Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Senegal. Morti e feriti nelle proteste, la deriva autoritaria di Macky Sall

SENEGAL – Morti e feriti nelle proteste, la deriva autoritaria di Macky Sall

Domenica a Genova centinaia di senegalesi sono scesi in piazza per protestare contro la violenta repressione del governo del Senegal contro l’opposizione. La situazione nel paese, dopo l’arresto del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, continua ad essere esplosiva. Pubblichiamo qui di seguito un interessante articolo di Valeria Cagnazzo da Pagine Esteri che ricostruisce bene la situazione in Senegal.

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Senegal. Morti e feriti nelle proteste, la deriva autoritaria di Macky Sall

di Valeria Cagnazzo

E’ solo apparente la calma che regna nelle ultime ore in Senegal, a una settimana dagli scontri che hanno infiammato le strade di Dakar e delle più importanti città del Paese provocando morti, almeno 390 feriti e decine di arresti.

Secondo le fonti ufficiali del governo, le vittime delle rivolte di inizio giugno sarebbero 16, almeno 19 secondo l’opposizione, e Amnesty International parla addirittura di 23 persone uccise.

Adesso che i roghi di pneumatici sono spenti e la rabbia dei più giovani è momentaneamente arginata, è

tempo di fare i conti con il sangue versato in questi giorni in una violenza senza precedenti per un Paese baluardo di stabilità nel continente e dalla lunga tradizione democratica. Basterebbe poco, d’altronde, come una dichiarazione del Presidente Macky Sall, per far esplodere di nuovo gli scontri.

Le proteste erano scoppiate l’1 giugno scorso, quando il tribunale di Dakar aveva emesso la sua condanna nei confronti di Ousmane Sonko, leader del partito Pastef (Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fratellanza) particolarmente amato dai più giovani e fermo oppositore del Presidente in carica, Macky Sall.

La sentenza, due anni di carcere per il politico quarantottenne con l’accusa di aver “favorito la corruzione giovanile”, è arrivata a due anni di distanza dalla prima imputazione del leader dell’opposizione.

Nel marzo 2021, infatti, Sonko, che oltre a guidare il suo partito è anche sindaco della cittadina di Ziguinchor, era stato denunciato per stupro da una dipendente del centro massaggi “Sweet Beauté” che frequentava abitualmente per lombalgia cronica. L’1 giugno, l’accusa di stupro, che gli sarebbe valsa 5 anni di carcere, è di fatto caduta, ma l’ha sostituita una condanna per “corruzione di individui di età inferiore ai 21 anni”.

Il verdetto ha raggiunto Sonko nella sua casa di Ziguinchor e ha generato in poche ore manifestazioni nelle piazze e proteste sempre più violente nelle strade e nelle Università, per quella che è stata definita una “condanna politica” per eliminare l’oppositore più pericoloso di Macky Sall.

Dall’inizio dei suoi problemi giudiziari, Sonko si è sempre dichiarato innocente, puntando il dito contro il Presidente Sall per aver confezionate accuse contro di lui con l’obiettivo di estrometterlo dalle prossime elezioni presidenziali, che si terranno nel febbraio 2024 e che lo vedevano tra i favoriti.

Alle elezioni del 2019, Sonko si era collocato al terzo posto, con oltre il 15% dei voti. Il leader di Partef piace soprattutto ai giovani, perché parla di giustizia sociale e di lavoro in un Paese in cui il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e sono soprattutto loro a dover emigrare.

Parla anche di onestà e di trasparenza, Sonko, accusando l’attuale leadership di corruzione e il Presidente Sall di voler trasformare una democrazia storica in un regime autoritario, soprattutto da quando ha annunciato di volersi candidare alle presidenziali correndo per il suo terzo mandato consecutivo.

Sono proprio le prossime elezioni il nodo principale delle tensioni nel Paese, in cui il malcontento, la crisi economica e la fragilità politica crescente covavano da anni.

Quando Sall ha annunciato di essere pronto a candidarsi di nuovo, Sonko e tutta l’opposizione hanno gridato al rischio di dittatura, come lo stesso Sall avrebbe d’altronde potuto prevedere. A niente è valso il tentativo del Presidente, a fine maggio, di promuovere un progetto di “dialogo nazionale”, completamente boicottato dalle opposizioni.

Salito al potere nel 2012 per un mandato di sette anni, Macky Sall era stato rieletto nel 2019, per restare in carica fino al 2024. Cinque anni per il secondo mandato e non più sette perché nel 2016 una riforma costituzionale aveva modificato la durata della carica presidenziale.

Un altro articolo nella Costituzione vieta chiaramente che un Presidente possa restare in carica per più di due mandati consecutivi. Con un artificio che non dev’essere stato apprezzato dai partiti di opposizione né dalla popolazione senegalese, Sall ha cercato di giustificare il suo desiderio di correre come Presidente per la terza volta utilizzando proprio la riforma del 2016 come espediente: la modifica della durata del mandato rispetto al suo precedente incarico avrebbe azzerato la conta dei suoi mandati a partire da quello durato di cinque anni, ovvero di quello che rispetta la Costituzione attuale.

I primi sette anni di Presidenza sarebbero con questo cavillo, secondo Sall, escludibili dalla conta dei suoi incarichi. Secondo questo ragionamento a detta di molti capzioso, se dovesse vincere le elezioni di febbraio 2024, si ritroverebbe a governare per la seconda, e non la terza volta.

Una motivazione che non deve, però, aver convinto troppo il suo Paese. La condanna al carcere di Sonko ha lanciato nelle strade giovani manifestanti che non chiedevano soltanto l’immediato rilascio del loro leader, ma accusavano anche l’attuale Presidente di voler instaurare un regime dittatoriale e di minacciare con la sua sete di potere la democrazia senegalese.

Le rivolte non hanno riguardato solo il Senegal, ma anche i giovani della diaspora: i consolati di Milano, di New York, di Bordeaux sono stati presi d’assalto dai manifestanti anti-Sall, tanto che Dakar ha dovuto momentaneamente chiudere le sue ambasciate nel mondo per evitare ulteriori violenze.

In Senegal, la repressione delle proteste è stata durissima. In tre giorni, gli scontri hanno provocato almeno venti morti, centinaia sono stati i manifestanti feriti o quelli condotti in carcere. I due poli si accusano a vicenda di aver usato squadroni di uomini armati vestiti in abiti civili per attaccare i manifestanti o le forze di sicurezza, a seconda della provenienza dell’accusa.

Alcuni testimoni hanno raccontato di uomini armati di pistole o coltelli che a decine uscivano dai pick up per compiere attacchi mirati di manifestanti. Nei giorni delle proteste, nel Paese è stato sospeso l’accesso a Facebook, Whatsapp e Twitter: per motivi di sicurezza, secondo quanto dichiarato dal governo, per impedire che i social media venissero utilizzati per incitamento alla violenza.

Solo mercoledì 7 giugno, il Presidente Sall si è pubblicamente pronunciato sulle violenze che avevano investito il suo Paese, condannandole come un “tentativo di seminare il terrore e paralizzare il Paese”, e ha invitato l’opposizione a lavorare insieme per “mantenere il rispetto della legge e il desiderio condiviso di vivere in pace, stabilità e solidarietà”.

Non ha fatto, però, nessun riferimento alle prossime elezioni. Eppure “Basterebbe che un uomo dicesse: rinuncio al terzo mandato, che disonorerebbe la mia parola, il mio Paese e la sua costituzione, perché la collera che si esprime nelle strade si attenuasse. Quest’uomo, è il presidente della Repubblica.”

E’ quanto hanno scritto in questi giorni tre eminenti intellettuali del Paese, Boubacar Boris Diop, Felwine Sarr e Mohamed Mbougar Sarr, in una lettera aperta di denuncia della “deriva autoritaria del Presidente, l’anacronistica limitazione di libertà acquisite e il crescente clima di repressione in cui versa il Paese”. E’ Macky Sall, secondo gli scrittori, il responsabile del sangue versato in Senegal e la più grave minaccia per la sua democrazia.

In realtà siamo tutti, da mesi, testimoni della hubris di un potere che imprigiona o manda in esilio gli opponenti più minacciosi”, si legge nel manifesto, “reprime le libertà (soprattutto quella di stampa) e tira su la sua fazione con una rivoltante impunità. Siamo anche testimoni degli errori di uno Stato desideroso di restare forte a tutti i costi – e il costo è quello del sangue, della dissimulazione, della menzogna – dimenticando che uno Stato forte è uno Stato giusto, e che l’ordine si mantiene con l’equità”.

Già altri oppositori prima di Sonko erano stati, infatti, arrestati e allontanati dalla scena pubblica, e tra maggio e giugno il clima si è fatto ancora più pesante. Aliou Sané, leader di Y’en a Marre, un gruppo di rapper e giornalisti senegalesi, è stato arrestato il 29 maggio mentre si recava a fare visita a Ousmane Sonko, a cui era stato impedito di lasciare la sua casa per evitare tensioni, con l’accusa di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate e di disturbo della quiete pubblica.

Due giorni dopo, Bentaleb Sow prima e Moustapha Diop dopo, membri del gruppo di opposizione FRAPP, sono stati arrestati.

Noi ci teniamo a mettere in allerta sull’uso eccessivo della forza nella repressione della rivolta popolare in corso”, scrivono nel manifesto i tre intellettuali, che puntano il dito contro “la frenesia accumulatrice di una casta che si arricchisce illegalmente, coltiva un egoismo indecente e, quando la si interpella o gliene si chiede conto, risponde con il disprezzo, la forza, o, peggio, con l’indifferenza”, e accusano il governo di “governare con la violenza e con la forza, una cosa che il regime attuale sta metodicamente mettendo in atto da tempo. L’intimidazione delle voci dissidenti, la violenza fisica, la privazione della libertà sono state una tappa importante del saccheggio delle nostre libertà democratiche”.

I firmatari sono Mohamed Mbougar Sarr, classe 1990, premio Goncourt per “La più recondita memoria degli uomini”, Felwine Sarr (1972) accademico, musicista e scrittore, autore, tra gli altri, di “Afrotopia” (2016), saggio sulla decolonizzazione della conoscenza nel continente africano, e Boubakar Boris Diop (1946), vincitore nel 2021 del Neustadt International Prize for Literature, scrittore, autore di teatro e giornalista ex direttore del quotidiano del giornale “Le Matin”.

Anche diverse ONG per i diritti umani hanno denunciato la deriva autoritaria e la violenza della repressione di Macky Sall.

Amnesty International ha sollecitato le autorità senegalesi “ad avviare immediatamente un’indagine indipendente e trasparente sulla morte di almeno 23 persone, tra cui tre bambini, nella repressione delle proteste del 1° e del 2 giugno”. In particolare, anche per Amnesty sarà da chiarire la “presenza di uomini armati in abiti civili in appoggio alle forze di sicurezza, ampiamente documentata dalle immagini filmate”.

Il 4 giugno scorso le autorità hanno negato il coinvolgimento di forse di sicurezza governative prive di identificativo negli scontri e hanno parlato di “forze occulte” venute dall’estero per infiltrarsi tra i manifestanti, ma le accuse da parte di Amnesty e Human Rights Watch rimangono pesantissime.

Più che pacificata, la situazione in Senegal è solo momentaneamente congelata. Sonko non è ancora in carcere ma non può lasciare il suo domicilio, i suoi collaboratori lo dichiarano “rapito dallo Stato” e i suoi sostenitori aspettano che venga scagionato. Il Paese vigila e sembra pronto a ribellarsi ancora, se necessario.

Dopo la “tempesta”, come hanno definito le proteste i tre scrittori, il primo passo verso una pace sociale sarebbe probabilmente la rinuncia da parte di Macky Sall alle prossime presidenziali. A seguire, si dovrà fare i conti con il malessere profondo che il Paese covava da tempo e che le manifestazioni pro-Sonko hanno portato a galla: la crisi dello stato di diritto e la sete di una maggiore giustizia sociale, prima di tutto.

Nuove atroci testimonianze sulle torture dei poliziotti fascio-razzisti di Verona e sul razzismo di Stato

Se sei immigrato passi dalle torture nelle questure ai lager di Stato che si chiamano Cpr 

Dalla stampa borghese

Verona, il racconto di una delle vittime degli agenti: «Fermato senza un perché, picchiato e lasciato senz’acqua né cibo. Mi gridavano “Arabo di m***»

Adil Tantaoui racconta il suo incubo alla Stampa: «Chiamai la polizia dopo essere stato aggredito, mi portarono in Questura, poi al Cpr di Torino per 35 giorni: la gente lì impazzisce»

È una testimonianza atroce, quella rilasciata da Adil Tantaoui, uno delle decine di persone – quasi sempre straniere – finite nelle grinfie dei poliziotti «deviati» di Verona, ora agli arresti con le accuse di tortura, lesioni aggravate, peculato, rifiuto e omissione di atti di ufficio e falso ideologico in atto pubblico. Tantaoui è marocchino, ha 37 anni, vive in Italia da sette, è incensurato e sposato con una donna italiana. Lavori precari, certo, guadagni pure. Ma mai alcun problema con la giustizia. Anzi, anni fa era finito sui giornali locali per una storia di buon cuore: trovata una borsa alla stazione di Porta Vescovo, con all’interno un tablet e un pc, l’aveva restituita al suo legittimo proprietario, un docente universitario. E la mattina in cui per lui iniziò l’incubo cercava proprio giustizia, Tantaoui, dopo essere stato egli stesso vittima di un’aggressione. Lo racconta oggi al giornalista Niccolò Zancan sulle pagine de La Stampa. «Erano le otto di mattina del 26 ottobre. Io e mia moglie Elena vivevamo allora in una casa abbandonata, vicino al Bar Bauli, in via Perlar a Verona. Mi ero svegliato presto, stavo camminando nel parco che c’è lì davanti. Un ragazzo italiano mi ha chiesto una sigaretta, ma io non l’avevo. Lui ha preso un bastone e mi ha colpito sulla testa». Il giovane marocchino sanguina alla testa, è incredulo: chiama la polizia. Che arriva poco dopo, come da prassi, insieme a un’ambulanza. Tantaoui viene medicato alla testa. Ma poi, inspiegabilmente, diventa vittima di un nuovo sopruso: questa volta proprio da parte degli agenti. «Hanno lasciato stare il ragazzo italiano, ma hanno portato via me. Non mi hanno chiesto neanche i documenti, non hanno voluto sapere niente. Gli agenti mi hanno caricato in auto e subito uno dei due, quello pelato, ha iniziato a insultarmi: “Arabo di merda! Marocchino te ne devi andare di qua!».

Il sequel delle violenze, da Verona a Torino

È solo l’inizio dell’incubo ad occhi aperti vissuto da Tantaoui, secondo il suo racconto offerto nello studio legale milanese dove è assistito. Una volta arrivato in Questura a Verona, subisce il primo pestaggio, nel tunnel del parcheggio: «Mi hanno preso a calci nelle gambe, poi mi hanno strappato dalla testa le medicazioni». Non è tutto. Arrivato nell’edificio, ancora dolorante e senza alcuna ragione per il fermo, viene abbandonato nudo, senza acqua né cibo. «Stavo male. Mi hanno tolto tutti i vestiti e mi hanno buttato per terra nella stanza degli arrestati in mutande. Senza mangiare, senza niente. Tutto il giorno e tutta la notte. Sono svenuto». Ripresosi, all’indomani Tantaoui viene caricato su un’auto di servizio. La destinazione è il Centro per i rimpatri (Cpr) di Torino. Dove rimarrà rinchiuso – senza poter essere rimpatriato, essendo sposato con una cittadina italiana – per 35 giorni. Un inferno, testimonia l’uomo. «È proprio un carcere. Ti tolgono il telefono. La gente impazzisce. Il cibo è tremendo. È un casino. E poi ti danno delle pastiglie per calmarti e molti le prendono, ma io mi sono rifiutato».

Come ha fatto a non perdere la testa?

Un incubo finito appunto dopo oltre un mese, solo grazie all’apertura dell’inchiesta sugli abusi dello stato di diritto compiuti dagli agenti di Verona. Ma che in Tantaoui hanno lasciato un segno profondo, profondissimo. Ora «cerco di stare bene, ma è difficile – confessa a Zancan. Non ho trovato in Italia quello che cercavo. Mio padre è un giornalista, io ho fatto il cameraman anche per la Rai, ma le cose per me non sono andate come speravo. Ho provato tanti lavori: il magazziniere, le fragole. Ma non ce l’ho mai fatta. Ora i miei genitori mi hanno spedito dei soldi per aiutarmi qualche mese, così ho preso una stanza in affitto alla periferia di Milano». Quanto al giudizio su quei poliziotti deviati che gli hanno rovinato la vita, Tantaoui è perfino pacato: «Ce ne sono anche in Marocco. Dipende sempre dalla persona».

Noi pensiamo invece che non dobbiamo mai stancarci di denunciare quello che sta diventando – e che lo sarà sempre di più – l’apparato repressivo dello Stato.

La violenze dei poliziotti, vili, impuniti, di Verona che utilizzano il loro ruolo per colpire la gente che capita nelle loro mani, sono ormai frequenti.

Ogni tanto viene fuori un’inchiesta come questa di Verona ma, in realtà, in tutti i commissariati di questo paese esiste una consistente minoranza di poliziotti che sono fascisti, che sono legati al processo di fascistizzazione della polizia e, quindi, sostenuti dai ministri che si sono susseguiti – da Salvini a Piantedosi – e coperti dal governo. Chi più di questo governo copre le forze di polizia fasciste?

Sono un bubbone, un cancro e non certo sul piano morale ma proprio sul piano strutturale di quelli che sono gli apparati di Polizia, delle Forze Armate e perfino dei vigili urbani in questo paese. E’ violenza di Stato istituzionalizzata.

Alla violenza di Stato si risponde con la denuncia, con l’appello perché vengano fuori queste cose, che si facciano le inchieste necessarie. Ma è chiaro che la violenza di Stato pone il problema dell’autodifesa, di una risposta uguale e contraria e richiede che tutte le forze di opposizione a questo governo inseriscano l’autodifesa e l’autorganizzazione – sempre al fine di autodifesa, di resistenza per ora – delle masse.

Non si può pensare che questo sia un tema che debba essere estraneo, che debba riguardare i gruppi politici, i rivoluzionari, gli anarchici, come si dice. Bisogna porre all’interno delle organizzazioni sindacali, nelle assemblee dei lavoratori, nelle assemblee degli studenti, dei movimenti, la necessità di come bisogna rispondere a un governo che marcia verso un moderno fascismo, che utilizza la violenza che è parte della guerra interna.

Sfuggire a questo tema significherebbe nascondersi, fare la politica dello struzzo e non, invece, svolgere un ruolo d’avanguardia, di coscienza civile e organizzata, che tocca alle forze che si riferiscono alla classe operaia, ai lavoratori e che ne organizzano le loro lotte.

Piacenza: Inchiesta bis sugli abusi nella caserma Levante, 24 nuovi indagati

Nuovi indagati tra i carabinieri della caserma Levante di Piacenza. Sono 24 le persone coinvolte per violenza in servizio e abusi. Tra questi ci sono quasi tutti i carabinieri condannati in primo e secondo grado dopo la prima indagine del 2020 – quando la stazione dell’Arma finì sotto sequestro e al centro degli accertamenti della Guardia di Finanza per i gravi abusi e reati commessi dai militari -, altri cinque carabinieri e nove civili, accusati di spaccio, e quasi tutti comparsi già nel primo procedimento.

La procura ha dunque chiuso il secondo filone d’inchiesta. Le indagini, come si è potuto apprendere, non si erano mai fermate. E adesso, sotto la lente sono finiti alcuni fatti accaduti negli anni precedenti al 2020 e vicende minori già emerse durante la prima inchiesta ma che non erano state ancora contestate. Nell’inchiesta bis si parla di nuovi episodi di violenza in servizio, come nel caso di Giuseppe Montella, Giacomo Falanga, Angelo Esposito e Salvatore Cappellano, già imputati e accusati di tortura nel primo filone, che l’8 aprile 2020 avevano avvicinato un presunto spacciatore, lo straniero El Sayed, picchiandolo e minacciandolo di consegnare la droga in suo possesso.

Nel filone bis ci sono poi diverse contestazioni supplementari legate a reati già segnalati nella prima fase, una serie di falsi e omissioni di atti di ufficio, detenzione illecita di armi e munizioni. E alcuni casi di peculato: in particolare dalle indagini della Procura di Piacenza è emerso come Montella e Cappellano abbiano utilizzato un’auto di servizio dell’Arma dei Carabinieri per andare al supermercato a fare la spesa. Quanto raccolto dai magistrati titolari delle indagini Matteo Centini e Antonio Colonna, nel corso di questi anni, dal 2020, è confluito in un fascicolo che contiene fatti anche del 2017, 2018 e 2019 per i quali i militari piacentini non erano ancora stati giudicati.

Le nuove accuse vanno dall’omessa denuncia di reato, peculato, falsità materiale in atto pubblico, alla violata consegna, rifiuto o omissione di atti d’ufficio per mancate segnalazioni di assuntori di droga alla Prefettura, falso in atto pubblico in memoriali di servizio e detenzione abusiva di armi. E ancora: arresto illegale, rivelazione di atti d’ufficio, violenza privata, perquisizione arbitraria.

I civili invece sono quasi tutti pusher accusati di spaccio. Dalla chiusura delle indagini, gli indagati avranno venti giorni per visionare il fascicolo, farsi interrogare dal pm, produrre memorie difensive, o prove documentali e testimoniali. Di lì, poi, la procura potrà chiedere al gip il rinvio a giudizio o l’archiviazione.

Quanto alle condanne relative al primo filone dell’inchiesta, a novembre la Corte d’Appello di Bologna ha condannato – seppur con una riduzione di pena – cinque dei carabinieri coinvolti nell’inchiesta della Levante. Giuseppe Montella, considerato il capo della banda di spacciatori in divisa, è stato condannato a anni 10 di reclusione, invece che 12; Giacomo Falanga a 6 anni, come in primo grado; Salvatore Cappellano 6 anni e 4 mesi, invece che 8, Daniele Spagnolo è stato condannato a 1 anno e 2 mesi, invece che a 3 anni e 4 mesi. Infine per il comandante di stazione, Marco Orlando, la pena è stata ridotta da 4 anni a 1 anno 8 mesi e 20 giorni.

da La Stampa

Parigi, arrestati tre antifascisti italiani

COMUNICATO DA DIFFONDERE IL PIÙ POSSIBILE.

Questa mattina alle 11, 5 compagn* italian*, giunt* a Parigi per il fine settimana per rendere omaggio a Clément Méric, sono stati arrestati e trattenuti in una farmacia di Aubervilliers. Sono stati poi portati in una stazione di polizia al 22 di rue de l’Aubrac. Uno di loro è stato appena trasferito al Cra di Vincennes. Tutti e tre si trovano ora in dei Cra (Vincennes e Mesnil-Amelot). Hanno i biglietti per tornare in Italia domani. Non hanno commesso alcun atto che possa giustificare una simile procedura. Questo fatto, segue il giro di vite repressivo visto durante le proteste contro la riforma delle pensioni. Tutto questo mette ulteriormente in discussione il diritto di manifestare in Francia e di viaggiare all’interno dell’Unione Europea, mostrando ancora una volta le profonde e sempre più esplicite convergenze tra il governo di Macron e i governi di estrema destra. Come testimonia il tweet del ministro dell’interno Darmanin

Appello contro la repressione delle proteste operaie e popolari in Iran – Mentre continuano scioperi e manifestazioni, ancora un manifestante morto

Estratti

Negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi due anni, le politiche economiche del governo iraniano hanno creato diffusa povertà e miseria per il pubblico in generale, soprattutto per i salariati e i lavoratori. L’assassinio di Mahsa Amini (Gina Amini) nel settembre dello scorso anno ha acceso la rabbia della gente per tanta insicurezza e vita miserabile, e il movimento delle donne per una vita libera è emerso da questa situazione ed è contro l’intera scala della povertà, della miseria e del massimo sfruttamento. Ma è molto deplorevole che la risposta alle proteste contro noi lavoratori, insegnanti, pensionati, attivisti per i diritti dei giovani e noi persone non sia stata altro che una massiccia repressione. Ad esempio, durante questo enorme movimento popolare, diverse migliaia di persone sono state arrestate e incarcerate, compresi bambini e studenti.
Inoltre, secondo le statistiche, almeno 500 persone sono state uccise.

A questo proposito, negli ultimi due anni, gli attivisti sindacali, gli insegnanti che protestavano e altri attivisti sociali e sindacali sono stati sottoposti al maggior numero di repressioni.

Elenco di alcuni di questi prigionieri:

Lavoratori e attivisti che difendono i diritti dei lavoratori detenuti:  Kamal Karimi, Shadman Abdi, Abdullah Khairabadi, Sirvan Mahmoudi, Iqbal Pishkari, Hajar Saeedi, Khabat Mahmoudi e Habibullah Karimi, Reza Shahabi, Arash Johari, Hassan Saeedi, Nasrin Javadi, Milad Rabei, Abbas Daris, Asad Miftahi, Peyman Salem, Irfan Kohzad, Dawood Razavi, Kivan Mehtadi, Mehran Raouf, Sepideh Qalian, Abolfazl Ghasali e…

Insegnanti detenuti:    Rasool Badaghi, Ismail Abdi, Jafar Ebrahimi, Aziz Qasemzadeh, Anoush Adeli, Mahmoud Sedighipour, Farzaneh Nazeranpour, Hashem Moharin, Mehdi Fathi, Hossein Ramadanpour, Omid Shah Mohammadi, Mohammad Qanati, Farzad Safikhanpour, Fateh Osmani, Nahid Shirpisheh, Mohammad Hossein Sepeh ri. , Gholamreza Asghari, Zainab Hamrang, Javad Lal Mehdi.

Oltre a queste persone, un certo numero di donne che protestano contro il reato di rifiutare l’hijab, così come studenti e altri attivisti politici, la maggior parte dei quali sono detenuti del movimento Women’s Life of Freedom, sono in carcere.

Questo lungo elenco mostra cosa sta succedendo in Iran e come vengono violati i più basilari diritti umani del popolo.

Tra l’altro, la regola dell’apartheid sessuale e l’oppressione delle donne con l’imposizione dell’hijab le ha sottoposte a maggiori pressioni e oppressione sia a livello sociale che negli ambienti di lavoro.
Un asse della sollevazione popolare di questi otto mesi è dunque la difesa dei diritti delle donne, che si esprime nello slogan di una vita di libertà della donna.

Noi, i firmatari di questa lettera, come parte di un enorme movimento sociale in corso e anche come parte del movimento operaio che protesta contro lo status quo, stiamo cercando di essere la voce di questo movimento, la voce di protesta di tutte le donne che protestano, i lavoratori e il popolo dell’Iran… chiediamo

a) rimozione immediata e incondizionata di tutte le accuse attribuite a tutti gli attivisti sindacali detenuti in Iran e il rilascio di tutti i lavoratori, insegnanti e attivisti sociali detenuti e degli arrestati del movimento Women’s Life of Freedom e di tutti i prigionieri politici e l’immediata cancellazione delle esecuzioni;
b) espulsione della Repubblica islamica dall’Organizzazione internazionale del lavoro e non consentire alla delegazione di questo governo di partecipare alla riunione.

firmato:
1- Consiglio per l’organizzazione delle proteste dei contrattisti petroliferi
2- Consiglio di Organizzazione dei Lavoratori Informali del Petrolio (Terzi Organi)
3- Il comitato di follow-up per la creazione di organizzazioni sindacali
4- Consiglio pensionati dell’Iran
5- La voce indipendente dei lavoratori di National Steel Group
6- Sindacato dei lavoratori elettrici e metalmeccanici di Kermanshah
7- Sindacato degli imbianchini della provincia di Alborz
8- Licenziati di Gudkan

IRAN: RÉPRESSION D’UNE MANIFESTATION APRÈS LA MORT D’UN JEUNE OPPOSANT

Des grèves et des protestations ont éclaté à Abdanan suite au décès de Bamshad Soleimankhani. Cet étudiant de 21 ans de la ville est mort dans des circonstances suspectes à l’hôpital d’Ilam le 24 mai. Il y était soigné pour des fractures, quelques jours après sa libération pour avoir exprimé son opposition au régime sur internet. Après la cérémonie traditionnelle ayant lieu sept jours, les commerçants et les entreprises de la ville d’Abdanan, dans la province occidentale d’Ilam, peuplée de Kurdes, se sont mis en grève pour protester contre cette mort inexpliquée présentée par les autorités comme un suicide. Des manifestations de masse ont également eu lieu dans différents quartiers de la ville tout au long de la soirée et de la nuit. Plus de 20 civils ont été blessés par des gaz lacrymogènes et des chevrotines tirés par la police anti-émeute (photo). Abdanan est militarisée depuis hier et des mesures de sécurité strictes ont été mises en place, les forces de sécurité ont perquisitionné les hôpitaux à la recherche de manifestants blessés.

PESANTISSIME CARICHE DELLA POLIZIA CONTRO I LAVORATORI IN SCIOPERO AI CANCELLI DI #MondoConvenienza a CAMPI BISENZIO – Massima informazione e solidarietà

I reparti antisommossa hanno prima invaso lo spazio del presidio, distrutto un gazebo, e poi alzato i manganelli contro gli scioperanti. Ancora violenza gratuita contro chi sta manifestando pacificamente per i propri diritti.
La cosa più assurda è che l’intervento della celere è avvenuto immediatamente dopo che un furgone crumiro ha tentato volontariamente di investire i lavoratori in presidio.
Ciò è la riprova evidente di come stiamo assistendo ancora una volta a una vera e propria “azione congiunta”, pianificata di comune accordo dai padroni e dallo Stato borghese.
Non ci fermeranno!
 

Dal 30 maggio è in corso lo sciopero dei facchini e autisti in appalto Mondo Convenienza di Campi Bisenzio.

Da anni sono costretti a lavorare con quei contratti che producono il cosiddetto lavoro povero: contratto pulizie multiservizi invece che Logistica, con turni tra le 10 e le 14 ore al giorno per 6 giorni la settimana, con straordinari non pagati, in un meccanismo di appalti e subappalti che ha il solo scopo di abbassare il costo del lavoro e spremere chi si spacca la schiena a trasportare mobili in tutta la zona con problemi per la salute e senza sicurezza.

“In questi giorni Mondo Convenienza siederà sul banco degli imputati a Bologna e Ivrea, accusata di sfruttamento, caporalato e razzismo. È indegno di un paese civile lavorare con una paga base di 1180€ lordi al mese, 6,80€ lordi l’ora, tanto più in un momento in cui in tutta Italia le persone non riescono ad arrivare a fine mese, schiacciate dall’inflazione e dal carovita.” afferma il SI Cobas Prato e Firenze che proprio a Campi Bisenzio aveva visto due suoi coordinatori Sarah e Luca ricevere il foglio di via da parte del Questore poi ritirato in seguito alla mobilitazione con scioperi che sono immediatamente partiti in tutta la piana e mille persone che sabato 13 maggio hanno attraversato le strade di Firenze in una grande manifestazione per la libertà di sindacato.

Già negli scorsi giorni a più riprese la polizia aveva tentato di sgomberare il picchetto dei lavoratori Mondo Convenienza per far passare i camion carichi di mobili. Il primo giugno alle 12:45 le forze dell’ordine, dopo diversi tentativi falliti, in grandi forze hanno di nuovo attaccato i lavoratori in presidio ai cancelli del magazzino Mondo Convenienza. Ancora una volta lavoratori attaccati, presi di peso e trascinati sull’asfalto durante una protesta sindacale assolutamente pacifica. Tutto per consentire l’uscita dei furgoni per le consegne, mentre l’azienda ha portato personale esterno per sostituire i lavoratori in sciopero continuando a rifiutare qualsiasi tipo di interlocuzione con il sindacato. Tra i lavoratori alcuni hanno accusato malori e subito contusioni. Uno di loro è stato portato al pronto soccorso.

Ieri si è assistito nuovamente ad una scena simile: la polizia ha sgomberato i cancelli strattonando e trascinando i lavoratori in sciopero da 6 giorni.

Come afferma il SI Cobas: “Dietro alla “convenienza”, dietro al “la nostra forza è il prezzo” stanno gli operai che si spaccano la schiena, in un regime di ricatto e sfruttamento.”

Radio Onda Rossa ne parla con una compagna del Si Cobas Prato. Ascolta o Scarica

da Infoaut

Bologna: rigettato per l’ennesima volta il ricorso sulle misure cautelari per 12 studentesse. Massima solidarietà

Sono indagate per quanto avvenuto a un corteo dello scorso novembre

“C’è chi il fango lo getta via e chi lo rigetta sopra. Più ce ne scaricate più ve ne sarà restituito durante la marcia regionale del 17 giugno”.

dal CUA di Bologna

PRIORITÀ (RI)GETTATE NEL FANGO

Mentre la pioggia continua a sgorgare senza freni sulla nostra regione, mentre i danni causati da questa crisi continuano a sommarsi disastrosamente, mentre continuiamo a spalare via il fango con cui ci hanno sommerse, le priorità del ministero degli interni si confermano chiare: rigettare per l’ennesima volta l’istanza di ricorso sull’obbligo di firma delle 12 studentesse sotto cautelari da più di 4 mesi.

È evidente che ci troviamo davanti a un governo che si muove su binari non solo indifferenti alla fame e alla distruzione che produce, ma del tutto contrari a qualsiasi possibilità di vita dentro questo letamaio. Un governo che mentre le nostre case sono distrutte continua a spendere miliardi per finanziare la guerra, un governo che invece di impiegare forza pubblica per aiuti concreti alle popolazioni alluvionate promuove esercitazioni militari, un governo che mentre ci si organizza per gettare via il fango con cui ha sommerso le nostre vite, ce lo rigetta addosso con la stessa nonchalance con cui rigetta i nostri ricorsi. 

La questura e i tribunali della città di Bologna oggi rasentano la meschinità più viscida, dato che in più di un mese di alluvione le uniche azioni concrete che hanno promosso sono state: lo sgombero dell’occupazione ecologista di via Agucchi letteralmente sotto fiumi di pioggia, lo sgombero dell’occupazione trasfemminista della Vivaia neanche due settimana dopo che 14 persone avevano perso la vita a pochi passi da noi, l’impuntarsi sulla continuazione di 12 misure cautelari senza riuscire ad articolare alcuna motivazione nell’istanza di rigetto.

Cautelari emesse per cosa? Per aver sanzionato un supermercato con della vernice, quando da 4 settimane le nostre vite sono costantemente sanzionato da bombe d’acqua e fango.

Lo abbiamo già detto, we are not fucking angels. Siamo la generazione che da più di cinque anni protesta contro la cementificazione dei territori, per dire che l’emergenza climatica esiste, che va fermata subito e che vanno fermati i suoi responsabili, la generazione che sanziona, che occupa, che trasgredisce. Quella stessa generazione che però conosce bene il valore della solidarietà, e che davanti alle emergenze si rimbocca le maniche per aiutare, per distruggere l’individualismo, per creare percorso politico capace di immaginare mondi nuovi.

Si sa, c’è chi il fango lo getta via e chi lo rigetta sopra. Ma tranquilli: più ce ne scaricate e più ve ne sarà restituito durante la marcia regionale del 17 giugno.

Ora più che mai, FERMIAMOLI!