Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Perù, oltre 200 arresti nell’irruzione della polizia all’Università Nazionale Maggiore di San Marco a Lima

La Polizia nazionale del Perù (Pnp) ha pubblicato i nomi di 218 persone arrestate dopo l’irruzione di ieri nell’Università Nazionale Maggiore di San Marco (Unmsm), a Lima.

Secondo fonti ufficiali gli studenti arrestati sono stati trasferiti presso le sedi della Direzione Antiterrorismo e della Direzione Investigazioni Criminali, lo ha dichiarato il procuratore generale Alfonso Barrenechea.

Dal 19 gennaio migliaia di persone in protesta contro il governo sono confluite da varie regioni del Paese nella capitale per la cosiddetta “Toma de Lima” (presa di Lima). Secondo il Coordinatore nazionale dei diritti umani (Cnddhh), che ha presentato un ricorso al ministero dell’Interno, ci sono anche quattro leader studenteschi “detenuti arbitrariamente”: Lucia Garay, Leani Vela, Diany Vivas e Marco Tello. Anche l’Associazione nazionale dei giornalisti (Anp) ha denunciato fermi arbitrari chiedendo la liberazione di Paty Condori Huanca (inviata di  “Fama Tv”), Percy Pampamallco Yancachajlla (reporter di “Radio Huancané” e “Lider Tv”) e Juliaca Cesar Huasaca Abarca (di “Radio Sudamericana”).

La polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma e impedito agli avvocati di entrare. Cittadini si sono radunati davanti alla Centrale operativa di investigazione della Pnp (Dirincri) per chiedere il rilascio degli studenti. Sui “social” sono stati diffusi video per denunciare maltrattamenti degli agenti.

La mobilitazione anti governativa, cominciata il 7 dicembre dopo l’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo, non si è placata. Il bilancio delle vittime negli scontri fra dimostranti e forze di sicurezza è attualmente di 55 morti e più di 1.200 feriti.

I manifestanti chiedono la scarcerazione dell’ex presidente Pedro Castillo, arrestato il 7 dicembre 2022 con l’accusa di “ribellione”, le dimissioni del presidente illegittimo, Dina Boluarte, e un ritorno alle urne per eleggere un nuovo presidente e un nuovo parlamento. Altre zone calde per le proteste sono state ieri Puno e Arequipa. A Puno, secondo la stampa peruviana, un uomo identificato come Isidro Arcata Mamani, 62 anni, appartenente alla comunità aymara, è morto a causa di colpi sparati da agenti.

Roma: nuovo assalto allo spazio autogestito Casale Garibaldi

Porte divelte, vetri infranti, strutture e mobilio danneggiato, locali inondati di schiuma di estintori: questo lo scenario che hanno trovato ieri mattina gli attivisti dello spazio autogestito Casale Garibaldi, nella periferia est di Roma, nel quartiere Casilino 23.

Uno spazio occupato sul finire degli anni ’80, di proprietà municipale, che ospita tantissime attività, eventi e laboratori, per piccoli e grandi, impegnato in prima fila in percorsi di mutualismo e sede sindacale delle Camere del lavoro autonomo e precario.

Questa mattina all’alba ignoti hanno distrutto alcune porte e finestre del casale e si sono introdotti per vandalizzare strutture e materiali, usando estintori, pietre e altri oggetti utili al danneggiamento.
Si tratta di un salto di qualità della “guerra a bassa intensità” che negli ultimi anni è stata compiuta contro uno spazio sociale, mutualistico, femminista, di produzione culturale e di nuovo welfare. Uno dei tanti spazi autogestiti che non si arrende davanti a un presente fatto di precarietà, sfruttamento, egoismo e speculazione.
Una strategia infame e vigliacca, che intende colpire un’idea e una pratica di città solidale.
Non abbiamo tempo per lamentarci, solo tanta rabbia e voglia di non mollare di un centimetro. Rispondiamo quindi con una mobilitazione permanente: dalle 12 di oggi appuntamento pubblico e collettivo per iniziare a sistemare lo spazio, fare la conta dei danni, condividere la rabbia e i prossimi passaggi di mobilitazione.
Confermiamo ovviamente l’evento di oggi, domenica 22 gennaio, con lo STRAmercato, che diventa la prima tappa della mobilitazione straordinaria, politica, militante e di autofinanziamento. Unica risposta degna per gli infami che pensano di fermarci.

Questo atto – raccontano gli attivisti – si inserisce in una scia di episodi vandalici iniziati con la fine della vecchia convenzione, nel 2017, a partire dalla decisione di non lasciare lo spazio, a fronte dell’immobilità della vecchia amministrazione. Su questi episodi abbiamo presentato anche un esposto e una denuncia-querela alla polizia municipale, di cui ad oggi non sappiamo che fine abbiano fatto. Diversa celerità invece è stata dimostrata dal reparto edilizia della polizia locale che lo scorso anno ha fatto un’ispezione nel giardino del casale, terminata con una denuncia surreale di abuso edilizio per una struttura mobile, con rotelle, utilizzata per coprire la zona cucina da pioggia e intemperie”.

Filippine: il governo fascista Marcos bombarda le popolazioni in lotta – la denuncia del Partito Comunista delle Filippine che rende onore alla compagna martire Helenita Pardalis

I sempre più frequenti attacchi aerei alle zone del Paese sotto il controllo della guerra popolare diretta dal Partito Comunista delle Filippine mirano a recuperare terre per l’estrazione  mineraria e per il cosiddetto agrobusiness da mettere a disposizione delle multinazionali imperialiste, ma si tratta di un compito molto difficile per il governo fascista Marcos sostenuto dagli USA come si evince dal comunicato che pubblichiamo.

Tributo del CC del PCF 

alla compagna martire Helenita Pardalis

Comitato Centrale del PCF | Partito Comunista delle Filippine

14 gennaio 2023

Il Comitato Centrale del Partito Comunista delle Filippine (PCF) rende il suo più alto tributo alla compagna Helenita Pardalis, affettuosamente conosciuta dai compagni e dalle masse di Bicol e Visayas orientali come Ka Ning, Ka Eliz, Ka Celine e Ka Elay.

Ka Elay è stata uccisa in un bombardamento aereo di prima mattina condotto dall’8a divisione di fanteria a Barangay Imelda, Las Navas, Northern Samar, lo scorso 23 novembre. Aveva 65 anni. Altri cinque compagni e combattenti sono morti nel brutale bombardamento che ha visto l’uso sproporzionato della forza da parte delle forze armate delle Filippine (FAF) e del regime USA-Marcos contro una piccola unità guerrigliera del New People’s Army (Nuovo Esercito del Popolo).

Estendiamo le nostre più sentite condoglianze a tutta la famiglia di Ka Elay, in particolare a suo marito, ai suoi figli e nipoti, così come ai suoi cari compagni e amici.

Ka Elay proviene da Pio Duran, Albay nella regione di Bicol, dove ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza. Era la maggiore di 9 fratelli. Ha studiato alla Pio Duran Elementary School e alla Marcial O. Raniola Memorial School nella sua città natale. Ha frequentato il college durante i primi anni della legge marziale presso l’Università d’Aquino a Legazpi City, Albay.

Le gravi disuguaglianze sociali e la repressione politica sotto la dittatura della legge marziale hanno spinto Ka Elay a diventare un’attivista e ad essere vicina al popolo. In mezzo all’atmosfera di paura, e nonostante le minacce di arresti che potevano “salvare”, ha osato prendere la strada della resistenza e si è unita alla causa democratica nazionale. Si è immersa tra i lavoratori e le masse povere urbane. Le sue sentite simpatie e i suoi modi la rendevano cara alle masse e ai compagni.

Nei primi anni 1980, il marito di Ka Elay è stato rapito e fatto sparire da agenti militari a Metro Manila. Lei e i suoi due figli hanno iniziato una ricerca che durerà per anni senza fine. Si è unita ad altre vittime di sparizioni forzate ed è diventata una dei dirigenti del gruppo Find (Famiglie delle vittime di sparizione involontaria). La repressione politica continuò sotto il regime di Corazon Aquino, e lei stessa fu arrestata e detenuta per un certo numero di anni. In seguito si è anche risposata con un marito amorevole.

Nei primi anni 1990, ispirata dal Secondo Grande Movimento di Rettifica del Partito, Ka Elay decise di andare in campagna e unirsi al Nuovo Esercito Popolare. Tornò nella sua provincia natale dove si immerse nel lavoro di massa tra le masse contadine, contribuendo ad aumentare la loro coscienza sociale e politica e stimolando le masse organizzate a lottare per la loro causa.

In seguito sarebbe diventata segretaria di un fronte di guerriglia nell’area di Libmanan-Bato a Camarines Sur, e in seguito segretaria del Comitato Provinciale di Camarines Sur del Partito. Per i suoi risultati esemplari nel lavoro di massa e nell’organizzazione del partito, è stata eletta membro del Comitato regionale di Bicol e del suo comitato esecutivo alla fine degli anni 1990.

In seguito fu assegnata dal Comitato Centrale a servire come Vice Segretario della Commissione Nazionale Contadina. La sua ricca esperienza nel lavoro di massa e nella costruzione della base sarà ulteriormente sviluppata, riassunta e condivisa in tutta l’organizzazione del Partito e nel NEP. Per anni, ha contribuito attivamente con articoli ad Ang Bayan.

Più tardi, nel 2015, è stata nominata nel Comitato regionale delle Visayas orientali, dove è stata eletta vice segretario. Fu nominata membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale Provvisorio nel giugno dell’anno successivo. È stata delegata al 2° Congresso del PCF nel novembre 2016, dove è stata eletta come membro a pieno titolo del Comitato Centrale.

Al momento della sua morte, Ka Elay era segretaria del Comitato Regionale del Partito nelle Visayas Orientali. Negli ultimi anni, di fronte agli implacabili attacchi su larga scala del nemico, Ka Elay ha guidato il Partito e il NEP nelle Visayas orientali a condurre una guerriglia estesa e intensa sulla base di una base di massa sempre più ampia e profonda.

Senza dubbio, la morte di Ka Elay insieme ad altri compagni lascerà un pesante segno sulla leadership del Partito nella regione orientale di Visayas. Tuttavia, un certo numero di veterani e giovani quadri del Partito si sono già fatti avanti per prendere le redini della leadership nella regione. Sono pienamente capaci e disposti a farsi carico dei compiti difficili. Hanno consolidato i comitati dirigenti e selezionato il sostituto di Ka Elay. Sono sempre determinati a guidare il Partito, il Nuovo Esercito Popolare e il movimento rivoluzionario di massa di tutte le classi oppresse e sfruttate nelle città e nelle campagne, specialmente in mezzo al peggioramento della crisi semicoloniale e semifeudale sotto il regime USA-Marcos.

Hanno fatto tutto il possibile per affrontare gli urgenti problemi socioeconomici delle masse, conducendo una riforma agraria e aiutando le masse a superare epidemie, tifoni, inondazioni e altri disastri climatici. Nel mezzo della pandemia di Covid-19, il NEP nella regione è diventato la fonte di informazioni e guida delle masse per superare l’emergenza sanitaria. Il NEP continua a organizzare squadre di produzione e aiutare le persone ad aumentare la produzione, aumentare il raccolto, lottare per salari giusti e prezzi equi per i loro prodotti. Di conseguenza, la guerra popolare e il NEP continuano a godere del profondo e ampio sostegno delle masse delle Visayas orientali.

Il nemico ha sganciato tonnellate e tonnellate di bombe sulle foreste, sui campi e sulle comunità contadine, e ha ucciso un certo numero di combattenti rossi e quadri del Partito. I fascisti hanno imposto la legge marziale a centinaia di villaggi per controllare, limitare e monitorare da vicino ogni movimento del popolo, nella vana speranza di spezzare la volontà del popolo di combattere e impedire loro di dare sostegno ai loro eroici combattenti. Ma così facendo, hanno solo suscitato maggiore indignazione. Le masse contadine delle Visayas orientali rimangono la fonte immortale della guerra popolare.

Il legame indissolubile tra le masse e il Nuovo Esercito Popolare fa parte dell’eredità immortale di Ka Elay. Il suo amore per le masse oppresse è sconfinato e continua a riempire lo spirito di ogni combattente rosso e quadro del Partito con cui ha incrociato la strada. Il nemico può essere riuscito a soffocare la vita di Ka Elay, ma lei vivrà per sempre nei cuori e nelle menti delle masse rivoluzionarie. (16 dicembre 2022)

“Botte al cronista, per 4 agenti solo una multa”, dai tribunali della borghesia: Impunità per la polizia, repressione per gli antifascisti

da il Manifesto

Botte al cronista, per 4 agenti solo una multa

Il giornalista di Repubblica Stefano Origone rimasto ferito il 23 maggio 2019 a Genova – Ansa

La corte di Appello di Genova ha trasformato la condanna a 40 giorni di reclusione in una multa da 2.582 euro a testa per i quattro poliziotti che il 23 maggio 2019 picchiarono il giornalista di Repubblica Stefano Origone. Il sostituto procuratore generale Alessandro Bogliolo aveva chiesto un anno e quattro mesi per lesioni dolose. L’Associazione Ligure Giornalisti e il Gruppo Cronisti Liguri hanno espresso «disappunto» per la decisione.

Il cronista fu manganellato, nonostante si fosse identificato, durante la manifestazione antifascista che assediò il comizio elettorale di Casapound nel capoluogo ligure. Non fu l’unico episodio di violenza da parte delle forze dell’ordine. Al corteo parteciparono oltre duemila persone e si verificarono tensioni e scontri. «Se c’è qualcuno che sbaglia, paga», dichiarò il giorno seguente l’ex procuratore capo Francesco Cozzi.

Si riferiva sia agli agenti che ai manifestanti. Di questi in 47 sono finiti a processo: 43 sono stati condannati in primo grado a pene comprese tra otto mesi e quattro anni di reclusione (due persone). La procura genovese aveva richiesto condanne tra sei mesi e un anno e nove mesi di carcere. Le imputazioni: resistenza a pubblico ufficiale, porto di oggetti atti a offendere, travisamento e lancio di oggetti pericolosi.

Il 41 BIS E’ VENDETTA DI STATO

IN SOLIDARIETÀ CON ALFREDO COSPITO E TUTTI I PRIGIONIERI E LE PRIGIONIERE POLITICHE

Alfredo Cospito, compagno anarchico, è in lotta ininterrotta dal 20 ottobre tramite lo sciopero della fame nel carcere di Sassari contro il regime inumano del 41bis e contro l’ergastolo ostativo, il “fine pena: mai”. La decisione coraggiosa ed estrema di Alfredo sta rompendo, di fatto, il silenzio che da sempre vige sulla vendetta e tortura di Stato che rappresenta il regime di 41bis. Un silenzio colpevole, soprattutto in Italia e nell’UE, l’autoproclamatasi “giardino” delle democrazie liberali e ipocrita protettrice dei diritti fondamentali dell’uomo.

Come ormai noto, Alfredo sta portando avanti questa lotta contro la condanna comminatagli per un attentato dimostrativo nel quale nessuno è rimasto minimamente leso: il reato che gli è stato attribuito inizialmente è stato quello di “strage” (422 cp), riqualificato dalla Corte di Cassazione nel luglio dello scorso anno nel reato di “strage politica” con le finalità di attentare alla sicurezza dello stato (285 cp), che prevede l’ergastolo ostativo. Una condanna non applicata nemmeno nelle stragi di mafia, come quelle di Capaci o via d’Amelio, che si aggiunge all’applicazione del regime di 41bis disposto dai giudici a seguito dell’invio dal carcere di articoli e testi da parte di Alfredo a delle riviste anarchiche.

Non ci soffermiamo tanto sulla evidente sproporzione della pena e del regime di detenzione rispetto ai fatti realmente commessi, in barba anche a quei famosi principi di “offensività, proporzionalità e rieducativitá” della pena del Codice Rocco, di natura fascista. Quello che denunciamo invece è l’ennesimo utilizzo vendicativo della repressione che questo stato attua nei confronti di compagni, militanti e attivisti sociali che hanno portato avanti in passato o portano avanti attualmente un’ipotesi e un’azione di rottura radicale e rivoluzionaria del sistema dominante. Uno stato che dopo 40 anni ancora tiene in carcere detenuti e detenute politiche che provengono dalle esperienze rivoluzionarie degli anni 70 e che richiede l’estradizione nei confronti di esuli politici italiani che da 40 anni vivono e lavorano in Francia. Uno stato che, adesso, si arma di “decreti anti-rave” dai limiti sottili e che reagisce con pene esemplari per un po’ di vernice sul senato da parte di gruppi ambientalisti.

Attualmente siamo in un contesto di crisi generale del sistema capitalista, dove sacrosante proteste per ottenere condizioni di vita e di lavoro migliori o per lottare contro la devastazione di territori e dell’ambiente in cui viviamo vengono sistematicamente represse. Una repressione gestita tramite una politica e una narrazione mediatica manettara e giustizialista che vede il carcere come una discarica sociale per soggetti “non conformi” che meritano condizioni di vita disumane, fra sovraffollamento, regimi di isolamento, abusi e brutali violenze della polizia penitenziaria in caso di ribellioni.

Al contrario, quella strage quotidiana (questa sì, reale) che avviene sui luoghi di lavoro o durante l’alternanza scuola lavoro, così come le violenze e gli omicidi a opera delle forze dell’ordine e della polizia penitenziaria continuano a restare pressoché impunite.

In questo contesto, Alfredo e la sua lotta ci ricordano che è necessaria e possibile un’alternativa che parta dalla rottura radicale e rivoluzionaria con questo sistema che produce povertà, ingiustizia sociale e repressione.

Di questi temi parleremo sabato 21 gennaio, alle ore 18, ai Magazzini Popolari di Casalbertone (via Baldassare Orero, 61) insieme a:

– Flavio Rossi Albertini e Caterina Calia, legali di Alfredo Cospito e di altri detenuti politici in 41bis

– Nunzio D’Erme, Osservatorio Repressione

In solidarietà con Alfredo e con tutte le prigioniere e i prigionieri politici.

Lanciata la nuova assemblea proletaria anticapitalista per il fronte unico di classe per il 18 febbraio a Roma

Una riunione telematica tenutasi nella giornata di ieri ha deciso la data della nuova assemblea proletaria anticapitalista che si terrà a Roma il 18 febbraio a Roma – luogo in via di definizione.

Al centro la lotta contro guerra e carovita per dare vita a una campagna nazionale unificata, ma naturalmente le realta operaie, le realtà di lotta sui vari posti di lavoro e territori troveranno in questa assemblea l’occasione per socializzare le loro esperienze di lotta e farle avanzare nella logica del fronte unico di classe.

Importante, in funzione dell’assemblea, lo sviluppo della mobilitazione contro le basi militari e la lotta contro la repressione antiproletaria e contro movimenti e organizzazioni rivoluzionarie.

L’assemblea prevede un lavoro intenso delle diverse forze per discutere e organizzare la partecipazione e nello stesso tempo un invito generale a tutte le forze del sindacalismo di base e di classe e alle forze politiche comuniste e rivoluzionarie che ne sono partecipi.

Il nuovo governo dei padroni, reazionario, venato di fascismo vecchio e nuovo, costituisce una sfida e una opportunità per l’intero movimento di classe e l’assemblea proletaria anticapitalista di Roma è uno spazio per elevare lotta e coscienza comune.

L’avvicinarsi dell’anniversario della invasione dell’Ucraina da parte dell’imperialismo russo, dentro i piani di aggressione/guerra ed espansione dell’imperialismo USA/Nato/Europa, il ruolo dell’imperialismo italiano in tutto questo, l’aumento delle spese militari e i costi dell’energia scaricati sulle masse, permetteranno all’assemblea del 18 a Roma di assumere un ruolo di prima fila nella lotta contro tutto questo.

Pensiamo quindi di concentrare energie e confronto per la buona riuscita di essa.

per gli organizzatori

info/contatti assemproletariaanticapitalista@gmail.com

WA 3519575628

Ancora iniziative in piazza in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito. Domani a Roma, Trento e Genova, sabato a Massa e domenica il presidio al carcere di Bancali a Sassari dove Alfredo è detenuto.

Intanto oggi 19 gennaio 2021 Alfredo è stato visitato in carcere dalla dottoressa di fiducia Angelica Milia: “Dopo 90 giorni di sciopero della fame Alfredo ha perso 40 kg, le condizioni sono stabili rispetto alla settimana scorsa, ma le riserve di grasso e zuccheri sono ormai esaurite”. “Siamo sull’orlo del precipizio – aggiunge – gli ho consigliato di camminare durante l’ora d’aria per quello che gli sarà possibile. In modo da recuperare un po’ di energia”

Sentiamo la stessa Angelica Milia ai microfoni di Radio Onda d’UrtoAscolta o scarica

Alfredo Cospito, ha descritto così al suo avvocato Flavio Albertini Rossi la sua vita al 41 bis. “C’è una finestra nella cella di due metri e mezzo per tre metri e mezzo – racconta il suo legale all’Adnkronos – una finestra schermata dal plexiglass che non si apre quasi mai e che si affaccia, al di là delle sbarre, su un cubicolo interno circondato da muri di cemento alti metri e metri, schiacciati da una rete metallica a chiudere il quadrato di cielo. Cospito vive in quella cella da solo, come impone il regime carcerario al quale è sottoposto, ci passa 21 ore della sua vita. Le restanti tre le divide tra socialità, un colloquio di un’ora con gli altri 3 detenuti del suo gruppo di socialità, e due ore d’aria in quella sorta di cubicolo di cemento dal quale non può vedere un albero, una siepe, un fiore o un filo d’erba, un colore, solo sbarre e cemento“.

Qual è la finalità di questo trattamento, il 41 bis non dovrebbe servire unicamente a recidere le comunicazioni con gli associati all’esterno del penitenziario? Rappresenta una punizione aggiuntiva oppure il tentativo di indurre il detenuto a fare ciò che volontariamente non farebbe mai? – chiede allora l’avvocato dell’anarchico – Perché rinchiudere queste persone esclusivamente in istituti penitenziari che si trovano su isole, costringendo i parenti a raggiungerli con viaggi-odissee per parlarci una sola ora al mese attraverso un vetro con il citofono? Perché consentirgli una sola telefonata al mese, chiaramente registrata, in alternativa al colloquio visivo, e per soli 10 minuti? Perché – incalza – non consentirgli di sentire e vedere i familiari con maggiore frequenza, quale scopo persegue questa disciplina?”. “Cos’è il 41 bis? Una micro sezione dove si è costretti a vegetare in cella 21 ore al giorno, altro che rieducazione ed articolo 27 della Costituzione. No, Cospito non ha una vocazione suicida, non vuole morire, ha tanta voglia di vivere – dice ancora l’avvocato Albertini Rossi all’Adnkronos – ma vorrebbe farlo degnamente. Solo 204 detenuti su 750 sono condannati all’ergastolo, ciò vuol dire che moltissimi di loro transitano dal 41 bis alla libertà. Ha senso tutto questo? Per i detenuti nemmeno il conforto dei libri, la merce più rara per quanti si trovano al 41 bis: o non li autorizzano, come avvenuto con quelli scritti dalla Cartabia o da Manconi solo per citarne alcuni, o, quando permessi, sono consegnati al con estremo ritardo. La biblioteca di reparto, poi, è composta di soli 170 testi, per lo più puerili e infantili“.

Alfredo Cospito comunica anche al proprio avvocato Flavio Rossi Albertini che si  opporrà con tutte le forze all’alimentazione forzata. Lo afferma dopo che è stata adombrata la possibilitá di un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Alla loro spietatezza ed accanimento, Cospito ribadisce, che opporrà la sua forza, tenacia e la volontá di un anarchico e rivoluzionario cosciente. Andra avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. La vita, ribadisce  non ha senso in questa tomba per vivi.

Parlare di carcere e repressione non è mai facile. In particolare quando si attacca il regime 41 bis in quanto strumento di tortura ci si imbatte nel muro di silenzio eretto attorno al moloch dell’antimafia, che dal 2015 ha accorpato anche l’antiterrorismo. Dobbiamo riconoscere allo sciopero della fame di Alfredo, ai prigionieri che lo hanno sostenuto e alla mobilitazione internazionale iniziata in seguito al suo trasferimento in 41bis la capacità di aver fatto crollare questo muro di silenzio.

Gli ultimi 20 anni hanno visto un aumento esponenziale delle strategie repressive contro qualsiasi forma di protesta. Da migliaia di misure di prevenzione distribuite a tappeto tra sfruttate e sfruttati alle decine e decine di indagini per associazione sovversiva. L’appiattimento culturale e l’erosione delle politiche sociali ha prodotto un contesto acritico e indifferente, humus perfetto per la proliferazione di politiche securitarie. Questa macchina repressiva è cresciuta a dismisura, arrivando oggi a potersi permettere di definire “strage politica” un’azione esplosiva avvenuta in piena notte che non ha causato morti, o a condannare a 28 anni in primo grado un nostro compagno anarchico, Juan, accusato di un’azione simile. L’onda generata dal coraggioso gesto di Alfredo ci impone di provare a porre un freno a questa macchina. Dobbiamo e possiamo, ognuno con le proprie capacità, aprire delle crepe all’interno della narrazione giustizialista dominante.

Il carcere non è riformabile neanche quando parliamo dei singoli aspetti di un regime di tortura come il 41 bis.
Ogni dichiarazione di questi ultimi giorni, a seguito dell’arresto di Messina Denaro, dimostra quanto il regime democratico tenga ai suoi strumenti di tortura: la beatificazione dello stragista Dalla Chiesa, il valore del 41 bis per piegare i nemici pubblici, l’utilità dell’ergastolo ostativo per mettere in sicurezza la popolazione.
Con uno scossone oggi ogni attore è tornato al suo posto dimostrando che ogni revisione riformista si autoannulla.
Per questo è importante che le rivendicazioni di Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo non vengano personalizzate qui fuori, che non si parli di storture e che la critica sia radicale come quella che sta portando avanti lui con il suo sciopero della fame a oltranza.
Alfredo ha superato i 90 giorni di sciopero della fame, noi dobbiamo aumentare e dare maggiore forza alle mobilitazioni in corso.

Vorremmo che la presenza sotto al Ministero di giustizia servisse a questo: ad amplificare ulteriormente le rivendicazioni di Alfredo, ad aumentare la pressione nei confronti di coloro che hanno il potere decisionale.

Perché non permettere l’assassinio di Alfredo vuol dire muovere un piccolo passo verso una società che finalmente riesca a fare a meno delle galere.

Compagne e compagni