Soccorso Rosso Proletario

Soccorso Rosso Proletario

Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Iran, dalle prigioni l’appello a continuare la lotta di piazza contro il regime…

Si allarga la protesta contro il regime fascio-islamico degli Ayatollah. Dal carcere di Rajaeeshahr a Karaj, dove sabato scorso un detenuto è stato ucciso e più di 100 sono stati feriti da percosse e colpi di arma da fuoco durante la rivolta scoppiata nel penitenziario per protestare contro l’imminente esecuzione di un prigioniero, Saeed Eqbali, attivista per i diritti umani e prigioniero politico, in una telefonata alla famiglia fa appello a non svuotare le strade, a continuare a lottare per fermare l’esecuzione dei manifestanti in Iran.

Saeed Eqbali dal carcere Rajaei Shahr a Karaj (traduzione in italiano):

Iqbali ha anche informato della custodia di un certo numero di donne arrestate di recente nell’8° reparto della prigione di Rajaei Shahr a Karaj, noto come il centro di detenzione del Ministero dell’Informazione, e ha espresso preoccupazione per le loro condizioni.

Le donne arrestate infatti vengono torturate e stuprate fino alla morte, come è successo di recente a una ragazza di 14 anni di un quartiere povero di Teheran che ha protestato togliendosi il velo a scuola. La ragazza, di nome Masoomeh, è stata identificata dalle telecamere della scuola e arrestata; non molto tempo dopo, è stata portata in ospedale con gravi lacerazioni vaginali. La ragazza è morta e la madre, dopo aver dichiarato di voler rendere pubblico il caso della figlia, è scomparsa. Di casi come questo ce ne sono purtroppo tanti, troppi, ed è veramente osceno e vergognoso il modo in cui i media italiani ne diano notizia. “Iran: 14enne muore dopo arresto perché non portava il velo“, ecco quello che ha da dire l’ANSA dopo oltre 500 morti, 30000 imprigionati, le esecuzioni per chi protesta ed ogni tipo di brutale violenza sui prigionieri, comprese le violenze sessuali a morte.

Dalle prigioni la protesta si allarga alle mobilitazioni che proseguono in tante città, alle lotte dei lavoratori, con gli scioperi che sono in aumento e che uniscono alla solidarietà, alle proteste contro il regime, le rivendicazioni economiche e contro il sistema di lavoro.

Anche in Italia proseguono le manifestazioni di solidarietà con la rivoluzione del popolo iraniano, contro lo stato e il governo italiano che continuano a collaborare con il regime reazionario fascista degli Ayatollah.

A Bergamo anche domenica scorsa si è manifestato contro le esecuzioni, contro il regime fascio-islamico iraniano, per una ribellione popolare che non può fermarsi, perché l’unica soluzione è la rivoluzione.

Libia o Italia? Le condizioni terrificanti per richiedere protezione internazionale a Milano

Da Milano in movimento

Pubblichiamo di seguito la denuncia del Naga riguardo i fatti della mattina lunedì 19 dicembre:

Dove abbiamo girato queste immagini?

In via Cagni a Milano davanti agli uffici della Questura aperti appositamente per ricevere le domande di protezione internazionale.

Lo scorso autunno gli uffici vennero trasferiti in quella sede decentrata, e via Cagni e i giardini adiacenti vennero provvisti di gabinetti chimici: un chiaro segnale del fatto che si mettevano in conto le lunghe file di persone in attesa di poter accedere agli uffici.

All’epoca venivano accettate solo dieci domande al giorno. A partire dalla settimana scorsa la Questura ha cambiato approccio scegliendo di dare il lunedì mattina degli appuntamenti per la manifestazione dell’intenzione di presentare la domanda, limitando però il numero di accessi a 120 persone alla settimana: molte ma molte di meno di quelle che si trovano normalmente in coda.

“Queste immagini rendono del tutto evidente come la gestione dei flussi di persone che, ormai da più di un anno, si accampano nella speranza di accedere a un diritto fondamentale, sia del tutto sfuggita di mano alla Questura di Milano che si vede costretta a far intervenire due furgoni con uomini in assetto antisommossa” dichiara Anna Radice, Presidente del Naga.

“Ogni giorno viene così violato il diritto costituzionalmente garantito a chiedere asilo, e l’accesso all’ufficio che per legge sarebbe deputato a garantirlo viene addirittura gestito come una questione di ordine pubblico” prosegue la Presidente.

“Ancora una volta, invece di trovare soluzioni strutturali, predisponendo modalità giuste ed efficaci d’ingresso sul territorio italiano e di accesso alla protezione internazionale, si ripete lo stesso metodo di sempre: un approccio emergenziale gestito con la violenza” conclude la Presidente del Naga”.

Il tribunale di sorveglianza di Roma emette la sua condanna a morte: confermato il 41 bis ad Alfredo Cospito, ormai a 61 giorni di sciopero della fame

Alfredo Cospito continuerà a essere torturato nel carcere di Sassari Bancali. Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettando il reclamo contro l’applicazione dell’articolo 41bis del regolamento penitenziario presentato dall’avvocato Flavio Rossi Albertini e discusso nell’udienza del primo dicembre scorso. Cospito, considerato l’ideologo della Federazione Anarchica Informale, continua lo sciopero della fame contro il carcere duro iniziato oltre due mesi fa.

La decisione era nell’aria, considerando il clima non certo quello meteorologico, creato intorno alla vicenda dalla politica e dai giornali che avevano chiamato in causa Cospito per l’attentato incendiario avvenuto in Grecia ai danni di Susanna Schlein, viceambasciatrice e sorella di Elly candidata alla segreteria del Pd. Cospito aveva implicitamente replicato di non essere a capo di tutte le cose anarchiche che accadono nel mondo.

Era Cospito nell’aula della Corte d’Assise di Appello di Torino chiamata decidere sulla richiesta di ergastolo formulata dalla procura generale in relazione ai pacchi esplosivi di Fossano contro ì carabinieri. Azione che non provocava morti e nemmeno feriti. Tanto che i giudici decidevano di mandare gli atti alla Corte Costituzionale che nei prossimi mesi ma non certo a breve dovrà decidere sulla concessione o meno delle attenuanti per la lieve entità dei danni provocati.

Era apparso un piccolo passo in avanti in relazione e alla posizione di Cospito che sta già scontando la condanna per il ferimento del manager dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Roma, unica autorità giudiziaria alla quale spetta di decidere sul 41bis, non ha evidentemente inteso sentire ragioni. Per altri quattro anni, a meno che la decisione non venga modificata in sede di ricorso, Cospito starà con la posta bloccata sia in entrata sia in uscita e con solo due ore di aria al giorno in un cubicolo da dove non si vedono il sole o le nuvole e con socialità praticamente inesistente.

A 30 anni dall’istituzione del 41 bis – nato come misura emergenziale durante le stragi della mafia corleonese, ma poi resa “ordinaria” – a marzo scorso si è creato un precedente: per la prima volta un anarchico varca la soglia del carcere duro. Eppure tale misura nasce per impedire i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza, mentre nel caso specifico si è deciso di interrompere e impedire a Cospito di continuare a esternare il proprio pensiero politico, attività, tra l’altro, pubblica, pertanto né occulta né segreta; destinata non agli associati, bensì ai soggetti gravitanti nella galassia anarchica. Non si tratta di un dettaglio trascurabile: a differenza della mafia o l’organizzazione terroristica come le ex Br, è notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e forma organizzata. A ciò si aggiunge il fatto che la sigla incriminata sarebbe quella della Fai (Federazione anarchica informale), ma che nel concreto non risulta una associazione, ma un “metodo”. Non è una struttura organizzata, ma una sigla che ognuno la utilizza in maniera “soggettiva”.

Il carcere di Bancali ha una peculiarità stigmatizzata a suo tempo dal Garante nazionale. Nel rapporto si può apprendere che le sezioni del 41 bis sono state realizzate in un’area ricavata, scavando, al di sotto del livello del mare. Le cinque sezioni scendono gradatamente, con una diminuzione progressiva dell’accesso dell’aria e della luce naturale, che filtrano solo attraverso piccole finestre poste in alto sulla parete, corrispondenti all’esterno al livello di base del muro di cinta del complesso.

Avranno un martire ma tra cento anni si ricorderanno di Cospito e non dei suoi persecutori“: così l’avvocato Rossi Alberti difensore di Alfredo Cospito, dopo la decisione negativa del tribunale di sorveglianza a cui aveva fatto ricorso.
Cospito resterà infatti al regime d 41 bis come purtroppo si prevedeva: niente socialità, blocco della posta, due ore d’aria senza neanche vedere il cielo.
E le sue condizioni di salute si aggravano sempre di più: ha perso 30 chili e- secondo i suoi legali- sta arrivando al limite, solo occasionalmente prende un pizzico di zucchero e uno di sale. Alfredo ha consegnato ai suoi legali una lettera, dove dichiara di rifiutare il trattamento sanitario obbligatorio.

A questo punto qualsiasi conseguenza in questa vicenda è addebitare esclusivamente allo Stato” rilanciano i siti anarchici. Il difensore Flavio Rossi Albertini prepara il ricorso che a questo punto non sembra avere molte speranze di essere accolto. Cospito ha deciso di mettere a rischio la vita per affermare i suoi diritti di detenuto, la possibilità di scrivere dalla cella articoli e Interventi da pubblicare sulle riviste dell’area anarchica.

Cospito ha fatto sapere che lo sciopero della fame, in corso dallo scorso 20 ottobre, proseguirà. “E’ arrivato al limite”, dicono i legali, citando le evidenze del medico di fiducia.

Nelle ultime ore azioni dirette solidali con Cospito e altri prigionieri anarchici si registrano a Roma, Bologna, Cagliari e da ultimo in Val di Susa, contro banche e sedi della Lega.

Pur essendo al 60° giorno di sciopero della fame, Alfredo resiste ed è in discrete condizioni, è molto lucido e si aspettava un rigetto da parte del tribunale di sorveglianza di Roma. Non dispera di poter ottenere comunque un successo nella sua battaglia. In ogni caso fa sapere che intende andare avanti fino alla morte. Essendo per ora evitata – quanto meno rimandata – la prospettiva di un ergastolo con la decisione della corte di appello di Torino del 5 dicembre, Alfredo ribadisce che interromperà lo sciopero della fame solo in caso di declassificazione dal 41 bis.
È al corrente della mobilitazione attraverso le notizie dei telegiornali, quando azioni e iniziative impongono ai media di regime questo livello di copertura. I giornali invece gli arrivano con le pagine tagliate, buchi sempre più frequenti nelle ultime settimane.
In questo momento sembra che riescano a passare qualche lettera, telegramma e cartolina, a differenza dei mesi precedenti alla sua lotta, quando tutto quello che gli veniva scritto finiva sequestrato. In particolare per quanto riguarda i telegrammi, che sembra siano le comunicazioni che passano con più frequenza le maglie della censura, è importante ricordare che questi devono essere individuali e che devono contenere il calce nome cognome e indirizzo del mittente.

Ricordiamo l’indirizzo:
Alfredo Cospito
C. C. “G. Bacchiddu”
strada provinciale 56 n. 4
Località Bancali
07100 Sassari

Di seguito l’intervista di Radio Onda d’Urto a Frank Cimini, giornalista, fondatore di www.giustiziami.it e collaboratore de Il Riformista, che segue da mesi la vicenda di Alfredo Cospito. Ascolta o scarica

La tekno-protesta sfida il decreto antirave

Giornata di mobilitazione contro l’articolo 633bis. A Napoli, Firenze, Bologna e Torino in migliaia sfilano alle street parade. A Roma il raduno illegale alle Terme di Caracalla è più radicale: «Oggi è toccato ai rave, domani a chi occupa, scuole, università, fabbriche»

di Giansandro Merli

I raver avevano promesso che non si sarebbero fatti spaventare dal decreto, e così è stato. La giornata di protesta contro l’articolo 633bis è stata un successo. A Napoli, Firenze, Bologna e Torino diverse migliaia di persone hanno sfilato in quattro street parade, cortei musicali puntellati da camion muniti di sound system.

«Siamo in piazza per rivendicare il diritto alla musica, alla socialità, alla sperimentazione fuori dalle logiche di mercato» ha dichiarato la rete Smash Repression che ha organizzato la manifestazione partenopea. Mobilitazioni si sono svolte anche in Francia, a dimostrazione del carattere transnazionale della realtà dei free party.

A Roma la protesta ha preso una forma diversa, più radicale e in linea con la filosofia rave: oltre cinquecento ragazze e ragazzi si sono dati appuntamento nei giardini tra Circo Massimo e Terme di Caracalla e hanno dato vita ad una festa illegale in pieno centro. «Contro un provvedimento liberticida rispondiamo con un’azione di ripresa dello spazio in modo libero, autogestito e autoprodotto», era scritto sul flyer digitale che ha convocato l’iniziativa «senza chiedere il permesso».
Il volantino insisteva anche su come lo spettro del decreto incomba su tante altre attività: «Oggi è toccato ai rave ma domani toccherà a chi occupa le scuole, le università, le fabbriche, le case, a chi sceglie di scendere in strada, a chi decide di lottare e a chi non ha altra scelta».

TRE I SOUND system che per tutto il pomeriggio hanno sparato musica tekno e animato le danze. Il clima era allegro e festoso, molto lontano dalle immagini di «degrado» che vengono spesso associate a questo tipo di raduni. Ma l’elemento intorno a cui si dovrebbe incardinare la trasformazione del decreto in legge per specificare meglio la fattispecie di reato, ovvero il consumo di droghe, potrebbe comunque sulla carta essere contestato: qualcuno fumava delle canne. Qualcun altro assumeva alcol. Birra, vino e sangria. Tanto basta.

Le forze dell’ordine hanno circondato il raduno sin dall’inizio: sette camionette, un perimetro di agenti in tenuta anti-sommossa che «per ragioni di ordine pubblico» ostacolavano l’accesso e poi la digos munita di telecamere. Magari a distanza di tempo le immagini serviranno a far partire qualche denuncia. Proprio davanti a quegli obiettivi una decina di ragazzi ha srotolato uno striscione nero con le scritte bianche e rosse in solidarietà al detenuto anarchico Alfredo Cospito: «No al 41 bis, no all’ergastolo ostativo». Altri striscioni contro il carcere, dove il governo vorrebbe mandare chi organizza e partecipa ai rave, sono stati appesi tra gli alberi. Per terra delle tovaglie dove sedersi e condividere panini e frittate. Sulle teste qualche ombrello rosso e arcobaleno aperto appena ha iniziato a piovere.

A UN CERTO PUNTO un gruppetto di persone ha provato a superare lo sbarramento delle forze dell’ordine che negava loro di avvicinarsi alla musica. Dal microfono hanno detto: «Restiamo uniti e non rispondiamo alle provocazioni. Manteniamo la Taz». Taz è una sigla inglese che significa zona temporaneamente autonoma, idea formulata dal pensatore anarchico Hakim Bey all’inizio degli anni ’90. Le forze dell’ordine stavolta non l’hanno dispersa né con la forza né con gli strumenti previsti dal decreto come la confisca della strumentazione, evidentemente si è preferito optare per una linea morbida per non esacerbare gli animi. La repressione può attendere, mentre i partecipanti smontano lentamente i sound e si dissolvono nella sera di Roma.18

L’Ingiustizia smascherata… anche a Foligno

Pubblichiamo di seguito il comunicato del Comitato di Lotta Viterbo, che condividiamo:

Non passa giorno che la classe dominante e il suo Stato lascino passare, senza ricordarci come stanno realmente le cose: nello scontro tra le classi, lo Stato non è neutrale, ma attivo e operante servizio di quella al potere: degli sfruttatori .
Mentre il Ministro dell’Ingiustizia Nordio con i suoi accoliti governativi, si sbracciano per escludere a priori che possano essere intercettati i criminali dai colletti bianchi ed il doppiopetto, proprio in contemporanea è stata rinvenuta una microspia poliziesca presso il Circolo Anarchico “La Faglia” di Foligno. La dimostrazione che per lo Stato borghese, non tutti sono uguali di fronte alla (loro) legge, ma dipende dalla posizione e dall’estrazione di classe.
Un dato di fatto che il ministro ha testualmente chiarito anche nella fattispecie, affermando che un processo penale basato esclusivamente sulle intercettazioni “è un processo destinato a fallire”, che sulle stesse “va fatta una spending review”, ribadendo che invece per quanto riguarda i cosiddetti reati di terrorismo “sulle intercettazioni non si tocca nulla…”.
Preannunciando che le forze governative si batteranno per l’abolizione dell’obbligo dell’azione penale, trasformandolo in una discrezionalità politica: ergo asservendola definitivamente agli interessi della classe dominante.
Per questo e per la profonda inimicizia che nutriamo nei confronti nell’Ingiustizia di Stato, esprimiamo una piena e convinta solidarietà militante alle compagne ed ai compagni del Circolo Anarchico di Foligno, così come a tutti/e i/le prigionieri/e rivoluzionari/e sepolti/e nell’infame regime carcerario del 41bis e a tutti i perseguitati per osare ribellarsi alla dittatura del regime capitalista.
SENZA GIUSTIZIA NESSUNA PACE
SENZA LOTTA NIENTE GIUSTIZIA
NESSUNA TREGUA CONTRO I PADRONI!
LA SOLIDARIETÀ E’ UN’ARMA, USIAMOLA!
17/12/2022
Comitato di Lotta Viterbo
Comitato di Lotta “Nido di Vespe” Quadraro
Classe Contro Classe
Comitato di Lotta “VIII Zona” Villa Gordiani

Askatasuna, annullate con rinvio le misure cautelari sull’accusa di associazione a delinquere – info solidale

Decisione della Cassazione, che ha comunque confermato 7 delle 11 misure per altri reati contestati agli antagonisti. Il centro sociale torinese dovrà inoltre pagare multe per 200 mila euro per un concerto tenutosi ad ottobre

Annullate con rinvio dalla Corte di Cassazione le misure cautelari, limitatamente all’accusa di associazione a delinquere, disposte dal Tribunale del Riesame nei confronti di alcuni esponenti di Askatasuna. 

Quello di associazione a delinquere è (e resta) senza dubbio il capo di imputazione più pesante dell’inchiesta avviata nel 2019 per la quale il processo è già iniziato a ottobre, ma non l’unico. E la Suprema Corte, con vari distinguo, ha comunque confermato 7 delle 11 misure cautelari (una custodia in carcere per il leader Giorgio Rossetto, 3 ai domiciliari e 3 divieti di dimora ) per altri reati-fine che sono state eseguite oggi pomeriggio, 16 dicembre, dagli agenti della Digos.

Un’altra brutta notizia per gli attivisti del centro sociale di corso Regina Margherita è arrivata con i 200 mila euro di multe notificate nei giorni scorsi dalla Digos per il concerto che si è tenuto a ottobre di fronte all’ex asilo occupato nonostante la diffida del questore, Vincenzo Ciarambino. 

Oltre all’allestimento di banchetti per la vendita di materiale e di bar, senza alcuna autorizzazione, le sanzioni riguardano anche altre iniziative «benefit» avviate nei mesi scorsi. Per i vertici di Askatasuna, Spazio Neruda e del movimento No Tav la pronuncia della Cassazione rappresenta in ogni caso una vittoria, che potrebbe orientare la decisione anche in ottica processuale: «Accusano alcuni compagni e compagne No Tav, di Askatasuna o del Neruda di associazione a delinquere _ ha detto lo storico leader No Tav Andrea Perino -. Io dico che l’associazione a delinquere sta in altri posti dove si sperpera il denaro pubblico senza essere mai colpiti. Queste sono associazioni a resistere, noi siamo orgogliosi di farlo da 32 anni e non saranno le denunce, le misure, la cattiveria o il disprezzo a fermarci. E vedendo quello che è successo nei giorni scorsi a Bruxelles, mi viene da dire che “il più pulito ha la rogna”». 

Sull’annullamento con rinvio delle misure per il reato associativo anche l’avvocato Claudio Novaro, legale di alcuni degli indagati, ha espresso la sua soddisfazione: «È andata come noi auspicavamo. È una sentenza che viene incontro alle nostre valutazioni secondo cui l’ordinanza del Riesame era assolutamente viziata dal punto di vista della motivazione e sul piano argomentativo erano stati usati dei criteri che non stavano in piedi». 

Restano però le 7 misure cautelari, mentre a ottobre si è aperto il processo nei confronti di 28 imputati, 16 dei quali sono proprio accusati di associazione a delinquere. Come parte civile si sono costituiti il ministero della Difesa, il ministero degli Interni e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre le altre accuse sono, a vario titolo, di violenza privata, rapina e sequestro di persona. 

Le indagini della Digos, coordinate dal dirigente Carlo Ambra, sono iniziate nel 2019, supportate da migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali. Secondo gli investigatori nell’ex asilo «Gli Gnomi» esisteva un’associazione sovversiva almeno dal 2009. Una tesi già bocciata dal gip Stefano Vitelli secondo cui la contestazione del reato associativo sarebbe stata “forzata” e, pur definendo alcune condotte “seriali ed allarmanti”, aveva precisato che non devono essere messere proteste pacifiche non potevano essere messe sullo stesso piano con quelle “inequivocabilmente violente”. Dopo il ricorso della pm Manuela Pedrotta, invece, l’accusa era stata riformulata in associazione a delinquere e il Riesame aveva disposto 11 misure cautelari. Sulle ultime 3 rimaste (una è comunque stata scontata) la decisione ritorna di nuovo al Tribunale del Riesame torino

Torino – il tribunale della repressione contro gli antifascisti

info
Torino, scontri al Campus Einaudi: condannati 23 antifascisti

Il 13 febbraio 2020 durante un incontro sul tema «Fascismo-Colonialismo-Foibe» con Moni Ovadia. Sono 9 le assoluzioni

Ventitrè compagni dei collettivi universitari sono stati condannati dal Tribunale di Torino, per gli scontri con le forze dell’ordine scoppiati al campus Einaudi il 13 febbraio 2020. Sono 9 invece gli imputati assolti. Quel giorno gli antifascisti cercarono di impedire che il Fuan, gruppo studentesco vicino a Fratelli d’Italia, volantinasse contro un incontro sul tema «Fascismo-Colonialismo-Foibe. L’uso politico della memoria per la manipolazione delle verità storiche» con la partecipazione dell’attore e scrittore Moni Ovadia e del giornalista Stojan Speti.

Furono feriti 8 poliziotti e 2 guardie giurate e l’aula «Paolo Borsellino», assegnata al Fuan, fu devastata.