Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Sanremo ancora carcere assassino

Dramma nel carcere di Sanremo, detenuto si impicca in cella

A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della Polizia Penitenziaria e del personale sanitario
Sanremo. Un uomo italiano, di 49 anni, detenuto nel carcere di Sanremo, si è tolto la vita nella notte, impiccandosi nella propria cella. A fare la macabra scoperta, trovando il corpo senza vita, sono stati gli agenti della polizia penitenziaria. L’uomo, condannato per estorsione aggravate e reiterate per una serie di truffe agli anziani, era ristretto nel circuito “sex-offenders”.
«Per il detenuto non c’è stato nulla da fare – spiega Fabio Pagani, Segretario Uil Polizia Penitenziaria -. A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della Polizia Penitenziaria e del personale sanitario» «Il Carcere di Sanremo – aggiunge – conta oggi 242 detenuti e rappresenta l’istituto più critico della Regione Liguria: caratterizzato da sovraffollamento, carenza nell’organico della Polizia Penitenziaria e una “disorganizzazione” senza precedenti».

Tunisia – In morte della retorica sulla “transizione democratica” in Tunisia: genesi di un golpe annunciato

Pubblichiamo oggi la prima parte di questo articolo, domani la pubblicazione della seconda parte

Prima parte

Manifestanti assaltano una sede di Ennahdha

Antefatto

Il colpo di Stato militare sotto la direzione politica del presidente della repubblica Kais Saied che ha messo fine al regime reazionario Ennahdha-Karama-Qalb Tounes non è un fulmine a ciel sereno ma è la conseguenza degli eventi politici degli ultimi 12 mesi, ovvero da quando è entrato in carica il governo Mechichi il 25 luglio 2020, e più in generale una reazione inedita al movimento di restaurazione politica di cui Ennahdha è il principale soggetto agente negli ultimi 8 anni.

Già all’inizio dell’anno in occasione del decennale della caduta del regime di Ben Ali (14 gennaio 2011), una rivolta giovanile e manifestazioni di protesta nella capitale avevano messo a dura prova il governo che era ricorso ad arresti di massa (oltre duemila giovani di età compresa tra i 15 e i 30 anni finiti in prigione), divieti di manifestare e metodi da stato di polizia che tanto ricordavano l’ancient regime.

In quell’occasione il Presidente della Repubblica Kais Saied aveva tuonato contro gli arresti arbitrari e aveva ricorso allo strumento della grazia presidenziale in occasione di alcune feste civili e religiose per scarcerare una parte dei giovani arrestati, si era anche recato nei principali quartieri ribelli come a Ettadhamen ricevendo una buona accoglienza.

Inoltre nello stesso periodo Mechichi aveva proposto alcuni ministri per un rimpasto di governo, chenon avevano mai potuto prestare giuramento in quanto il presidente della repubblica si è sempre rifiutato di fissare una data per il giuramento accusando tali candidati di avere casi pendenti con la giustizia relativi a fatti di corruzione.

Nel mese di giugno in seguito ad un episodio di brutalità poliziesca, che ben si inscrive nel clima di stato di polizia che si respira ormai da anni (dopo una breve pausa negli anni immediatamente successivi alla Rivolta), in cui un giovane era stato manganellato e denudato in strada per poi essere arrestato con accuse tendenziose, Kais Saied aveva convocato nel palazzo presidenziale di Cartagine la ministra della giustizia Hasna ben Slimane ed il ministro dell’interno ad interim cioè il primo ministro Mechichi per una “tirata d’orecchie” sui metodi polizieschi e giudiziari inaccettabili in una Tunisia post-2011, il giorno dopo il giovane veniva scarcerato ed il presidente si recava in visita nel suo quartiere per porgere ufficialmente scuse di Stato, anche in questo caso ricevendo un’accoglienza festosa.

Ma l’elemento determinante che ha decretato la fine del governo Mechichi è stato l’ostilità diffusa di cui ha goduto nei quattro angoli del paese per la crisi economica senza precedenti che a livelli macroeconomici ha portato il paese ad un passo dal default finanziario con un debito pubblico che supera il 90% del Pil e che nella vita quotidiana del popolo si traduce in un carovita inaccettabile che unito ad un elevato tasso di disoccupazione ed al piano di “riforme strutturali” appena iniziato ha relegato ampi settori della popolazione alla povertà.

A essa si aggiunge la pessima gestione della pandemia ovvero molto semplicemente l’assenza di una strategia finanche di protocolli sanitari coerenti che ha fatto schizzare il numero di morti , ricoveri e contagi raggiungendo il picco massimo di oltre 300 morti in un solo giorno lo scorso 23 luglio e l’assenza di scorte d’ossigeno anche negli ospedali della capitale, il paese ha ricevuto quindi i cosiddetti aiuti umanitari da Italia, Francia e Algeria nelle scorse ore per evitare il collasso ospedaliero totale anche se non è ancora scongiurato del tutto.

Infine il periodo in cui il governo Mechici è rimasto in carica è stato caratterizzato da uno scontro istituzionale che ha contrapposto la presidenza della repubblica da un lato e la presidenza del parlamento (presieduto da Rached Ghannouchi, il presidente del partito islamista Ennahdha) e Hichem Mechichi dall’altro non solo per la nomina ministeriale ma anche per quello dei componenti della Corte Costituzionale.

Negli ultimi mesi Kais Saied in occasioni ufficiali ha tenuto a rimarcare più volte di essere il capo delle forze armate, “di tutte le forze armate” includendo non solo l’esercito ma anche la polizia e la guardia nazionale, quest’ultime in realtà secondo l’ordinamento tunisino fanno capo al ministero dell’interno ovvero nella fattispecie a Mechichi.

Questo mix esplosivo di contraddizioni sociali, economiche e politiche in cui oggettivamente Kais Saied si è destreggiato machiavellicamente ovvero con acume politico, sono esplose il 25 luglio, Festa della Repubblica, in cui migliaia di tunisini (principalmente di età compresa tra i 20 e i 30 anni) sono scesi nelle piazze di tutte le città da nord a sud attaccando le sedi di Ennahdha, dandone alcune alle fiamme, inutili sono stati gli interventi della polizia che è stata costretta a ritirarsi in tutte le città in cui era intervenuta; si stava quindi delineando uno scenario da guerra civile con la scesa in campo dei militanti di Ennahdha e dalla sua ala destra Karama contro il cosiddetto “movimento del 25 luglio”.

Immediatamente, la sera della stessa giornata il colpo di scena: Kais Saied riunito con i vertici militari, invocando l’articolo 80 della Costituzione, annuncia l’esautorazione di governo e parlamento, la revoca immediata dell’immunità parlamentare e la conseguente persecuzione giudiziaria nei confronti dei responsabili della crisi economica e sanitaria del paese; subito dopo l’esercito veniva dispiegato nella capitale ed in particolare presso la sede del ministero degli interni, della Casbah (la sede del primo ministro), il parlamento, la sede della televisione nazionale, e davanti le sedi dei governatorati nei capoluoghi di regione.

L’esercito ha anche sgomberato e sigillato la sede di Al Jaazera, l’agenzia stampa qatariota e notoriamente vicina a livello internazionale alla Fratellanza Musulmana di cui Ennahdha è la “rappresentante” in Tunisia.

Continuavano intanto gli attacchi alle sedi di Ennahdha non contrastati né dall’esercito né dalla polizia rimasta paralizzata con il proprio ministero “sotto assedio militare” e con il proprio ministro “trattenuto” nel palazzo presidenziale di Cartagine.

Nelle primissime ore del 26 luglio si erano completati i passaggi di ciò che tecnicamente è corretto definire colpo di stato e durante la notte Kais Saied in persona ha fatto un bagno di folla nella centrale Avenue Bourguiba.

Ennahdha ha immediatamente denunciato la mossa di Saied parlando esplicitamente di colpo di stato e strillando che ciò “colpisce la democrazia e la Rivoluzione”, Rached Ghannouchi prova quindi a raggiungere il proprio ufficio in Parlamento ma viene lasciato fuori dal cancello dai militari in presidio, stessa sorte tocca ad alcuni parlamentari di Karama ed Ennahdha, piccoli tafferugli si registrano tra manifestanti antigovernativi in giubilo per la mossa presidenziale e militanti islamisti ma la situazione attualmente resta fondamentalmente pacificata nonostante gli appelli di Ennahdha ai propri militanti di scendere in piazza per ripristinare la democrazia. Infine non sperando nel sostegno sperato della propria base, Ennahdha e Karama la mattina del 27 luglio hanno deciso di levare il loro piccolo assedio al parlamento. Lo stesso giorno è stato pubblicato il primo decreto legislativo presidenziale in cui oltre a sollevare dall’incarico il primo ministro e ministro dell’interno ad interim, il ministro della giustizia ed il ministro della difesa, si vieta di lasciare il territorio nazionale ai ministri, ai deputati, ai presidenti delle squadre sportive, ai sindaci, ai governatori delle regioni (che intanto sono stati dimessi in blocco), ai presidenti delle provincie e ai grandi funzionari in generale. Le amministrazioni pubbliche rimarranno chiuse per due giorni, per evitare possibili sparizioni di documenti sensibili ed è emesso un mandato di arresto per un parlamentare di Karama. Oltre a ciò alcune testate giornalistiche stanno diffondendo la notizia di un imminente rimpasto generalizzato sin dai più alti livelli concernente il ministero degli interni.

Un “colpo di stato costituzionale”?

La storia tunisina non è nuova a rivolgimenti politici dalla forma “originale”: Ben Alì aveva conquistato il potere il 7 novembre 1987 col cosiddetto “colpo di stato medico” facendo decretare da un gruppo di noti dottori lo stato di deficienza senile del primo presidente del paese Habib Bourghuiba, governando per oltre un ventennio fino alla Rivolta popolare del 2010/2011 che ne decretò la fine.

La notte del 26 luglio dopo il “comunicato numero 1” del presidente della repubblica Kais Saied in cui ha annunciato di aver assunto pieni poteri per almeno un mese, alcuni giornalisti hanno coniato la definizione di “colpo di stato costituzionale”.

Tale formula è giustificata dal discorso che lo stesso Saied porta avanti fin dalla campagna elettorale presidenziale: applicare coerentemente la costituzione “rivoluzionaria” praticando una cesura netta con il passato ovvero con le forze politiche dell’ancient regime che si sono riciclate nell’ultimo decennio (in particolare Qalb Tounes oggi) o come il PDL che invece rivendica la diretta discendenza del RCD benaliano, ma anche contro le forze “nuove” al potere che utilizzano metodi vecchi (leggi Ennahdha e Karama) e che hanno tradito la volontà popolare che si era espressa nella Rivolta Popolare stessa con le parole d’ordine di Lavoro, Libertà e Dignità Nazionale.

Kais Saied ha invocato l’attivazione dell’articolo 80 della costituzione che recita:

In caso di pericolo imminente che minaccia le istituzioni della nazione e la sicurezza e l’indipendenza del Paese e il funzionamento regolare dei poteri pubblici, il Presidente della Repubblica può prendere le misure necessarie per questa situazione eccezionale, dopo aver consultato il Capo del governo e il Presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo e aver informato il presidente della Corte costituzionale. Queste misure saranno annunciate al popolo attraverso un comunicato.

Queste misure devono avere come obiettivo garantire il ritorno nel più breve tempo possibile di un funzionamento regolare dei poteri pubblici. Durante questo periodo, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo è considerata in uno stato di riunione permanente. in questo caso, il Presidente della Repubblica non può sciogliere l’Assemblea dei rappresentanti del popolo e non può essere accusato di una mozione di censura contro il governo.

Trenta giorni dopo l’entrata in vigore di queste misure, e su domanda del presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo o di trenta membri della suddetta Assemblea, la Corte costituzionale deve verificare la persistenza o meno della situazione eccezionale. La decisione della Corte è pronunciata pubblicamente non più tardi di 15 giorni di tempo.

Queste misure decadono quando hanno fine le circostanze che le hanno generate. Il Presidente della Repubblica rivolgerà un messaggio al popolo al riguardo”.

E’ attualmente in corso una battaglia di interpretazione a cui partecipano alcuni costituzionalisti tunisini sulla coerenza dell’atto presidenziale del 25 luglio rispetto al testo dell’articolo costituzionale, non abbiamo problemi ad affermare che appare evidente anche a chi non abbia conseguito studi di diritto costituzionale che Kais Saied abbia fatto un’evidente forzatura del testo costituzionale non avendo consultato gli altri due presidenti bensì avendoli messi davanti il fatto compiuto (contro cui il presidente del parlamento Ghannouchi ha infatti protestato), avendo sospeso momentaneamente i lavori parlamentari, inoltre nonostante le disposizioni costituzionali che prevedevano la nascita di una Corte Costituzionale, al momento di scrivere essa non ha ancora visto la luce.

Per tutti questi motivi è quindi evidente che non solo l’interpretazione fatta da Kais Saied dell’articolo 80 non è verosimile, di più è in parte in contraddizione con esso, inoltre l’articolo in questione è attualmente impraticabile causa l’assenza di una Corte Costituzionale e quindi del suo presidente il quale dovrebbe essere una figura istituzionale chiave insieme al presidente della repubblica per l’attivazione dell’articolo 80 stesso.

Per quanto detto è evidentemente erroneo tirare in ballo la costituzione sia da parte dei sostenitori che da parte dei detrattori del colpo di stato in corso.

Detto questo diciamo però con la massima tranquillità che questo dibattito che anima gli esperti di diritto costituzionale, com’è normale che sia, ma che eccita anche alcuni militanti di sinistra, è da ritenersi ultrasecondario e di nessun interesse politico per capire e interpretare gli eventi in corso.

Iran, 4 morti nella repressione delle proteste per la carenza di acqua

Da Il manifesto

Quattro morti nelle proteste. Teheran alterna repressione a «solidarietà»
In piazza per la carenza d’acqua nella regione del Khuzestan, dove vive la minoranza araba. Khamenei e Rohani aprono alle richieste, ma è la polizia anti-sommossa ad affrontare i manifestanti

Sono almeno quattro i morti e tanti altri i feriti nella regione iraniana del Khuzestan, dove il 15 luglio sono cominciate le proteste per la carenza di acqua. La siccità ha colpito la regione sudoccidentale dell’Iran lo scorso marzo.

Una situazione drammatica, esacerbata dai cambiamenti climatici. In particolare, dalle tempeste di sabbia provenienti dalla penisola araba e dal vicino Iraq, che hanno reso aride le pianure un tempo fertili.

LA SCARSITÀ DI ACQUA non riguarda esclusivamente il Khuzestan: è uno dei tanti fattori che frenano economicamente l’intero paese, dove solo un decimo del territorio è coltivato e, di questa frazione, soltanto un terzo è irrigato.

Intanto, la repressione di regime ha attirato l’attenzione dei vertici delle Nazioni unite. Venerdì l’Alta commissaria per i diritti umani Michelle Bachelet ha invitato le autorità di Teheran «a risolvere il problema della scarsità dell’acqua, anziché utilizzare la forza per reprimere le proteste, perché sparare e arrestare la gente non farà che aumentare la rabbia e la disperazione».

Secondo le autorità della Repubblica islamica, a uccidere i dimostranti sarebbero però stati «opportunisti» e «rivoltosi» che «vogliono trarre vantaggio dalla situazione». Le emittenti in persiano fuori dall’Iran hanno mandato in onda video di proteste in diverse località, centinaia di dimostranti in strada, slogan contro le autorità, polizia in assetto antisommossa. Ma non è chiaro se le immagini siano state contraffatte dai nemici dell’Iran.

In questi giorni, l’establishment della Repubblica islamica si è espresso in merito alle proteste. Segretario generale del Consiglio supremo per la Sicurezza nazionale, l’Ammiraglio Ali Shamkhani ha riferito che «le forze di sicurezza hanno ricevuto l’ordine di rilasciare immediatamente tutti coloro che erano stati arrestati durante i recenti incidenti in Khuzestan, se non hanno commesso atti criminali».

GIOVEDÌ IL PRESIDENTE uscente Hassan Rohani ha dichiarato in una trasmissione sulla televisione di Stato che i cittadini del Khuzestan «hanno il diritto di parlare, esprimersi, protestare e anche scendere in strada, nel rispetto delle norme» e ha invitato a risolvere la questione nei termini della legalità.

Da parte sua, il leader supremo Ali Khamenei ha riconosciuto la gravità del problema dell’acqua e ha detto che i residenti della regione sudoccidentale, particolarmente calda e colpita dalla siccità, non sono da biasimare per il loro scontento, ma ha chiesto loro di essere cauti: «Il nemico cercherà di usare ogni strumento contro la rivoluzione, la nazione e gli interessi del popolo, quindi dobbiamo stare attenti e non dargli alcun pretesto».

Nel Khuzestan vivono 4,7 milioni di iraniani. È un’area ben collegata con il resto del paese e che racchiude l’80 percento delle riserve petrolifere dell’Iran. Eppure, dalla Rivoluzione del 1979 questa regione non è stata potenziata dal punto di vista economico per ovvi motivi politici: qui vive quel due percento (1,6 milioni) della popolazione iraniana appartenente alla minoranza etnico-linguistica degli arabi.

UNA MINORANZA che, all’indomani dell’invasione irachena del settembre 1980, aveva però dimostrato la propria fedeltà all’Iran: gli arabi cittadini della Repubblica islamica non avevano fatto defezione, non avevano preso le parti del dittatore iracheno Saddam Hussein ma lo avevano combattuto. Detto questo, nei decenni successivi gli arabi dell’Iran hanno a più riprese rivendicato maggiori diritti.

Nel 2019, per esempio, proprio la regione del Khuzestan era stata una dei fulcri delle proteste antigovernative che avevano coinvolto anche altre parti del paese.

Orrore in Colombia: oltre cento gli attivisti assassinati

Da gennaio, ne è stato ucciso uno ogni 48 ore. E il massacro accelera. I principali responsabili sono i nuovi paramilitari che hanno colmato il vuoto lasciato dalla guerriglia
Manifestazione a Cali: una delle ragioni delle proteste è la strage degli attivisti
dal primo gennaio, ogni 48 ore, è stato assassinato un leader sociale, ovvero una persona impegnata nel servizio alla comunità, in termini di difesa dei diritti degli abitanti. Una figura fondamentale nella sterminata Colombia rurale, dove lo Stato è pressoché assente. Nell’ultima settimana, il ritmo della strage – giunta alla tragica quota di 101 vittime in meno di sei mesi – ha accelerato. Da domenica, il massacro è stato quotidiano, con l’eccezione di martedì. Mercoledì a Santa Marta, Juana Iris Ramírez Martínez è stata colpita da una raffica di proiettili mentre andava a fare la spesa. La giovane mamma di due bimbi era attiva nel consiglio del sobborgo di periferia dove viveva, a Santa Marta. Il giorno successivo è toccato ad Andrés Córdoba Tamaniza, esponente del popolo indigeno Embera di Totumal, nella zona di Caldas. Con il suo omicidio, la Colombia ha oltrepassato la soglia dei cento attivisti assassinati. Meno di ventiquattro ore dopo, un altro delitto, il 101esimo: José Vianey Gaviria, noto difensore dei contadini del Caquetá, è stato crivellato da una raffica di proiettili a La Montañita.

L’eccidio degli attivisti è la drammatica manifestazione della profonda crisi della nazione. A quasi cinque anni dall’accordo tra il governo e la guerriglia delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), il processo di pace si è incagliato a causa delle difficoltà strutturali e della scarsa volontà politica del presidente, Iván Duque. Le istituzioni non sono state in grado di colmare il vuoto lasciato dai guerriglieri, in seguito al disarmo. Ad approfittarne sono stati subito altri gruppi, in particolare i nuovi paramilitari, eredi delle vecchie Autofedensas, formazioni d’ultradestra costituite in versione anti-Farc. Sono loro i principali responsabili del massacro degli attivisti, perpetrato per terrorizzare e asservire la popolazione locale.

Caso Persichetti, si ridimensiona l’accusa ma il sequestro resta. Chi sequestra un archivio, attacca la libertà di ricerca e nel caso di Paolo la ricerca storica sugli anni 70, e non è un caso

Di Paolo Persichetti

Lo scorso 2 luglio il Tribunale del riesame rigettando la richiesta di dissequestro del mio archivio di materiali storici e della documentazione privata della mia famiglia ha corretto le imputazioni indicate dalla procura ritenendo più adeguata la contestazione dell’art. 262 cp, «Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione», anziché l’art. 378 (favoreggiamento) e il 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordinamento costituzionale).
Come in una sorta di caccia al tesoro, con la decisione del tribunale del riesame siamo ormai alla terzo tentativo di indicare un reato che, a quanto pare, magistrati ed inquirenti non sono ancora riusciti a trovare. Nel mese di dicembre 2020, infatti, l’indagine della Polizia di prevenzione ipotizzava la rivelazione del segreto d’ufficio, art. 326 cp, ipotesi investigativa poi lievitata nell’associazione sovversiva e nel favoreggiamento.
Nei giorni scorsi gli accertamenti tecnici non ripetibili disposti dal pubblico ministero, che si sarebbero dovuti tenere sul materiale sequestrato, sono stati sospesi a seguito della richiesta di incidente probatorio davanti al Gip avanzata dal mio avvocato, Francesco Romeo. L’incidente probatorio offre infatti maggiori garanzie processuali introducendo una figura terza, ovvero il Giudice per le indagini preliminari che sul piano formale riequilibra il ruolo della procura, fino ad ora dominus di ogni atto all’interno dell’inchiesta. Questa scelta processuale allunga i tempi, ma non vi era altra scelta davanti all’atteggiamento della Procura che ha persino mancato di notificare all’avvocato il provvedimento che autorizzava la riconsegna dell’archivio amministrativo della mia famiglia e quello medico e scolastico dei miei figli. Il Gip esaminerà le carte dopo la pausa estiva

Chi sequestra un archivio, attacca la libertà di ricerca, l’appello firmato da ricercatori e cittadini contro l’inchiesta della procura di Roma e della polizia di prevenzione

L’appello lanciato da storici e ricercatori contro l’inchiesta condotta dal pm Eugenio Albamonte insieme alla Polizia di prevenzione nei miei confronti (leggi qui) ha superato le 600 firme. La raccolta continua e chi volesse ancora aderire lo può fare apponendo la propria firma Continua a leggere

Parma, domenica 25 presidio sotto le mura del carcere

PRESIDIO SOLIDALE SOTTO LE MURA DEL CARCERE DI PARMA
DOMENICA 25 LUGLIO – ORE 17.00

Dal 15 luglio 5 sezioni del carcere di Parma sono in protesta, con battiture tre volte al giorno, contro sovraffollamento, cibo spazzatura e malasanità (con ritardi o assenze di visite mediche anche urgenti). Claudio, ora detenuto a Parma, è tornato a denunciare pubblicamente, nella forma di un esposto alla ministra Cartabia, le violenze ed omissioni di soccorso delle guardie nel marzo 2020 ed in particolare in circostanza della morte del detenuto Sasà Piscitelli. Veniamo a sapere dalla testimonianza diretta di un altro detenuto  coraggioso di nuove torture nelle carceri di Parma e Piacenza e di trasferimenti punitivi da Parma per chi reclama diritti e racconta all‘esterno (con lettere o gridando dalle finestre) le misere condizioni detentive a cui è costretto… per tutto questo e contro lo strutturale sistema di oppressione perpetuato quotidianamente in tutte le carceri italiane, abbiamo deciso di tornare sotto il carcere di Parma.

Domenica 25 luglio, ore 17.00, Carcere di Parma, lato via Mantova

Da https://roundrobin.info/