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Riceviamo e pubblichiamo:
Natascia Savio, anarchica torinese imputata nei processi Scintilla a Torino e Prometeo a Genova, è in sciopero della fame dal 16 giugno scorso per protestare contro il trasferimento, che risale ormai al 16 marzo scorso, dal carcere di Piacenza alla famigerata struttura di Santa Maria Capua Vetere, a oltre 800 chilometri da Torino. Quello del 16 giugno a Santa Maria Capua Vetere è stato il secondo trasferimento, dopo le due settimane trascorse nel carcere di Vigevano dov’era stata trasferita temporaneamente per avvicinarla al tribunale di Torino, dove ha luogo il processo Scintilla. Per poter rimanere nel carcere di Vigevano, l’avvocato Claudio Novaro e Natascia hanno presentato diverse istanze, tutte respinte. E’ la stessa Natascia che spiega le ragioni della sua protesta:
“[…] Dal giorno in cui mi hanno trasferita qui, tre mesi fa, non ho più potuto comunicare decentemente con il mio avvocato: i colloqui sono stati riaperti, quindi niente video chiamate né chiamate su richiesta del legale, le telefonate sono una al mese di dieci minuti, anche per gli imputati e anche per chi sta a 1.000 chilometri dalla sede del processo o da casa. Se è in vena, il direttore può concederne una seconda straordinaria nel corso dello stesso mese, ma ovviamente, in quanto concessione, non ha nessun obbligo di farlo, e in ogni caso è fuori discussione superare le due mensili. Venti minuti al mese, in una stanzetta soffocante, e nell’orario e giorno prestabiliti, augurandosi che il tuo difensore quel giorno sia in studio. Venti minuti al mese, da un mese e mezzo prima che iniziasse il processo, sino ad oggi, che il dibattimento è sostanzialmente giunto al termine. […] Ci restano due udienze, prima della requisitoria, due udienze in cui si sarebbe dovuto ragionare di dichiarazioni spontanee, esame e controesame, ma a quanto pare mi toccherà ragionare in solitaria. A pensar male, sembra quasi che si faccia di tutto per impedire una difesa “dignitosa”, anzi, una difesa qualunque… non sia mai che l’iperbolico e morbosetto castello di carte dell’accusa dovesse iniziare a scricchiolare. Molto meglio se questa possibilità, quella di difendersi in aula, è ridotta al lumicino. Non mi dilungherò qui su come la videoconferenza si sposi alla perfezione con questa strategia, di questo si è già discusso molto (anche se forse non abbastanza). Si sa, spesso a pensar male si pensa bene. Dei venti giorni trascorsi a Vigevano, quindici li ho trascorsi in isolamento sanitario e uno in udienza, altri due a fare i bagagli tra andata e ritorno… insomma, nemmeno questa è stata un’occasione per parlare con l’avvocato, visto che gli isolati non possono ricevere visite. Inutile aggiungere che ora sono di nuovo in quarantena. Insomma, bando alle ciance: lucidamente consapevole della strategia punitiva (e preventiva?) che sta ponendo in essere il DAP nei miei confronti, e contemporaneamente offuscata di rabbia e disgusto, ho deciso che, se non ho mezzi per interpormi concretamente alle loro logiche vendicative, ho perlomeno la possibilità di non lasciarglielo fare con la mia collaborazione. Alla notizia del mio ritorno a S. Maria, alle ore 18.00 del 16.06.21, ho immediatamente comunicato l’inizio di uno sciopero della fame a tempo indeterminato. […]”.
Dopo aver letto queste parole, viene da domandarsi: le detenute e i detenuti hanno dei diritti? La risposta è sì, sulla carta, troppo spesso no, come in questo caso, nella pratica. Ecco di seguito alcuni stralci della “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”, consultabile sul sito www.giustizia.it:
Il detenuto ha il diritto di avvertire i propri familiari, sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento da altro istituto.
Il detenuto ha diritto ad avere colloqui con il proprio difensore sin dal momento dell’ingresso e per tutta la permanenza in carcere, negli orari e con le modalità stabilite, facendone richiesta attraverso l’Ufficio Matricola.
E’ favorito il criterio di destinare i detenuti ad istituti prossimi alla residenza delle famiglie. I detenuti hanno il diritto a non essere trasferiti d’ufficio se non per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto e per motivi di giustizia.
I detenuti e gli internati hanno il diritto di avere colloqui visivi con i familiari o con persone diverse (quando ricorrono ragionevoli motivi), oltre che con il difensore e con il garante dei diritti dei detenuti.
Ogni detenuto può ricevere quattro pacchi mensili non eccedenti i 20 kg, sia in occasione dei colloqui, sia se siano stati spediti per posta qualora nei quindici giorni precedenti egli non abbia fruito di alcun colloquio visivo. E’ assicurata la relazione dei detenuti con le proprie famiglie. Ai familiari deve essere comunicato il trasferimento ad altra struttura detentiva.
Di seguito Aggiornamenti sul processo in corso
Lo scorso 10 maggio è iniziato il dibattimento del processo Prometeo che vede imputata una compagna, Natascia, e due compagni, Beppe e Robert, accusati Continua a leggere
Volevo dire due cose.
Se quando ci troviamo prigionieri, noi anarchici e ribelli, non sproniamo gli altri detenuti alla lotta, regna oltre che la rassegnazione, la collaborazione con l’istituto penitenziario. Più passa il tempo, più ci sono persone che hanno rapporti confidenziali con il carcere, ormai è diventata normale amministrazione per ottenere qualche infame eventuale beneficio. Quindi per noi anarchici in galera e anche per tutti quei detenuti ribelli che sono stati pestati e puniti per le rivolte, bisognerebbe gettare molta più benzina sul fuoco della lotta per evidenziare maggiormente lo Stato assassino che attua ricatti, pestaggi, violenza e morti. Io nonostante la mia condizione combatto su tutto sempre a testa alta, accumulando continue denunce e rapporti. Anche per il fatto che qui si possano avere al massimo due libri, e invece io ne ho una ventina più altrettante riviste e nonostante le perquisizioni continue non mi toccano niente perché loro sanno che se mi toccano qualcosa è guerra. Infatti per come la vedo, è necessario aumentare la conflittualità sia dentro che fuori, con azioni concrete, in modo che si dia risonanza ai fatti in questione. Se nelle AS2 regna la calma, a parte i compagni combattivi, regna la calma anche nelle AS3 nei comuni ecc ecc…
Nonostante molti detenuti aspettino maggiori benefici, non viene data loro alcuna risposta dai magistrati di sorveglianza, quindi abbiamo anche una tortura psicologica.
Facciamoci sentire uniti in una guerra contro la galera, dando una risposta alla violenza poliziesca!
Sempri Ainnantis! A Konka Arta!
Davide Delogu Anarchico Sardo Prigioniero Deportato
Indirizzo per scrivergli:
Delogu Davide
Contrada Cocari 29
89900 Vibo Valentia (VV)
Ivrea, detenuta trans accusa agente di stupro. Il pm archivia: «colto in momento di debolezza»
A pochi giorni dello sconvolgente video che immortala le guardie penitenziarie del carcere di Santa Maria Capua Vetere umiliare e prendere a manganellate decine di detenuti, un altra accusa di abuso da parte di un agente arriva dalla Casa Circondariale di Ivrea, dove una detenuta trans lo ha querelato per una presunta violenza sessuale.
La donna sostiene di essere stata costretta a praticare dei rapporti orali in diverse occasioni: «Mi diceva che se non l’avessi fatto mi avrebbe rovinato, che mi avrebbe fatto perdere il lavoro o avrebbe fatto trasferire il mio compagno (ora ex, ndr)». A prova dell’avvenuto rapporto, la detenuta ha portato un pezzo di carta igienica, sul quale la Scientifica della Questura ha trovato una corrispondenza genetica con la guardia.
«Ho avuto un momento di debolezza – sostiene l’uomo – mi ha fatto delle avances e io ho ceduto facendomi masturbare in un’occasione. Voleva ottenere piccole agevolazioni in carcere». Agevolazioni che l’indagato non avrebbe poi concesso nonostante il rapporto sessuale.
Nonostante la prova del DNA, tuttavia, il pm ha chiesto l’archiviazione del processo, prendendo per buona la versione dell’agente. «Non vi è prova che lo sperma acquisito dalla parte offesa sia frutto di violenza sessuale ai suoi danni, perpetrata anche solo mediante abuso di autorità – si legge nella richiesta accolta dal gip – quanto invece che possa pervenire da quel rapporto sessuale che il querelante avrebbe praticato all’indagato cogliendolo di sorpresa in un momento di debolezza».
A incidere sull’inattendibilità della donna ci sarebbero altre quattro denunce per molestie presentate dalla stessa, la versione dell’ex che non credendo agli abusi l’ha lasciata, e le annotazioni di servizio che la descrivono come un «soggetto difficile». Il caso si chiude senza ulteriori approfondimenti.