Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici.
Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare].
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione.
Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione.
Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione?
Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...
Il governo di Netanyahu/Ben-Gvir (condannato per violenza e per istigazione all’odio razziale), espressione della peggior feccia nazisionista israeliana, in questi giorni sta dispiegando una violenza repressiva inaudita, mostrando tutta la sua ferocia criminale contro il popolo palestinese.07
“Ho chiesto una riunione di Gabinetto. La risposta contro Gaza deve essere più forte”, ha minacciato il ministro per la sicurezza Ben-Gvir. “È giunto il momento di lanciare un’operazione militare nel nord della Cisgiordania e di sferrare pesanti colpi su Gaza”, sono state le dichiarazioni del Ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich.
Netanyahu e Ben-Gvir stanno lavorando alla formazione della Guardia Nazionale, 2 mila militari che compongono una milizia separata dalle forze repressive, che risponderà al ministro della Sicurezza nazionale. Un altro segnale del salto di qualità nella repressione che dimostra la natura di questo nuovo governo ma che alimenterà la resistenza palestinese.
L’esercito israeliano sta lanciando attacchi aerei sulla Striscia di Gaza oggi e sul sud del Libano nel campo profughi palestinese di al-Rashidieh, dopo avere ripetutamente aggredito con ferocia vigliacca per cacciare i palestinesi in preghiera nella moschea di Al-Aqsa di Gerusalemme questa settimana
Gaza bombardata dai cani nazisionisti
Libano
Granate assordanti e gas lacrimogeni sono stati lanciati contro la moschea di Al Aqsa, prima che i soldati gettassero a terra i palestinesi, li calpestassero e legassero loro le mani dietro la schiena.
“Ci hanno tenuti a terra, ammanettati, per molto tempo, e chiunque alzasse la testa veniva colpito con una pistola”.
400 palestinesi sono stati arrestati.
la ferocia delle bestie nazisioniste
Nella Cisgiordania occupata, centinaia di palestinesi sono scesi in piazza per condannare l’assalto e confrontarsi con le truppe israeliane ai posti di blocco e alle postazioni dell’esercito. Manifestazioni si sono svolte anche a Gaza, Umm al-Fahm (una città palestinese in Israele) e nella capitale giordana Amman.
La resistenza palestinese ha lanciato razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele e ha sparato contro obiettivi israeliani a Nablus, Jenin, Tulkarm, Hebron, Ramallah e Gerico
Le lotte non si arrestano nè si processano! Il 6 aprile a Palermo In occasione della nuova udienza del processo contro i precari e le precarie delle Coop Sociali Slai Cobas sc iniziativa di denuncia e lotta davanti il Tribunale di Palermo.
Presenti anche compagni e compagne del Cobas Confederazione, dell’Assemblea NoGuerra e del Comitato territoriale No Muos Palermo e del PCL
La solidarietà di classe è un’arma!
Fare fronte contro la repressione che con questo governo fascista Meloni avanza ad ampio raggio una necessità da impugnare!
…dal 30 ottobre 2020 siamo sotto processo a Palermo perché abbiamo difeso il nostro diritto al lavoro, perché dinnanzi all’arroganza della Città Metropolitana che nel 2017 aveva indetto una gara d’appalto irregolare e truffaldina con cui di fatto licenziava più della metà dei precari, a maggioranza donne, abbiamo risposto con la lotta tempestiva e necessaria, “assediando” i palazzi del potere, contestando apertamente la gara e ottenendo alla fine la modifica del bando e il blocco dei tagli ai posti di lavoro.
Da oltre 25 anni nelle scuole facciamo assistenza agli studenti disabili e in una città del sud come Palermo con sempre più precarietà e rischio di licenziamento per migliaia di lavoratrici e lavoratori ogni giorno subiamo come precari delle Coop Sociali tutte le conseguenze di una condizione di lavoro fatta di contratti a termine sempre più a termine, anche solo di mesi, riduzioni di ore, salari bassi, scaricamento illegale della nostra mansione ad altri lavoratori con cui le istituzioni innescano odiose guerre tra poveri.
Ma contro tutto questo abbiamo lottato e continuiamo a farlo perché giusto e necessario.
La “lenta” giustizia borghese è stata veloce a rinviarci a giudizio, ma in effetti si tratta di un “processo” che avviene in tutta Italia! Siamo una goccia che fa parte di un mare di lavoratrici, lavoratori, operaie, operai, precarie, precari, disoccupate, disoccupati, attivisti delle lotte sociali, migranti… che vengono attaccati da questo Stato borghese che invece di dare risposte a bisogni reali e a diritti si scaglia con la repressione in diverse forme, emanando anche leggi odiose dai decreti sicurezza del fasciorazzista Salvini alle leggi sempre più repressive dell’attuale governo Meloni fascista partire dal decreto anti rave.
Ma la giustezza delle lotte messe in campo in difesa della condizione di lavoro e di vita più generale la rivendichiamo pienamente e diciamo a gran voce che queste lotte non si processano, la repressione non spegne le lotte giuste e necessarie ma alimenta la ribellione!
Questo Stato borghese con l’uso di tutti i suoi apparati repressivi nella marcia moderno fascista che avanza, con i suoi governi al servizio dei padroni, oggi con l’ala più reazionaria e nera del governo Meloni, ci fa la guerra, attaccando le lotte di noi lavoratori, operai, precari, attaccando i migranti, gli studenti, le donne… attaccano il diritto di sciopero, attaccano diritti basilari, attaccando le lotte sociali, politiche, le lotte in difesa dell’ambiente, la condizione di vita della maggioranza delle donne, le lotte contro la guerra imperialista, le basi e gli strumenti di morte al servizio della sporca guerra …
Questi attacchi repressivi trovano il punto culminante verso i prigionieri politici; verso chi, in varie maniere, pone la necessità della lotta rivoluzionaria contro uno Stato che attacca i diritti dei proletari, delle masse popolari, contro un sistema sociale che non può essere cambiato dall’interno ma distrutto. È in questo contesto che va visto l’accanimento dello Stato contro la lotta giusta e legittima di Alfredo Cospito a cui va tutta la nostra piena solidarietà di classe.
Dobbiamo ripartire dalle lotte che facciamo tutti i giorni e fare una lotta ancora più grande, per cui è necessario un fronte di classe anticapitalista che unisca tutti i lavoratori, gli operai, tutti gli sfruttati, oppressi e repressi, perché questo sistema non si può cambiare, si può solo rovesciare.
Guardiamo alla grande lotta dei lavoratori e delle masse popolari che oggi si sta sviluppando in Francia contro il governo borghese di Macron che mostra tutta la spietatezza nel difendere gli interessi dei padroni capitalisti con una durissima repressione che tantissimi lavoratori di tanti settori insieme a studenti, compagni stanno sfidando combattendo e ai quali esprimiamo forte solidarietà di classe ci incoraggia e ci dà speranza…
Da un intervento di una precaria Coop Sociali
Intervento compagna Slai Cobas sc
Intervento compagno Cobas Confederazione
Intervento compagna Comitato territoriale No Muos Palermo
Potremmo noi chiedere a Report: chi sta dietro, chi ha manovrato gli autori dell’inchiesta “Ombre nere”?
La trasmissione di lunedi’ scorso è iniziata dalla vicenda di Alfredo Cospito, ma è proseguita dando tutto lo spazio ai capi mafiosi e infine ai fascisti stragisti. Facendo una squallida operazione di mettere tutti sullo stesso piano
Si è trattato di una aperta strumentalizzazione della chiara e giusta battaglia di Alfredo, sostenendo una tesi (la lotta di Alfredo fa il gioco della mafia ed è sostenuta dai mafiosi in 41bis) che fa il paio con quella del governo Meloni/e Donzelli FdI.
Nella trasmissione di Report si è sostenuto che “tutta la vicenda Cospito indubbiamente potrebbe avere un riflesso anche per il futuro del regime di detenzione applicato ai mafiosi”; sostenendo a conferma di questo “che ad osservare la situazione, infatti, vi sarebbe anche la criminalità organizzata” e a dimostrazione, si dice “che dopo appena 65 giorni di sciopero della fame Cospito è stato spostato in un gruppo di socialità differente ed è in questo ambito che si sono sviluppati i dialoghi con soggetti di ‘Ndrangheta e Camorra che lo esortavano a proseguire nella protesta contro il regime detentivo”.
Una ricostruzione falsa e tendenziosa.
Una trasmissione che, coscientemente o incoscientemente, ha di fatto dato un contributo alla “condanna a morte” decisa da Nordio e governo Meloni, contro Alfredo Cospito, che da sempre rivendica le sue idee di rivoluzionario contro questo sistema borghese/mafioso, e che non scambia la sua vita con la rinuncia alla sua identita’ politica.
“Ergastolo ostativo e 41bis, nel frullatore di Report” ha giustamente titolato il suo articolo su Il Manifesto Patrizio Gonnella, denunciando che la ricostruzione fatta da Report è stata palesemente allusiva, sostenendo che anche la Corte di Strasburgo sui diritti umani è più o meno manovrata dalla mafia, “Dopo che per anni le destre sovraniste hanno, in giro per l’Europa, attaccato le ingerenze dei giudici di Strasburgo… anche Report ha provato a dare il suo contributo alla delegittimazione della Corte europea dei diritti umani”.
“La Russa vergogna, non sei degno della memoria di questa città, di questo paese, dei nostri morti, sgrammaticato istituzionale, e non lo dico io, lo dice la tua capa”.05
Queste le parole che è riuscita a urlare la compagna del MFPR mentre le veniva strappato il cartello in foto e una decina di sbirri e altrettanti digossini, tutti maschi, la portassero via di peso. C’erano solo loro, oltre alla feccia di questo Governo, Comune e Regione fascista. I giornalisti confinati in un angolo per riprendere le “autorità” e pochissime persone “civili” confinate fuori del parco della memoria. Parco fortemente voluto da Antonietta Centofanti, dove le abbiamo dato l’ultimo saluto al canto di bella ciao e che questo essere trucido è venuto a infangare.
Pochissimi i cittadini e i familiari delle vittime presenti, tenuti a debita distanza dalle “autorità”, che a gamba tesa hanno occupato un luogo che per la città ha un grande valore simbolico. Quello di una strage annunciata quando La Russa era ministro della difesa col governo Berlusconi IV, e anziché portare aiuto alla popolazione terremotata ne militarizzava il territorio e ne gestiva i campi con i suoi kapo, affiancato dalla protezione civile di Bertolaso (ministro degli interni il leghista Maroni).
Oggi, 4 aprile, al Tribunale de L’Aquila, si è discusso dell’applicazione della Sorveglianza speciale, richiesta dalla Questura di Teramo, a un compagno del Campetto occupato, uno dei pochi spazi sociali ancora presenti in Abruzzo e del quale, nella stessa richiesta di sorveglianza, è annunciato lo sgombero, subito dopo l’applicazione della misura.
La Sorveglianza speciale è una “misura di prevenzione” che l’Italia ha ereditato dal fascismo ed è fortemente lesiva delle libertà personali. Basata sulla presunta pericolosità sociale dell’individuo per l’ordine pubblico, in totale assenza di reato e di formalizzazione di accuse, la sorveglianza speciale èin contrasto con la stessa Costituzione italiana e stigmatizzata dalla Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU). Essa prevede arresti domiciliari la sera, divieto di frequentazioni di luoghi e persone, obbligo di dimora con conseguente perdita del lavoro, se chi ne è colpito lavora fuori del territorio di dimora abituale, come nel caso del compagno in questione.
E’ quindi una misura molto restrittiva e tesa a colpire la persona per quel che é, per le sue idee e per le lotte che conduce. E oggi va a colpire uncompagno del Campetto occupato per le numerose attività portate avanti in quello spazio di libertà.
Uno spazio recuperato al degrado e all’incuria per essere restituito alla collettività con molteplici iniziative, da quelle culturali e sociali alle iniziative di solidarietà, dalle raccolte fondi all’accoglienza di chi non ha una casa e ha trovato nel Campetto uno spazio abitativo, fino al sostegno a tutte le varie forme di mobilitazione, da quelle antifasciste, antirazziste e in difesa dell’ambiente, a quelle contro le discriminazioni e la violenza sulle donne, da quelle operaie a quelle contro la repressione.
Tutte queste attività possono risultare “socialmente pericolose” soltanto per questo Stato di polizia, per la società borghese che detiene il potere e si illude che “tagliando le teste” le lotte si arrestino, usando la sorveglianza speciale anche come un monito per tutte e tutti.
Per questo oggi siamo stati/e a fianco del nostro fratello, per dire no alla sorveglianza speciale, no allo sgombero del Campetto occupato, no alla repressione delle lotte!
L’udienza si è tenuta a porte chiuse, in camera di consiglio. Il PM ha chiesto da 1 a 5 anni con l’obbligo di dimora, la giudice, la stessa che ha condannato le vittime del sisma per essere state rassicurate dallo Stato, si è presa qualche giorno di tempo per decidere (ascolta l’intervista di ieri a radio onda rossa del compagno).
l’intervista di ieri a radio onda rossa del compagno
Fuori del tribunale si è tenuto un presidio di solidarietà compatto e numeroso. Presenti tutte le realtà abruzzesi e compagne e compagni di Roma per la Cassa di solidarietà La lima.
All’uscita dalla camera di consiglio il compagno ha letto la sua dichiarazione spontanea che pubblichiamo di seguito:
“Visto l’impegno con cui la Questura cerca, affannosamente, di raccontare la mia storia, qualche parola vorrei spenderla anche io, su di me, dal momento che non é tanto qualche azione ad essere giudicata, quanto la mia persona a voler essere fatta passare come “socialmente pericolosa”.
Il lungo fascicolo parte addirittura dai tempi del liceo… E fanno bene!
Perché da allora, per quanto mi riguarda e per la mia visione del mondo, ben poche cose sono cambiate.
Infatti mi sono sempre adoperato, speso e ho lottato affinché esistesse una società più libera, più equa e più giusta. Ogni qualvolta ho visto o percepito vi fosse qualche ingiustizia non mi sono mai voltato dall’altra parte o fatto finta di niente, ma, nel mio piccolo, ho combattuto affinché tali ingiustizie non ci fossero.
Tutte quelle pagine della Questura parlano di questo e, francamente, ho ben poco di cui pentirmi. Anzi.
Credo che se piú persone si adoperassero in tal senso, vivremo tutte e tutti un po’ meglio.
Nella richiesta poi con cui mi si chiede l’applicazione della Sorveglianza, si fa particolarmente riferimento agli ultimi due anni… E di cosa si sta parlando?
Di lotte per dare a tutti un tetto, di recupero di spazi abbandonati per farne luoghi di socialità, cultura e lotta, di presidi in difesa delle donne, di proteste al fianco degli operai, di manifestazioni contro razzismo e discriminazioni, di mobilitazioni a sostegno di compagn*, di giornate per la salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema dove viviamo.
Vedete signori, io non vi parlo della “gravità” o meno giuridica di quello di cui sono accusato. Io vi parlo, di ciò che ho fatto, della sua giustezza etica. E, in tale ambito, ho ben poco da cui difendermi, perché non ci vedo nulla di sbagliato, anzi.
Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto con coscienza, convinzione e pensando fosse per migliorare la condizione di tutti, perché ho sempre pensato che non può esserci liberazione individuale se non c’è anche una liberazione sociale.
Ma l’accusa che oggi mi si muove, quella sí, non l’accetto e la rispedisco al mittente.
L’accusa di essere “socialmente pericoloso” e un “pericolo pubblico”, quella no, non l’accetto.
Non l’accetto perché la realtà dei fatti dimostra il contrario. Perché per quel che concerne la “società” ed il “pubblico” (e fermandoci alla definizione etimologica significano afferenti al popolo), che pericolo potrei essere?
Al contrario, per coloro i quali voi mi vorreste giudicare pericoloso, in realtà mi son sempre speso. E se conosceste un minimo la realtà, i rapporti sociali che vi sono, sapreste bene che é così.
Che per il “sociale” e per il “pubblico” non sono né un nemico né un pericolo, ma semplicemente un individuo che con altri si spende per migliorare le condizioni di tutti, e degli ultimi in particolare.
E il “pubblico” di cui parlate, questi aspetti li conosce e li riconosce, e testimonianza sono i tantissimi attestati di stima, vicinanza, solidarietà, affetto e complicità che ho ricevuto e che riecheggiano anche nelle carte.
Per questo, voglio semplicemente dire e ribadire che l’accusa che mi viene mossa non l’accetto e la rispedisco al mittente.
E dico che il vero pericolo sociale sono chi ci opprime ogni giorno, chi devasta l’ambiente, chi discrimina, chi ti toglie o ti nega un tetto sotto cui stare, chi crea e incentiva guerre tra poveri, chi finanzia e conduce guerre per il mondo, chi ne saccheggia i territori, chi reprime senza scrupoli, chi ci costringe a dover scegliere se fare la spesa o pagare le bollette, chi dopo averti sfruttato una vita ti butta per strada, chi fa morire persone in mare, nei luoghi di lavoro e nelle galere.
Per me, il vero pericolo sociale sono loro.
E questo pericolo io l’ho sempre combattuto.
Per questo, e non per altro, sono giudicato oggi.
E quindi, se dovete condannarmi, siate onesti almeno e dite: “Ti condanniamo perché ti sei sempre opposto all’ingiustizia. Perché, nel tuo piccolo, potresti rappresentare un pericolo per coloro che ogni giorno ci fanno fare una vita di miserie umane, materiali e sociali.”
Ma forse chiedo troppo e queste poche righe, a differenza dell’enormità del fascicolo con cui mi si accusa, sono soprattutto per le persone là fuori da quest’aula, nella società. Persone per cui mi si accusa di essere un pericolo.
Queste poche parole sono per loro.
A dire che, comunque vada, la dignità, la giustizia sociale e la libertà non possono indietreggiare neanche in un’aula di tribunale.
Perché un mondo di liber* e ugual* é il sogno più bello che si possa mai realizzare.”
In occasione della nuova udienza del processo contro i precari delle Coop Sociali, Giovedì 6 aprile dalle ore 10,00 iniziativa di denuncia e lotta davanti il Tribunale di Palermo
Lavoratrici e lavoratori sono sempre più sottoposti a denunce, provvedimenti repressivi, processi perché lottano per difendere il posto di lavoro, perché lottano contro condizioni di salario e di sfruttamento sempre più pesanti…
Ma la repressione di questo Stato colpisce tutti i settori sociali in lotta, e oggi il governo fascista Meloni accelera l’azione repressiva ad ampio raggio contro chi lotta per avere un reddito in attesa di un lavoro, chi lotta per la casa, in difesa della scuola pubblica, della sanità pubblica, contro la devastazione ambientale, colpisce chi lotta contro la guerra imperialista e gli strumenti di morte e distruzione al servizio della guerra per i profitti dei padroni capitalisti, si accanisce contro chi lotta seriamente per un vero cambiamento sociale…
Invitiamo tutti e tutte ad unirsi, a partecipare.
La solidarietà di classe è un’arma, lottare e fare fronte contro la repressione delle lotte una necessità.
Nel 2017, dopo quasi 30 anni di ritardo dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, l’Italia ha approvato una norma per punire quello che l’Onu considera un crimine contro l’umanità. Uno di quei crimini che danno la possibilità alla Corte Penale Internazionale di processare dittatori e criminali.
Prima dell’approvazione di quella legge l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per diversi fatti che accaddero nel paese: le torture nel carcere di Asti, nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz. In tutti questi casi l’Italia fu condannata perché non aveva una legge che permettesse di fare giustizia nei casi di tortura.
Ad oggi nessun paese nel quale la legge è in vigore la ha abolita.
Da quando la legge fu approvata sono state condannate, imputate, indagate, oltre 200 persone tra agenti, funzionari, operatori, medici, in processi riferibili a casi di presunte o comprovate torture. Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini della “mattanza” avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Membri di Fratelli d’Italia hanno dichiarato, nel presentare richiesta di abolizione di questa legge, che le maglie troppo larghe rischiano di portare a subire denunce e processi strumentali. La storia di questi primi 6 anni ci dice che questo non sta avvenendo e in molti casi i processi, oltre che dalle testimonanze, sono sorretti anche da immagini che lasciano poco spazio al dubbio che un procedimento sia strumentale. Quelle di Santa Maria Capua Vetere che ricordavamo, quelle di quanto avvenuto nel carcere di San Gimignano, entrambi casi in cui le immagini sono state rese pubbliche. E altri in cui, ad oggi, le immagini sono parte degli elementi probatori nei processi in cui siamo costituiti parte civile.
Il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT), nel report pubblicato lo stesso giorno in cui è stata presentata la proposta di legge aveva ribadito come in tutte le carceri visitate erano stati riferiti episodi di maltrattamenti e violenze. Sottolineando però come i detenuti abbiano chiarito che la maggior parte degli operatori li abbiano trattati nel pieno rispetto dei loro diritti. Mantenere la legge che punisce la tortura significa stare anche con questi operatori che svolgono un lavoro difficile e delicato, che spesso non riceve il giusto riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui siamo convinti che l’impegno delle istituzioni, in un paese dove lo Stato di diritti sia solido, sia quello di contrastare la tortura e non la legge che permette di perseguire chi si macchia di questo crimine.