According to the information we received through the families of the prisoners, Murat Deniz, Yaşar Eriş, Bülent Kapar, Ahmet Doğan, Ümit Emrah Köse, Ercan Görtas, Özgür Dinçer went on a 3-day hunger strike on 12,13,14 March.

In the message they sent, the prisoners said, “We went on this hunger strike in solidarity with the hunger strike that has been going on since November and against the increasing violations of rights in prisons.”

Source: https://ozgurgelecek51.net/tekirdag-1-nolu-f-tipi-hapishanesindeki-tutsaklardan-aclik-grevi/

Anan dal carcere di Terni: “La resistenza non è terrorismo

 

l 14 marzo si è svolto l’interrogatorio di garanzia di Anan Yaeesh nella Casa Circondariale di Terni. La prospettazione accusatoria accolta dal GIP del Tribunale dell’Aquila è relativa all’ organizzazione di un gruppo terroristico denominato “Brigata Tulkarem”, operante nella città di Tulkarem in Cisgiordania, gemmazione delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa. 

Anan ha rilasciato una lunga e articolata dichiarazione spontanea pronunciando un j’accuse nei confronti del carattere squisitamente politico dell’indagine. In particolare, ha raccontato la condizione di oppressione e violenza subita dal popolo palestinese sottoposto al giogo militare israeliano nell’indifferenza della comunità internazionale. Ha raccontato la sua storia di giovane palestinese, l’uccisione della sua fidanzata ad opera dell’esercito israeliano mentre andavano a scuola, le mani sporche del sangue della ragazza, il tentato omicidio di cui è stato vittima nel 2006 ad opera di soldati israeliani, gli 11 colpi di arma da fuoco da cui è stato raggiunto, l’orrore provato dalla madre alla vista del suo ferimento e del conseguente ictus da cui la stessa fu raggiunta perdendo per sempre le capacità cognitive, i suoi amici uccisi dall’esercito.

Ha affermato di rifiutare lo stigma del terrorista per sé e per il suo popolo, ha ricordato che tutti i popoli hanno diritto a lottare per la loro libertà contro l’esercito invasore, ha paragonato la lotta palestinese a quella dell’Italia durante la resistenza, e ha sottolineato che, piuttosto, nessun Paese occidentale ha mai tentennato nel sostenere l’Ucraina, che fino ad oggi è anche stata armata dello stesso occidente. Ha ricordato l’orrore della guerra di Gaza e i 30 mila morti palestinesi di cui oltre due terzi donne e bambini, e retoricamente chiesto chi sono i terroristi.

Ha ricordato inoltre che la lotta per la Palestina si gioca nei territori occupati e non altrove, riferendosi con ciò agli articoli di giornali che paventavano il pericolo di atti di violenza in Italia. Ha concluso dicendo di volere soltanto la pace e la libertà per il proprio popolo.

Comitato per la liberazione di Anan Yaeesh

Per scrivergli:

  • Anan Yaeesh, casa circondariale di Terni – Strada delle Campore, 32, Terni CAP 05100
  • Mansour Doghmosh, casa circondariale di Rossano –  Contrada Ciminata, Rossano (CS) CAP 87068
  • Ali Saji Rabhi, casa circondariale di Ferrara – Via Arginone, 327, Ferrara CAP 44100