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Abolire il 41 bis, liberare Cospito e tutti i prigionieri politici
Per combattere il nemico bisogna conoscerlo, ecco perché riportiamo alcuni interventi utili per comprendere le radici del 41 bis, la sua applicazione ai prigionieri politici e chi ne sono i reali beneficiari.
- Da un intervento dell’Avvocata Caterina Calia
- Da un articolo di Cecco Bellosi
La clessidra sottosopra del 41 bis. Sempre dalla parte del potere
Che cosa c’entra Alfredo Cospito con il 41 bis? E che cosa c’entra il 41 bis con la Costituzione? Partiamo dalla seconda domanda. Perché è da questa che deriva la prima.
La legge 354 del 26 luglio 1975 sull’Ordinamento penitenziario, all’articolo 1, recita che “il trattamento deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. All’epoca, a smentire questo principio direttivo, era stato inserito l’articolo 90, come “disposizione finale e transitoria”. Molto finale e poco transitoria.
Argomentava: “Esigenze di sicurezza. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza, il ministro per la Grazia e la Giustizia ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione in uno o più stabilimenti per un periodo determinato, strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza”.
Due anni dopo, nel 1977, sarebbe stato inaugurato il “circuito dei camosci” nella forma delle carceri speciali riservate ai detenuti classificati come pericolosi: militanti delle organizzazioni della lotta armata, giovani ribelli appartenenti alle batterie di rapinatori, pochi appartenenti alle organizzazioni mafiose che, soprattutto in Sicilia, erano ancora solide alleate dello Stato. C’era anche qualche fascista di Ordine Nuovo, ma alcuni tra loro, come Franco Freda e Guido Giannettini, ne sono usciti quasi subito, essendo anche loro complici dello Stato.
Le misure previste dall’articolo 90 cominciarono a essere applicate a partire dal 1978, in maniera sempre più restrittiva. Passando dalla censura sulla posta, ai colloqui con i vetri divisori, all’abolizione dei pacchi viveri, alla riduzione degli spazi per le ore d’aria, ristrette a una al giorno e in sei per volta, all’impossibilità di ricevere libri se non dopo la loro scomposizione in fascicoli separati. La costituzionalità di quel provvedimento veniva messa sempre più in discussione su diversi versanti: esperti di diritto, esponenti politici e, piano piano, anche una buona parte dell’opinione pubblica.
Dopo sei anni non si poteva più parlare di emergenza, rinnovata di sei mesi in sei mesi con circolari affisse in bacheca, al punto che la commissione Giustizia del Senato presieduta da Mario Gozzini iniziò il proprio lavoro proprio su quel punto specifico: la revisione dell’articolo 90. A favorire la sua soppressione contribuì in maniera significativa uno sciopero della fame protratto e condotto da oltre mille detenuti nelle carceri di massima sicurezza.
La cosiddetta “legge Gozzini”, oltre all’apertura condizionata a istituti come il lavoro all’esterno attraverso l’applicazione dell’articolo 21, alla concessione dei permessi premio e all’affidamento sul territorio per le pene e i residui pena inferiori a tre anni, introduceva l’articolo 41 bis, a identificare le situazioni di emergenza, ma anche la loro durata, che non poteva essere protratta nel tempo come era accaduto per l’articolo 90.
Nella formulazione iniziale, recitava così: “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto”.
Già, la durata strettamente necessaria: per ora sono passati solo trentasei anni.
Questo anche perché nel 1992, dopo le stragi compiute dalla mafia, al 41 bis è stato aggiunto il secondo comma: “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell’Interno, il ministro della Giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo comma dell’articolo 4 bis, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.
L’articolo 4 bis prevede l’esclusione dal lavoro esterno, dai permessi premio e dalle misure alternative per i detenuti condannati per l’articolo 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso; per l’articolo 630, il sequestro di persona a scopo di estorsione; e per l’articolo 74 della legge 309 del 1990 sulle droghe per l’associazione a delinquere ai fini di spaccio. Se non diventano collaboratori di giustizia.
Nel 2002 il comma 2 dell’articolo 41 bis è stato ulteriormente inasprito: “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell’Interno, il ministro della Giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4 bis, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamento con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l’associazione di cui al periodo precedente”.
Così questi detenuti non possono avere più di un colloquio al mese con i familiari, in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti: in altri termini, i colloqui si svolgono attraverso vetri divisori e vengono sottoposti a controlli auditivi e a registrazione. L’acquario ascoltato nel respiro.
Anche i colloqui telefonici sono stai ridotti a uno al mese. A seguire, l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e l’immancabile visto della censura sulla posta. A chiudere il cerchio, un’ora d’aria al giorno, al massimo di cinque per volta. La sottrazione di un’unità, rispetto ai tempi dell’articolo 90, quando si poteva andare all’aria in sei per volta.
Ma la filosofia è sempre la stessa: rinchiudere dentro la logica della sicurezza la pratica della vendetta. Perché non si capisce che cosa abbiano a che fare le restrizioni interne con la possibilità di mantenere contatti con l’organizzazione di appartenenza. Tortura, si tratta solo di tortura prolungata.
Dopo un lungo periplo, lo Stato non solo è tornato all’articolo 90, accusato con forti motivazioni all’epoca di incostituzionalità, ma è andato molto oltre. Il 41 bis non è anticostituzionale, è esattamente il rovescio della Costituzione. Invocata in teoria, negata nella pratica. La clessidra sottosopra. Sempre dalla parte del potere.
L’articolo 41 bis viola la Costituzione. Non solo nell’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, quando il 41 bis è radicalmente contrario a ogni senso di umanità e mira ad annientare il detenuto. Ma anche nell’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, che in carcere vengono puntualmente negati. E nell’articolo 13: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
A partire da questa violenza esercitata nei suoi confronti entra in scena la vicenda drammaticamente kafkiana di Alfredo Cospito.
Rispetto a lui non torna nulla. Innanzitutto davanti alla richiesta dell’ergastolo per un attentato dimostrativo in piena notte con due ordigni deposti in un cassonetto vicino alla scuola per allievi ufficiali dei carabinieri di Fossano. A lui e alla sua compagna, Anna Beniamino, è stato contestato il reato di strage previsto dall’articolo 285, attentato alla sicurezza dello Stato. Una non strage senza alcuna vittima, nella realtà e nelle intenzioni. Ma quello che importa in maniera esasperata fino alla richiesta dell’ergastolo da parte della Corte di Cassazione è la sicurezza dello Stato minacciata in un cassonetto. Quando si dice l’ossessione da regime di Alfredo Rocco, riattualizzata quasi un secolo dopo. Il clima rimane quello. Non a caso Benito Mussolini, che nella sua disinvolta carriera era riuscito in gioventù anche a diventare anarchico in Svizzera, da fascista ebbe poi gli anarchici costantemente nel mirino.
Ma il dramma umano e politico di Alfredo Cospito si declina anche nella relegazione al 41 bis. Cospito non appartiene a nessuna delle associazioni previste da quel regime di detenzione, di nessuno stampo. Per i due reati che gli sono stati contestati ha un’unica, o un unico, coimputato. E qualunque associazione prevede la presenza di almeno tre persone, fosse solo per il rispetto del diritto di maggioranza. Gli anarchici appartengono a un’idea, al massimo a labili tracce organizzative, mai a un’organizzazione gerarchica. Cultori della dimensione egalitaria e non verticistica. Alludere a una struttura piramidale dell’anarchia significa riconoscere un ossimoro. Infine, e qui si arriva al delirio di Stato e dei suoi burattini, a Cospito è stato contestato il fatto di avere scambiato in carcere delle parole con alcuni detenuti rinchiusi al 41 bis per l’appartenenza ad associazioni di stampo mafioso. Come se si fosse scelto lui la compagnia.
Diversi anni fa mi è capitato di stare per alcuni mesi in una sezione ad alta sicurezza, un termine che ritorna sempre come un mantra, con i cosiddetti killer delle carceri, detenuti che avevano ucciso altri detenuti. Spesso a pagamento. E voi pensate che io non abbia, anche solo per motivi di sopravvivenza e di sguardi pieni di ogni sospetto a ogni mancanza di saluto, scambiato qualche parola con qualcuno di loro? Sono stato anche, nel braccio speciale di Rebibbia, con alcuni detenuti fascisti dei Nar. Ebbene sì, all’aria ho scambiato qualche parola anche con loro. In questo caso non per istinto di sopravvivenza ma per comune detenzione. Li detestavo ma in quel momento eravamo nello stesso luogo.
Lo stesso luogo che non ha condiviso l’attuale presidente del Consiglio, loro nipote per tradizione comune: motivo per cui la lontananza da lei, o da lui, è molto più abissale. Almeno loro qualcosa hanno pagato, alla strategia della tensione. Lei ne ha solo ereditato i velenosi frutti. Senza pagare dazio. Rivendicando persino la lotta contro la mafia, quando le cronache e gli scheletri degli armadi della sua coalizione politica rigurgitano di amici veri, e non costretti a convivervi, delle organizzazioni mafiose.
Questo permette oggi al presidente del Consiglio, come aveva già fatto il suo predecessore Benito Mussolini, di condannare a morte l’anarchico. Il nemico del regime.
La cui lotta non è solo contro l’ingiustizia che sta subendo, ma è contro il regime disumano e degradante del 41 bis. Per questo non possiamo che stare con lui e con la sua lotta. Contro il fascismo di ieri. E, diverso ma uguale, di oggi.
- Da Laboratorio Politico Iskra
Il ruolo della mafia nello stato e l’utilizzo del carcere duro in italia.
Venezia, occupata la sede di San Sebastiano dell’università Ca’ Foscari in solidarietà con Alfredo Cospito
Continua la mobilitazione per Alfredo Cospito, Taranto. L’intervento di proletari comunisti. Alfredo: “Hanno deciso di tumularmi in un sarcofago”.
Presidio rappresentativo e combattivo questa mattina sotto la prefettura, in continuità della intensa campagna in corso a Taranto con iniziative al Tribunale e al carcere nei giorni scorsi e come prima risposta all’infame decisione ‘assassina’ del ministro Nordio di rigettare la richiesta di annullamento del 41bis per Alfredo.L ‘obiettivo oggi era imporre un incontro in Prefettura per portare fin dentro i palazzi la campagna – l’incontro c’è stato con una delegazione dei rappresentanti dell’assemblea autoconvocata a cui si è aggiunta Amnesty International. Sono state consegnate le firme raccolte al Tribunale, l’appello nazionale degli intellettuali in circolazione a livello nazionale:”fuori Cospito dal 41bis abolizione del 41bis e dell’ergastolo ostativo”, mentre sotto di
susseguivano gli interventi di denuncia dei partecipanti.
A ogni presidio stanno crescendo le realtà organizzate che si uniscono alla campagna.
Slai cobas per il sindacato di classe
Da Repubblica
Carcere di Milano Opera, Alfredo Cospito legge le sei pagine del provvedimento del ministro Carlo Nordio e dice: “Me lo aspettavo. Hanno deciso di tumularmi in questo sarcofago di cemento”. In una Montecitorio deserta lo racconta il suo avvocato Flavio Rossi Albertini che aggiunge: “La fine di Alfredo è quasi scontata”.
Secondo Rossi Albertini, “da Nordio arriva una motivazione debole perché non affronta la qualità dell’associazione e svia sulle novità contenute nella mia richiesta del 13 gennaio di revocare il 41 bis all’anarchico”. E tecnicamente spiega: “Il decreto applicativo del 41 bis si fonda sul processo Bialystock. Affermare che ha una valenza neutra l’assoluzione in quel processo degli imputati perché il fatto non sussiste determina un po’ di sconcerto. Nordio parla comunque di galassia anarco-insurrezionalista ma c’è una evidente difformità tra il modello della criminalità organizzata e la dinamica politica legata all’anarchismo. Il 41 bis è stato applicato dilatando il perimetro della norma per zittirlo, perché troppo sovversivo”.
Manconi: “È una decisione strettamente e squisitamente politica, che non a caso arriva dopo due settimane in cui è stata allestita una campagna tesa all’invenzione del nemico. La simulazioni di una guerra portata allo Stato, uno stato di assedio che la nostra Repubblica starebbe subendo per le iniziative anarchiche… L’invenzione del nemico serve a giustificare la risposta che i rappresentanti istituzionali dello Stato hanno deciso di dare”. E ancora: “Quanto sia politica la decisione di Nordio lo si vede anche da un altro passaggio del provvedimento in cui si legge che lo sciopero della fame apparterrebbe alla categoria della non violenza, tranne che in questo caso perché la frase di Cospito “il corpo è la mia arma” sarebbe una dichiarazione di violenza. Scambiarla per una dichiarazione di guerra è analfabetismo funzionale, grammaticale e sintattico”.
L’avvocato è scettico… sulla decisione della Cassazione del 24 febbraio: “In questo clima avvelenato da Stato d’assedio il partito della fermezza crea la pre-condizione per un giudizio non favorevole”. Il legale insiste: “Sarebbe ingenuo pensare che la decisione di Nordio non influisca sulla Cassazione”. E dice ancora: “Possibile che nel 2023 possa morire un anarchico in carcere per lo sciopero della fame? Possibile che nessuno proponga una soluzione? io do per scontato che finirà male”.
Netto il no al trattamento sanitario obbligatorio. Dice l’avvocato: “Per quanto potrà eticamente pesare daremo battaglia perché sarebbe irrispettoso sottoporre coattivamente e forzosamente Cospito su una questione su cui lui ha già espresso un netto rifiuto. Glielo hanno prospettato i medici ma Cospito ha già detto di no in un suo scritto. Non si può violentare la sua volontà”.
Rossi Albertini prosegue: “Cospito non accetterebbe la sospensione della pena, un provvedimento temporaneo che potrebbe collocarlo in un luogo diverso in cui curarsi ma con la prospettiva di tornare nuovamente al 41 bis…
Detenuti picchiati e legati nel carcere di Biella, indagati 28 agenti
Dal Quotidiano piemontese
“La Procura ha aperto un’inchiesta nei confronti di 28 agenti della polizia penitenziaria del carcere di Biella per il reato di tortura. Secondo le prime informazioni sembrerebbe che i 28 (un commissario e 27 agenti) in diverse occasioni abbiano legato e picchiato alcuni detenuti.
Nello specifico la procura contesta ai 28 tre episodi avvenuti la scorsa estate. Secondo quanto si apprende gli episodi sarebbero stati ripresi dalle telecamere di video sorveglianza.
Al momento il commissario è stato arrestato mentre gli altri 27 agenti sono ai domiciliari. Per loro il pm ha chiesto la sospensione dal servizio”.
Per questi delinquenti c’è la pena lieve dei domiciliari
Per Alfredo Cospito che non ha ferito nessuno, il 41bis, e per Meloni/Nordio… può morire
Le lotte per una sanità pubblica, gratuita, universale e laica non si processano! Solidarietà ad Alessia e Lorenzo. SRP
Turchia: Rivolta nelle carceri Amed/Diyarbakir e Hatay
Nella famigerata prigione di massima sicurezza di Amed/Diyarbakir e nella prigione di Hatay sono scoppiate delle rivolte, i detenuti chiedono di avere notizie delle proprie famiglie colpite dal terremoto. Al momento il bilancio è di 3 prigionieri uccisi.
Rivolta dei prigionieri nella prigione di tipo T di Amed. Le guardie aprono il fuoco sui prigionieri. Almeno 3 prigionieri ad Hatay sono stati uccisi dalle guardie.
I prigionieri delle carceri di tipo C e T della provincia di Hatay, devastata dal terremoto, si sono ribellati ieri per andare dalle loro famiglie. I burocrati dell’AKP-MHP hanno dato ai militari “l’ordine di sparare”. Almeno 3 prigionieri sono stati uccisi.
Il presidente Erdogan ha minacciato di punire chi diffonde “false informazioni” e critiche alla sua amministrazione. Questa mossa ha portato alla restrizione di diverse piattaforme mediatiche a livello nazionale.