Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Maxi attacco giudiziario a Torino. Giù le mani da chi lotta contro guerra, genocidio e governo!

Nei giorni scorsi ad alcuni giovani attivisti di Torino è stato notificato un faldone di circa 250 pagine che, su richiesta della Questura di Torino, ha avviato un’indagine nei confronti di decine di giovani rispetto ai quali la Procura ha chiesto misure cautelari che vanno dal divieto di dimora, agli arresti domiciliari fino alla custodia cautelare in carcere.

La Questura ricostruisce cortei, iniziative e manifestazioni svoltisi a Torino da ottobre 2023 fino alla manifestazione del 5 ottobre a Roma in un’ottica sovversiva e violenta piuttosto che in un contesto legittimo di rivendicazione sociale e politica, di contestazione e manifestazione del dissenso.

I fatti citati ed incriminati comprendono mobilitazioni ed eventi ampiamente partecipati come quello contro il genocidio in Palestina, denunciando la complicità delle istituzioni italiane, le collaborazioni strette tra università e un regime macchiato di sangue; presidi come quello davanti alla Rai, da tempo riconosciuta per la sua copertura parziale e faziosa delle notizie nonché la difesa di spazi universitari dall’ingresso di collettivi come il FUAN, dichiaratamente neofascisti, sfociata il 5 dicembre 2023 in cariche pesanti contro studenti, studentesse e docenti, così violente da aggredire anche una docente.

Le mobilitazioni a cui si fa riferimento sono, dunque, tutte legittime contestazioni collettive per rivendicare diritti, bisogni ed opporsi a ingiustizie sociali e pubbliche.

Questa linea accusatoria, però, non stupisce, considerato che la recente approvazione del DDl Sicurezza esprime proprio la filosofia securitaria, autoritaria e fortemente repressiva dell’attuale governo che l’ha varato.

Si associa il concetto di pericolosità sociale a chi esprime un dissenso, a chi manifesta per qualsiasi questione e ciò è un fatto molto grave perché il dissenso non è pericoloso, non attenta alla tranquillità pubblica né alla sicurezza pubblica. Se ogni dissenso venisse considerato pericoloso socialmente, dove andremo a finire? Il dissenso rappresenta invece il valore più alto della democrazia, ne incarna il suo aspetto essenziale, criminalizzare la contestazione quindi è un rischio molto grave e questa tendenza di emettere fogli di via, divieti di dimora, multare, sanzionare sono misure sproporzionate ed incongrue rispetto alle azioni che le persone raggiunte da queste misure hanno compiuto ovvero manifestare il proprio pensiero, esprimere le proprie idee, contestare e rivendicare legittimamente i propri diritti. Tutte azioni peraltro costituzionalmente garantite quindi trasformare la disobbedienza civile in qualcosa di illegale è molto preoccupante e uno stato che lo fa attraverso le misure di prevenzione e le misure cautelari è uno stato di polizia e non uno stato democratico.

Lettera di Gigi dagli arresti domiciliari e appello alla solidarietà

“La cassiera del supermercato mi guarda, negli occhi.. e mi chiede come va.
Mi conosce, non bene, ma delle cose le sa.
Mi augura buona giornata e le sorrido perché la mia ora d’aria finisce lì.
Lo sa, sorride e mi dice “forza eh!”.
Lo stesso la signora incrociata tra gli scaffali.. “Siamo con te”….
È commovente l’affetto delle persone incrociate nel “tempo concesso” per poter fare la spesa e badare ad altre “funzioni essenziali”…
Come poi uno dovrebbe badare alle proprie “funzioni essenziali” non è dato sapere, visto che gli viene negata anche la possibilità di poter lavorare.
In questi giorni è uscito un bellissimo fumetto di Zerocalcare sulla vicenda di Tarek e consiglio a tutte e tutti di leggerlo.
Non parla “dell’eccezionalità” di una situazione, ma della sua “normalità”.
E la normalità, in questo caso, è quella di vite fagocitate dal sistema giustizia e vomitate nelle carceri e rinchiuse lì a “finirsi” come “eccedenze” delle nostre società.
Il vero problema è la “normalità” della struttura, così come funziona e va avanti.
E trita vita umane.
D’altronde essa non è altro che il riflesso più cruento della società “fuori”, atomizzata, sopraffatoria, tendente all’esclusione e antitetica ad ogni visione e condivisione comunitaria.
La mia, di situazione, invece vive una sorta di “eccezionalità”.
Se potessi non parlerei in prima persona (infatti mi rimarrebbe più facile parlarne in termini generali), ma a parte che è la realtà… e tanto è…
Inoltre, penso che ragionarne in questi termini risulti più comprensibile. E credo sia importante che quel che diciamo e facciamo, venga capito.
Dicevo, la mia situazione vive una sorta di “eccezionalità”.
A partire da vari aspetti:
Comunicati delle guardie e articoli di giornale che a caratteri cubitali dichiarano la “pericolosità sociale” del soggetto, prontamente smentiti dalle prese di posizione di larghe parti della popolazione e dall’affetto quotidiano delle persone con parole e gesti.
Per poi continuare con il “non isolamento” e “non dimenticanza”, che molto spesso invece vivono e subiscono le persone arrestate.
La mia non è una situazione di isolamento, sia fisica che ideale.
Sia per il luogo della pena non restrittivo come la situazione carceraria, sia per tutte le persone che ho attorno, a cui son grato.
Ma come detto, questa situazione è “l’eccezionalità”, a differenza di come il sistema carcere fagocita vite umane nel silenzio della “società civile”.
A tale situazione, la mia, hanno contribuito diversi fattori.
Tra questi, anche il fatto di non permettermi neanche di lavorare per “pericolosità sociale”.
Un palese ingiustizia, capita e sentita da molti, a maggior ragione se si tiene in considerazione il lavoro: l’apicoltura.
Anche inserita nel sociale.
Questa palese ingiustizia ha reso evidente la separazione che c è tra lo Stato e il suo apparato, da una parte, con il popolo (con tutto quello che vorrà dire…) e il suo sentimento, dall’altra.
Con buona pace di chi, in tutti questi decenni, ha tentato un goffo lavoro di recupero con la tiritera che lo Stato siamo noi!
E inoltre, la mia situazione, ha portato il discorso carcere/repressione all’evidenza di tutti/e.
Di una ragazza che ti guarda negli occhi ad una cassa, o di una signora che ti rincuora tra gli scaffali.
La normalità, invece, che avvolge il carcere/Repressione è quella del distacco, “a me non succede”, del timore, della diffidenza.
Credo invece che tale “eccezionalità”, la repressione sentita anche in società, sia una crepa e vada allargata, perlomeno narrativamente.
Che tale ingiustizia, infamia, sia talmente evidente da far emergere le contraddizioni, anche dialettiche e narrative, nella propaganda statale.
È un’occasione, tra le tante, che abbiamo di smontare la narrazione della controparte.
Però le crepe, si sa, poi si possono insinuare ovunque…
Allora come spiegare, a chi propaganda il carcere e il sistema repressivo, come “strumento di reinserimento sociale”, che ad un individuo viene negato anche il lavoro di apicoltore, per il semplice fatto che è un nemico di questo ordine costituito?
Perché la realtà dei fatti questa è!
Ed è ben compresa da tutte e tutti.
E tocca allargare questa dissonanza con la narrazione dominante, soprattutto quando è così lampante.
Per concludere, ho sempre pensato che le lotte avessero dei margini, non come confini, ma come possibilità.
E li avessero laddove sapevano trovare dei complici anche che “non avrebbero prestato giuramento alla mia bandiera”.
Che siano bisogni, sogni o tensioni simili. Anche del momento.
Fuori alle carceri, ad esempio, ai presidi, le detenuti e i detenuti riconoscevano le voci di chi sapeva che vuol dire stare in cella con questo caldo, non avere l’acqua, subire i trasferimenti, le angherie delle guardie, essere appesi alle domandine, vivere o meglio sopravvivere spossessati di tutto e separati dal contesto sociale.
Il “dentro” e il “fuori” si può superare anche così, capendosi, sentendosi complici.
La “normalità”, invece, ci mostra come il mostro carcere/repressione sia avulso da tutto (salvo alcune situazioni specifiche), immerso nel dimenticatoio e in quel buco nero che è la gabbia.
Parlarne è importante e fondamentale.
Ma è vitale saper trovare delle corde che leghino con il contesto “fuori”.
A questo può servire “l’eccezionalità”, ad esempio, della mia situazione.
E tale situazione, senza che ci giriamo troppo attorno, riguarda anche altre persone impegnate nelle lotte e, ahinoi, tenderà a riguardarci sempre più, visto l’acuirsi della repressione e dell’autoritarismo.
Quelle corde servono anche ad unire la “normalità” e “l’eccezionalità”.
Perché se delle crepe partono da quest’ultime, esse possono e devono arrivare ovunque.
Per demolire il mostro dell’oppressione.
Perché alla fine, non si so manco resi conto, lorsignori, che questa infame Repressione ha reso il più grande servigio alle idee che ho sempre cercato di portare avanti.
Le ha rese ancora più chiare, comprensibili e condivisibili a molti.
È vero, è un’eccezione quando si parla di Repressione… Molto spesso avvolta dalla paura e dal silenzio della “normalità”.
Spetta a noi fare in modo che le crepe della libertà, laddove si sono insinuate e sono riuscite a rompere il dominio, riescano ad espandersi ovunque. “

SOLIDARIETÀ A GABRIELE RUBINI (CHEF RUBIO)

Giovedì scorso, 17 luglio, gli agenti della Questura di Roma “Divisione Investigazioni Generali – Operazioni Speciali. III sezione antiterrorismo interno” si sono presentati a casa di Gabriele Rubini alle 7:00 di mattina e, dopo aver perquisito l’abitazione, hanno sequestrato tutti i suoi telefoni e altri strumenti di comunicazione.
Dopo la perquisizione della sua abitazione, Gabriele è stato portato al commissariato di Frascati e rilasciato solo a sera, alle 19:50.
L’obiettivo comunicato a Gabriele dalla Questura sarebbe stato quello di acquisire informazioni sulle sue attività telematiche in relazione in particolare a suoi post sul social
X (già Twitter) e “acquisire informazioni” sul contenuto delle sue chat private su Telegram e Signal.
È evidente però che “l’obiettivo” non dichiarato di tutta questa operazione è stato quello di silenziare Gabriele togliendoli il telefono e l’accesso a tutti i sui profili
social.
Gabriele Rubini è da anni oggetto delle “attenzioni” sioniste per la sua attività di denuncia dei crimini di Israele e per il suo sostegno incondizionato alla resistenza palestinese. La più grave di queste “attenzioni” è stata l’aggressione fisica (tentato omicidio) subita da Gabriele il 15 maggio 2024. Ad oltre un anno da questo episodio non v’è nessuna novità sullo stato delle indagini da parte delle autorità inquirenti. Al contrario, si impiegano risorse per indagare su un post sul social
X, che potrebbero essere meglio impiegate, ad esempio, per investigare sulla presenza in Italia di militari sionisti in quanto potenziali criminali di guerra (per chi si fosse “distratto”: 100.000 palestinesi assassinati dall’IDF di cui due terzi donne e bambini) o sulle armi che dal nostro territorio vanno allo Stato israeliano.
La perquisizione a Rubio è un atto repressivo grave che si pone in continuità con la precedente aggressione sionista e che conferma la connivenza dello Stato italiano col sionismo.
Condanniamo la repressione poliziesca e lo squadrismo sionista nei confronti di Gabriele e rivendichiamo il suo diritto, e quello di tutti noi, di denunciare il genocidio che Israele sta compiendo in Palestina con la complicità di tutte le ramificazioni dell’entità sionista e dell’imperialismo USA e UE.
Con Gabriele ribadiamo il nostro sostegno incondizionato alla Resistenza palestinese.
Il Coordinamento di solidarietà al popolo palestinese fa appello a tutto il movimento antisionista per l’organizzazione di una risposta concreta a questo grave episodio di repressione che ci veda tutti/e al fianco di Gabriele.
CON GABRIELE E CON LA RESISTENZA PALESTINESE SENZA SE E SENZA MA.
PALESTINA LIBERA DAL FIUME AL MARE!

Palestina: 10.800 prigionieri palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane

Secondo diverse associazioni di difesa dei prigionieri palestinesi, il numero di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri dell’occupazione all’inizio di luglio 2025 ammonta a circa 10.800. Questo dato rappresenta il numero più alto di prigionieri, dall’Intifada di Al-Aqsa nel 2000.

Tra loro ci sono 50 donne, di cui due gazawi; più di 450 bambini; 3.629 detenuti amministrativi; 2.454 detenuti classificati come “combattenti illegali”. Si tratta del numero più alto dall’inizio della guerra genocida, e non include tutti i detenuti di Gaza detenuti nei campi militari israeliani.

Il numero di arresti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme, ha superato quota 18.000. Questa cifra non include le migliaia di arresti a Gaza. Il numero di donne arrestate e detenute dall’inizio del genocidio ha superato quota 560, mentre il numero di bambini arrestati dal genocidio ha superato quota 1.450.

Il numero dei detenuti uccisi dall’inizio del genocidio, le cui identità sono note, ha raggiunto quota 73, tra cui 45 provenienti da Gaza.

Solo nel primo semestre di quest’anno invece sono stati martirizzati 19 prigionieri, 10 di Gaza e 9 della Cisgiordania, ma vi sono decine di martiri, in particolare tra i detenuti di Gaza, che le autorità di occupazione continuano a far sparire forzatamente.

Il regime di occupazione ha continuato a commettere ogni tipo di crimine nelle carceri israeliane, intensificandolo a un livello senza precedenti dall’inizio della guerra di sterminio. Questi crimini includono saccheggi, privazioni, umiliazioni e abusi che hanno colpito tutti i bisogni dei prigionieri, oltre al completo isolamento che hanno dovuto affrontare, oltre al genocidio.Tra i crimini più gravi figurano la tortura, la fame, i reati sanitari, la diffusione deliberata di malattie ed epidemie e le aggressioni sessuali. Stupri veri e propri sono stati documentati soprattutto tra i prigionieri e le prigioniere gazawi.

Le testimonianze dei detenuti di Gaza rimangono infatti le più gravi e dure. Negli ultimi mesi, le istituzioni hanno pubblicato decine di rapporti e dichiarazioni speciali su questo argomento. La continua diffusione della scabbia ha oscurato le testimonianze di centinaia di prigionieri e detenuti, il che è stato una delle principali cause del deterioramento delle condizioni di salute di migliaia di prigionieri e detenuti.

Il tasso più alto di arresti nella prima metà del 2025 è stato registrato nei governatorati di Jenin e Tulkarm, che stanno assistendo alla più grande aggressione dai tempi dell’Intifada di Al-Aqsa. Il numero di arresti a Jenin nella prima metà del 2025 ha raggiunto quota 920, mentre a Tulkarm ha raggiunto quota 455. Questa diffusa aggressione è stata accompagnata dallo sfollamento forzato di decine di migliaia di cittadini dai campi profughi nei due governatorati, dalla demolizione di centinaia di case e da omicidi ed esecuzioni sul campo.

Il livello di questi crimini non è diminuito nel resto dei governatorati della Cisgiordania, dove si sono verificate campagne di arresti e ampie indagini sul campo che hanno colpito migliaia di persone, oltre a vandalismi e distruzioni di abitazioni, furti e confische, gravi percosse e l’uso di cittadini come ostaggi e scudi umani, oltre a operazioni terroristiche organizzate e minacce che hanno raggiunto livelli di omicidio.

Le autorità di occupazione israeliane hanno continuato a commettere brutalità e crimini sistematici nel contesto della guerra di sterminio in corso.

La Commissione per gli Affari dei Prigionieri e degli Ex Prigionieri, il Club dei Prigionieri Palestinesi e l’Associazione Addameer per il Supporto ai Prigionieri e i Diritti Umani (da giugno dichiarata organizzazione terroristica dagli USA) hanno presentato schede informative contenenti dati numerici specifici per la prima metà del 2025, relativi alla realtà delle campagne di arresti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme, e dati specifici sulla realtà di queste campagne dall’inizio della guerra di sterminio, insieme ad altri dati relativi alla realtà dei crimini nelle prigioni e nei campi di occupazione israeliani.

Il numero di arresti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme, durante la prima metà del 2025 ha raggiunto i 3.850, inclusi circa 400 bambini e 125 donne. La percentuale più alta di arresti è stata registrata a marzo, con 800 persone arrestate. Gli arresti includevano sia coloro che erano stati detenuti, sia coloro che erano stati successivamente rilasciati. Le campagne di arresti hanno coinvolto tutte le categorie di prigionieri, con la percentuale più alta di giovani uomini, ex prigionieri e prigionieri rilasciati.

Londra: arrestati 41 sostenitori di Palestine Action

La polizia britannica ha arrestato a Londra 41 attivisti di Palestine Action, che stavano manifestando fuori dal Parlamento.

Il gruppo di attivisti solidali con il popolo palestinese è stato definito dalle autorità lo scorso 2 luglio come “organizzazione terroristica nel Regno Unito”, dopo che alcuni attivisti avevano fatto irruzione in una base della Royal Air Force danneggiando degli aerei per protestare contro il sostegno del Regno Unito a Israele.

In risposta alla messa al bando, Palestine Action ha pubblicato un nuovo documentario, “To Kill A War Machine”, che esplora la strategia del gruppo, la storia dell’azione diretta e la visione politica.

Palestine Action è stata fondata nel 2020 dopo che gli attivisti hanno fatto irruzione e hanno dipinto con vernice spray la sede londinese della più grande azienda di armi israeliana, Elbit Systems.

La sua rete di attivisti ha successivamente utilizzato tattiche, tra cui l’azione diretta, per colpire quelli che dice essere i “facilitatori aziendali del complesso militare-industriale israeliano”, spesso irrompendo negli uffici e nelle fabbriche per verniciare con vernice spray o danneggiare attrezzature che dicono siano utilizzate per commettere crimini di guerra nella Palestina occupata.

Elbit Systems è l’obiettivo principale del gruppo, spingendo diverse aziende a recidere i legami con l’appaltatore della difesa e facendo perdere miliardi in contratti persi e disinvestimenti, secondo Palestine Action.

La banca Barclays che possedeva 16.000 azioni di Elbit Systems, ha disinvestito in ottobre, mentre il Ministero della Difesa del Regno Unito ha annullato contratti per 280 milioni di sterluine con la società israeliana.

Molti attivisti di Palestine Action finiti a processo sono stati assolti dalle giurie sulla base di “difesa di necessità”, vale a dire che il danno alla proprietà era giustificato in quanto era inteso a prevenire le morti.

Ma queste sentenze sono state state sistematicamente rimosse dal governo britannico, utilizzando una legislazione anti-protesta che ha ampliato i poteri della polizia per reprimere le proteste pacifiche e imporre condanne per gli attivisti giudicati colpevoli.

Ciò è culminato con l’uso senza precedenti di accuse di terrorismo contro un gruppo di attivisti di Palestine Action con un procedimento noto come Filton 18.

Un anno fa sei attivisti di Palestine Action hanno guidato un furgone modificato nel centro di ricerca e sviluppo di Elbit System a Filton, Bristol. Gli attivisti hanno smantellato le armi, compresi i modelli di droni quadricotteri schierati da Israele nella sua guerra contro Gaza, causando danni per 1 milione di sterline (1,24 milioni di dollari).

Il 16 luglio a Parigi in piazza per liberare Georges Abdallah!

16 juillet – 18h30 – Place du Châtelet – Rassemblons-nous pour la libération de Georges Abdallah !

L’acharnement de l’État français contre Georges Abdallah !

Tous mobilisés le 16 juillet pour sa libération !

Dans ce nouveau volet de « l’affaire Abdallah », depuis maintenant deux ans qu’une nouvelle demande de libération conditionnelle a été déposée par notre camarade, preuve a été une nouvelle fois donnée le 20 février et le 19 juin derniers – s’il fallait encore en faire la démonstration – de l’acharnement de l’État français à tout faire pour ne pas libérer Georges Abdallah en ajournant à deux reprises la décision de la Cour d’appel de Paris qui, finalement, devrait être rendue ce 17 juillet.

Certes, officiellement et formellement, la libération de notre camarade obtenue en première instance le 15 novembre 2024 n’est pas remise en question mais dans les faits et comme cela a été le cas durant toutes ces décennies « d’arguties judiciaires », cette dernière est cette fois encore conditionnée, à chacune des audiences, aux nouvelles offensives du parquet – dépendant du pouvoir – et aux prérogatives des parties civiles étasuniennes. Ces « mesquineries juridiques » sont bien, en réalité, le signe de l’acharnement à perpétuité du pouvoir et de son appareil répressif à ne pas libérer ce combattant de la cause palestinienne qui, en son temps, osa revendiquer, devant une justice d’exception aux ordres, les actes de résistance accomplis par son organisation, les FARL, pour frapper ici même en France les agents de l’entité sioniste et de ses maîtres étatsuniens et qui, depuis lors, a toujours refusé de plier et refuse encore aujourd’hui de renier ses convictions et son combat. Par son acharnement, avec cette détention clairement politique, une des plus longues en cours en Europe, l’État français manifeste lucidement sa détermination à ne pas libérer un résistant historique de la cause palestinienne, devenu symbole même de la résistance et indique ainsi clairement par-là qu’il défend ses intérêts de puissance impérialiste au Moyen-Orient, aux côtés de l’entité sioniste.

C’est donc bien, nous le savons tous, pour ses idéaux et son combat que Georges Abdallah est maintenu en prison. Mais ce sont bien aussi ses convictions de militant communiste – des convictions inébranlables – qui le maintiennent vivant derrière les murs et les barbelés où le pouvoir voudrait le voir soumis ou disparaître. Et ce sont bien nos convictions – inébranlables également – à être aux côtés du combat juste et légitime du peuple palestinien, de son héroïque résistance sous toutes ses formes et factions et de toute la résistance des peuples de cette région qui nous engagent à arracher l’un des combattants historiques de cette glorieuse cause des geôles de l’ennemi. Ceci aussi, nous le savons : la lutte pour sa libération est une lutte de longue haleine mais notre pratique le démontre : dans ce rapport de force qui nous oppose année après année, mois après mois, jour après jour à l’État français, notre mobilisation ne cesse de s’amplifier, de s’intensifier et de se durcir et notre détermination à ne rien lâcher participe de cette pression nécessaire pour faire sauter pour la victoire ou la victoire le dernier verrou de cette perpétuité réelle.

Le 16 juillet prochain est la nouvelle étape de ce bras de fer : à la veille de la décision de la Cour d’appel, soyons cette fois encore partout en France et à l’International massivement présents et rassemblés pour exiger de l’État français la libération de ce « prisonnier bien encombrant » car le 17 juillet, Georges Abdallah doit être libéré !

Et à Paris, rassemblons-nous Place du Châtelet à 18h30 pour exiger sa libération immédiate et sans condition !

Soyons à l’offensive pour contrer les attaques du pouvoir réactionnaire !
Continuons le combat jusqu’à sa libération !
La solidarité est notre arme ! Nous vaincrons !
Palestine vivra ! Palestine vaincra ! Liberté pour Georges Abdallah !

Paris, le 10 juillet 2025
Campagne unitaire pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah
Campagne.unitaire.gabdallah@gmail.com
Facebook : pour la libération de Georges Abdallah
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