Soccorso Rosso Proletario

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Informazioni su soccorso rosso proletario

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare]. Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il delinquente appare così come uno di quei naturali "elementi di compensazione" che ristabiliscono un giusto livello e che aprono tutta una prospettiva di "utili" generi di occupazione. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? ...

Incendio doloso al presidio No Tav di San Didero, ma la lotta continua. Avanti No Tav!

Nella notte tra il 4 e il 5 gennaio il presidio No TAV di San Didero è stato dato alle fiamme. Dai rilievi fatti all’interno del presidio è stato possibile risalire all’origine dolosa delle fiamme, che si sono sviluppate all’interno di una roulotte. Fortunatamente, l’incendio ha avuto origine dopo la conclusione di un aperitivo organizzato presso il presidio dal movimento No TAV e nessuna persona è rimasta coinvolta.

Non si tratta del primo attentato incendiario contro i No TAV, episodi simili si sono verificati nel 2010, quanto due attentati mafiosi hanno distrutto a distanza di una settimana i presidi di Borgone e di Bruzolo. Nei giorni immediatamente seguenti, i luoghi attaccati e alcuni monumenti alla Resistenza erano stati imbrattati con scritte “Sì TAV”. Nel 2013 è toccato invece al presidio di Picapera di Vaie e nel 2018 è stato il turno dei locali dello spazio sociale VisRabbia di Avigliana. I presidi sono luoghi cruciali per la battaglia contro il TAV, sorgono nei territori direttamente interessati dai lavori, sono avamposti di difesa e luoghi di organizzazione e discussione. La deliberata aggressione di questi spazi è un chiaro tentativo di intimidire e indebolire la presenta capillare del movimento No TAV in Val Susa.

Nonostante la rabbia e l’indignazione per un attacco vile, il movimento No TAV ha immediatamente reagito e oggi, giovedì 6 gennaio, oltre 120 notav erano presenti a San Didero per continuare i lavori di bonifica e organizzare la ricostruzione della parte incendiata. Dopo la polentata alcuni manifestanti hanno attraversato la statale 25 per fare una breve ma rumorosa battitura.

La lotta contro la repressione, contro la tortura, in difesa delle condizioni di vita di tutte le prigioniere politiche è parte centrale della lotta rivoluzionaria contro lo Stato borghese – Lettera aperta a Nadia Lioce

Dal blog femminismo rivoluzionario:

Integrazione alla precedente lettera del 21/12/2021

Ciao Nadia

dopo aver appreso del rigetto del tuo ricorso abbiamo ripreso, nella campagna complessiva contro la repressione delle lotte delle lavoratrici, delle lotte sociali, delle immigrate, delle proletarie anche detenute, la parola d’ordine “Basta con la violenza di Stato sulle donne, difendere le condizioni di vita di tutte le prigioniere politiche!”.

Il 27 novembre, alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne a Roma, abbiamo portato anche la voce delle detenute in lotta che quest’anno hanno fatto lo sciopero l’8 marzo per la libertà, il diritto alla salute e alla genitorialità, e quella delle resistenti detenute del carcere di Torino che a dicembre hanno fatto un nuovo sciopero del carrello per rivendicare la liberazione anticipata anche per chi è sottoposto all’articolo 4 bis. Abbiamo detto: nessuna repressione delle donne proletarie in lotta e anche delle donne che si difendono dalla violenza maschile.

Così come siamo scese in piazza in vari momenti e iniziative in solidarietà con tutte le prigioniere politiche, sia a livello internazionale che nel nostro paese.

Perciò non potevamo tacere il fatto che sei ancora detenuta, dopo 16 anni, in 41 bis! Non è affatto una questione personale; la lotta contro la repressione, contro la tortura, in difesa delle condizioni di vita di tutte le prigioniere politiche rientra nella lotta più generale delle donne contro la violenza reazionaria di questo sistema capitalista ed è parte centrale della lotta rivoluzionaria contro lo Stato borghese.

Di tutto ciò abbiamo parlato anche in una recente assemblea nazionale delle donne/lavoratrici, e pensiamo sia giusto che tu ne sia informata, così come pensiamo che, come in altre occasioni, sia importante da parte tua informarci, farci arrivare denunce sulla situazione all’interno del carcere e che tu continui la battaglia perché essa dà forza alla nostra lotta.

Ti salutiamo e ti mandiamo a parte il nostro calendario 2022, sperando ti piaccia.

Le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

Francia. Tre rapper accusati per un brano contro le violenze della polizia

 

Tre rapper francesi sono stati convocati dalla Brigade de répression de la délinquance contre la personne (BRDP) per i loro versi contenuti nel videoclip corale “13’12 contre les violences policières”, pubblicato il 13/12 (in riferimento all’acronimo ACAB, All Cops Are Bastards) dell’anno scorso.

Sono stati interrogati dai funzionari della BRDP a seguito delle denunce presentate dal ministro degli Interni, Gérald Darmanin, e dalla Police Nationale.

Gli artisti, che hanno partecipato al videoclip e che sostengono il progetto lanciato dal collettivo A.C.A.B (Association Contre les Agressions des Bleus), denunciano un attacco intimidatorio nei confronti della loro libertà d’espressione ed artistica, dei loro testi e delle loro canzoni impegnate politicamente ed impregnate dell’odio di classe di chi subisce, giorno dopo giorno nei quartieri popolari, le violenze sistematiche e razziste della polizia.

Il rap come forma di denuncia militante, di rivendicazione di giustizia sociale, di contro-cultura popolare: nulla di più autentico e genuino per chi fa della propria arte un’arma di lotta contro gli abusi e le violenze della polizia.

Dalle grandi rivolte nelle banlieues francesi del 2005 ad oggi, questo movimento artistico-politico non ha smesso di crescere e diffondersi, anche grazie all’uso dei social network, soprattutto tra i giovani, il cui futuro è ipotecato in base al colore della pelle o al quartiere di residenza.

Almeno quando quella speranza di riscatto non viene soffocata sotto il peso dei gendarmi in una camionetta, spezzata da una “clé d’étranglement” (tecnica di immobilizzazione pericolosa e risultata spesso letale) o spenta da un proiettile sparato ad altezza uomo.

Il videoclip si apre con le parole di Ramata Dieng, la sorella di Lamine Dieng ucciso dalla polizia nel 2007, la quale ci ricorda che dal 1977 al 2019 la polizia ha ucciso 676 persone: “Dietro a queste cifre, c’è la realtà delle vite strappate, delle famiglie distrutte, di una sete di giustizia che è difficile da placare, perché nella stragrande maggioranza dei casi, gli assassini non si sentiranno responsabili, ma continueranno ad agire in tutta impunità”.

Servire e proteggere? NO! Punire ed opprimere, colpire le classi popolari e le persone razzializzate, questa è in realtà l’essenza del mestiere di poliziotto. Mantenere, costi quel che costi, l’ordine sociale razzista e borghese, non ci sono dubbi: la polizia è fatta per questo”, continua Ramata Dieng.

Grazie alla vendita del CD, il collettivo A.C.A.B. ha potuto raccogliere quasi 10mila euro, una somma che sarà donata interamente alle vittime e alle famiglie delle vittime della violenza della polizia, che da anni lottano per quella “verità e giustizia” che i tribunali più volte hanno negato e contro un sistema fatto di impunità e razzismo sistemico delle forze dell’ordine e degli apparati di Stato.

In calce, pubblichiamo il comunicato stampa degli artisti che hanno collaborato al videoclip “13’12 contre les violences policières”, scritto a seguito delle convocazioni e delle denunce ricevute.

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Di fronte agli innumerevoli episodi di violenza della polizia e in solidarietà con le vittime e le famiglie delle vittime delle violenze della polizia, 33 rapper hanno alzato la voce per denunciarli in un pezzo che unisce rabbia e grida di allarme sotto forma di un videoclip intitolato 13’12 contre les violences policières, pubblicato su internet il 13/12/2020 alle ore 13:12.

Diversi di noi sono stati oggetto di denunce da parte di Gérald Darmanin, ministro degli Interni, e sono stati interrogati dalla polizia. L’1consolable è accusato di “ingiuria pubblica nei confronti di una pubblica amministrazione. L’estratto rilevante è: Tutti i poliziotti sono feccia”.

Billie Brelok è accusata di ingiuria pubblica nei confronti di persona depositaria dell’autorità pubblica. L’estratto rilevante: Ehi, Darmanin, controlla il tuo riflesso nelle pozzanghere di piscio della tua vita da pulce. Questo mondo ti ha rovinato per il foro di un proiettile. Sei solo un operatore di autobus. Un indicatore in più.

Queste denunce sono un attacco inaccettabile alla nostra libertà di espressione, che mira sia a invisibilizzare le violenze della polizia e il modo in cui sono sistematizzate, sia a criminalizzare le voci che le denunciano.

Abbiamo scelto le nostre parole, le abbiamo soppesate, le abbiamo scelte tra le altre per esprimere la nostra rabbia, ed è una scelta senza ritorno. Non siamo disposti a tacere, né a scusarci.

Minacciati di una multa di 12.000 euro ciascuno, ci rifiutiamo di vedere la libertà di espressione concessa come un privilegio a coloro che possono permetterselo. È inaccettabile che dobbiamo comprare le nostre parole.

Ma ancora di più vedere censurare e imbavagliare la denuncia dell’abuso di potere esercitato nella violenza sistematica banalizzata della polizia, come nella violenza sessuale normalizzata perché si tratta anche di questo, nella polizia come altrove, e la nostra posizione contro la violenza della polizia è indissociabile da una posizione antisessista, ma anche antirazzista, anticoloniale e anticapitalista.

Durante le udienze abbiamo saputo che altri partecipanti sarebbero stati convocati per essere interrogati dalla polizia a loro volta.

Poiché il nostro obiettivo principale è quello di sostenere finanziariamente le vittime e le famiglie delle vittime, il CD 13’12 contro la violenza della polizia, i cui profitti delle vendite sono interamente donati a loro con l’aiuto di Désarmons-les (Collectif contre les violences d’Etat), è ancora disponibile per la vendita su HelloAsso. Perciò percepiamo anche queste denunce come un’altra offesa indiretta fatta dal ministro Darmanin a queste vittime e alle loro famiglie.

Il videoclip è ancora disponibile online.

La nostra rabbia, la nostra fermezza e la nostra determinazione rimangono intatti.

Firmatari: VII, Akeron, Aladoum, Assemblée des Blessés, Ben Akara (HPS), Billie Brelok, Démos (ACS), Désarmons-Les, Djamhellvice, E.One (Première Ligne), Erremsi, Fl-How, Gaiden, Kaïman Lanimal, Kimo (Libres Ratures), K.Oni, Lili (Crew Z.1 .D), L’1consolable, Mod Efok, Monsieur M, Nada, Nodja, Ramata Dieng, Res Turner, Saïdou (Sidi Wacho), Saknes (La Jonction), Siren, Skalpel, Sly2, Source-media, Sticky Snake (L’Alerte Rouge), Temsis (ACS), Tideux, Turiano (HPS).

 

CARCERE ASSASSINO! Morto dopo aver perso 30 chili in carcere, parla la sorella: “Non è stato curato, voglio giustizia”

La battaglia di Natascia Raddi: “Il suo corpo sembrava quello di Stefano Cucchi. Dicevano che facesse finta di stare male per ottenere benefici, invece aveva un’infezione che lo ha ucciso”

“A settembre mio fratello ha iniziato a scrivermi lettere in cui diceva di stare male, fisicamente e moralmente. Lettere così non me ne aveva mai mandate. Di solito quando mi scriveva dal carcere diceva che non vedeva l’ora di uscire, di salutare mio marito e i miei figli… Adesso invece chiedeva aiuto: era entrato in carcere ad aprile che pesava 80 chili, quando è morto ne pesava 49…”. Natascia ha 35 anni e due anni fa, nel dicembre 2019, ha perso suo fratello Antonio Raddi, morto a 28 anni per una sepsi mentre era detenuto al Lorusso e Cutugno.
Oltre alla famiglia, anche la garante dei detenuti Monica Gallo già mesi prima aveva denunciato le condizioni in cui si trovava il giovane. Sulla vicenda la procura di Torino aveva aperto un fascicolo con quattro indagati per i quali poi ha chiesto l’archiviazione, ma ora la famiglia – assistita dagli avvocati Gianluca Vitale e Massimo Pastore – ha fatto obiezione e ha chiesto di riaprire le indagini. “Chi sta in carcere ha sbagliato ed è giusto che sconti la sua pena: nessuno dice che deve uscire, ma non deve perdere il diritto di essere curato”, denuncia la donna.
Quando avete capito che suo fratello aveva gravi problemi di salute?
“Ad agosto ha iniziato a non mangiare e a deperire. I miei genitori hanno capito che qualcosa non andava e hanno iniziato ad andare più assiduamente alle visite. Prima magari andavano 2-3 volte al mese, poi hanno iniziato ad andare una volta a settimana o anche due. Lui chiedeva di aiutarlo e mio padre si è esposto, ha parlato con tante persone. Anche nelle lettere a me mio fratello diceva di andare a parlare con i magistrati di sorveglianza. Ma non è servito a nulla”.
Perché non si alimentava più?
“Dal carcere dicevano che il fatto di non mangiare era strumentale, che lo faceva per ottenere dei benefici e che la situazione era sotto controllo. Invece era proprio lui che non riusciva a ingoiare più niente perché stava male. L’ultima volta che i miei lo hanno visto era sulla sedia a rotelle perché non si reggeva più in piedi”.
Non lo stavano curando?
“Non ho mai visto una cartella clinica così scarna. E pensare che lì sopra dovrebbero segnare tutto. E comunque di qualcosa avrebbero dovuto accorgersi. Bastava vederlo per capire che stava male. Persino un agente della penitenziaria un giorno, facendo un rapporto, aveva scritto di lui che non stava bene e che doveva essere monitorato. Ma nessuno lo ha fatto. Quando l’ho visto poi in ospedale, in coma, ho sollevato il lenzuolo e ho visto le costole che spuntavano, la pelle sembrava coperta da ematomi, il volto scavato… Sembrava Stefano Cucchi, anche se le loro storie sono molto diverse”.
Non era mai stato ricoverato prima?
“A inizio dicembre una volta era stato portato al repartino delle Molinette, dopo che era collassato in cella. Era stato lui a chiedere di essere dimesso, questo è vero, però lo aveva chiesto perché lì diceva di stare peggio che in carcere: doveva stare legato al letto, senza neanche un’ora d’aria, senza potersi fumare una sigaretta, in mezzo ai malati psichiatrici. Ma non vuol dire che non volesse essere curato”.
E dopo le dimissioni?
“Continuava a stare male e infatti pochi giorni dopo lo hanno ricoverato d’urgenza al Maria Vittoria. Lì lo hanno sottoposto a molti esami, lo hanno visitato diversi specialisti e alla fine hanno scoperto che aveva una gravissima infezione da klebsiella, partita dai polmoni ma che oramai aveva intaccato tutti gli organi. E alla fine è morto per shock settico dopo 17 giorni di coma. Però i medici hanno detto che una persona non si riduce così da un giorno all’altro. Questo spiega anche perché non riusciva a mangiare: perché era malato. A malapena beveva un po’ d’acqua. Ed essendo così debole il suo sistema immunitario non è riuscito a combattere la malattia. E pensare che era un ragazzo di un metro e 80 di 28 anni…”.
Perché suo fratello era finito in carcere alle Vallette?
“Antonio stava scontando una pena in una comunità perché aveva avuto problemi con le droghe. Gli mancava un mese alla fine, ma lui non riusciva a stare in quel posto ed è andato via. Quando poi lo hanno fermato lo hanno portato alle Vallette e alla sua pena si è aggiunta l’evasione. Per quello era ancora in cella anche se in realtà lui aveva intrapreso un percorso con il Serd e non avrebbe dovuto essere in carcere. Mi dispiace che sia finito tutto così: quando eravamo piccoli, i miei genitori lavoravano e mi sono presa io cura di lui, lo accompagnavo a scuola, andavo a prenderlo”.
Cosa spera da una riapertura dell’inchiesta?
“Vorrei che chi lavora in carcere capisse che chi è detenuto non deve perdere il diritto a essere curato e assistito. Non si possono far morire le persone in carcere. Certe cose di come si sta in carcere io le ho sapute dai compagni di cella di mio fratello, quando sono usciti. Mai sapute prima perché certe cose i carcerati non le dicono… Mio fratello compreso”.

Morto in carcere a Torino dopo aver perso 25 chili, aperta un’inchiesta. La Garante dei detenuti: “Sembrava Stefano Cucchi”

Il giovane sosteneva di non riuscire a mangiare, gli agenti pensavano simulasse, ma aveva un’infezione polmonare.

Era entrato in carcere che pesava 80 chili ma ne aveva persi 30 in sei mesi e nel dicembre 2019  improvvisamente era morto, a 28 anni, nonostante un ricovero d’urgenza, che però è risultato tardivo. Il caso di Antonio Raddi era stato segnalato dalla garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo, e ora i familiari stanno provando a far riaprire il caso e nei prossimi giorni si discuterà davanti al giudice l’opposizione all’archiviazione.
La procura di Torino, infatti, aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo con quattro indagati e aveva dato due consulenze tecniche per chiarire le cause del decesso dell’uomo, detenuto al Lorusso e Cutugno da aprile per rapine, maltrattamenti ed evasione, e anche le modalità con cui era stato curato in carcere.
Era entrato in carcere che pesava 80 chili ma ne aveva persi 30 in sei mesi e nel dicembre 2019  improvvisamente era morto, a 28 anni, nonostante un ricovero d’urgenza, che però è risultato tardivo. Il caso di Antonio Raddi era stato segnalato dalla garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo, e ora i familiari stanno provando a far riaprire il caso e nei prossimi giorni si discuterà davanti al giudice l’opposizione all’archiviazione.
Era stato chiarito che la morte era avvenuta per sepsi provocata da una polmonite da klebsiella che era improvvisamente degenerata. Secondo i consulenti lo stato di salute era molto peggiorato nel corso della detenzione e c’erano perplessità anche sul tipo di assistenza medica che aveva ricevuto.
L’uomo, con un passato di tossicodipendenza alle spalle, aveva iniziato a soffrire di anoressia, ma secondo i familiari gli agenti della polizia penitenziaria non avevano mai creduto al suo malessere, ritenendolo che fosse strumentale ad avere qualche beneficio. Ma non erano solo i parenti a chiedere un intervento.
Anche la garante, che da mesi seguiva il caso aveva denunciato: “C’è un drammatico peggioramento dello stato fisico e psichico. Ha bisogno di supporto psicologico, sostiene di avere visto solo una volta la psichiatra”. E aggiunge: “Ha le sembianze di Stefano Cucchi”. A fine novembre su un rapporto si legge che il detenuto “non riesce più a ingerire né solidi né liquidi”, poi inizia a muoversi con la sedia a rotelle, infine il compagno di cella riferisce che vomitava sangue.
Tuttavia secondo la procura anche l’atteggiamento poco collaborativo del detenuto aveva avuto un ruolo nella gestione della sua salute dal momento che, pur desiderando le cure, non aveva accettato il ricovero nel repartino delle Molinette. E solo all’ultimo dal carcere era stato mandato in ospedale, dove però è arrivato in condizioni disperate.
Per questo alla fine il pm Vincenzo Pacileo aveva chiesto l’archiviazione del caso sostenendo che il quadro clinico si era aggravato in modo irreparabile solo nelle ultime ore di vita. Ma la famiglia del giovane si è opposta e vuole far riaprire le indagini.

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

lo slai cobas per il sindacato di classe aderisce alla campagna e invita lavoratori,organizzazioni sindacali,associazioni solidali con i prigionieri politici a parteciparvi
1 gennaio 2022 – aderiamo alla campagna nazionale e internazionale in tutte le forme possibili
prepariamo una azione a sorpresa nei prossimi giorni all’ambasciata a roma e al consolato india a milano

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Comitato Solidarietà India ha lanciato questa petizione anche in change.org e l’ha diretta a La Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH)
ambasciata indiana a roma, consolato India a Milano, Ministero degli esteri e Ministero della giustizia Italia, stampa nazionale

 

 

Fermare la repressione scatenata dal governo indiano!

Solidarietà con prigionieri politici in India!

Rilascio immediato di tutti coloro che sono stati illegalmente arrestati per il caso Bhima Koregaon!

Negli ultimi anni a livello internazionale è cresciuto in diversi paesi e nella stessa india un movimento di solidarietà per il rilascio incondizionato del leader del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF), Prof. Saibaba, per l’intellettuale Prof. Anand Teltumbde, per lo scrittore rivoluzionario Varavara Rao e i tanti altri attivisti ingiustamente imputati nel caso Bhima Koregaon (BK-16).
Il 5 luglio scorso c’è stato l’omicidio di Stato di padre Stan Swamy, uno degli accusati nell’infame montatura Bhima Koregaon, a cui sono state cinicamente negate le cure mediche di cui necessitava.
Alcuni prigionieri politici maoisti sono stati uccisi in custodia e tanti altri ancora sono stati torturati.
Quella di Bhima Koregaon e del presunto piano per uccidere Modi non è che una montatura nell’interesse dei politici Hindutwa al potere e per coprire i criminali fascisti al loro servizio.
Sentiamo come nostra responsabilità difendere tutti gli attivisti sociali e oppositori politici falsamente accusati e imprigionati. Il solo loro crimine è essersi battuti e continuare a battersi per la democrazia e per tutti gli oppressi: i dalit, le minoranze tribali e religiose, le donne.
Varavara Rao, ottantenne, è stato rilasciato su cauzione per motivi di salute, ma il tribunale non gli ha concesso di vivere insieme alla sua famiglia nella sua residenza. Non è che un modo per mantenerlo sotto un altro tipo di detenzione.
Gowtam Navlakha e Sudha Bharadwaj soffrono gravi problemi di salute e hanno chiesto la libertà su cauzione ma il tribunale si è pronunciato a favore della polizia e non gliel’ha concessa. Giuristi di tutto il paese e all’estero hanno criticato questa decisione definendola niente di meno di un insulto alla Costituzione indiana.
Negli ultimi 20 quasi 2000 persone sono state uccise in custodia dalla polizia in tutta l’India. Ma solo 26 poliziotti sono stati riconosciuti colpevoli di questi omicidi.
Da quando il giudice Agarwal ha rivelato il suo rapporto, accusando la polizia dei massacri di Sarkenguda e Edsametta, in Chhattisgarh, sono trascorsi anni senza che un solo poliziotto sia stato arrestato.
Il mondo intero, la stessa ONU, ha condannato l’omicidio di padre Stan Swamy ma il governo indiano non ha intrapreso alcuna azione nei confronti dei responsabili.
Il Presidente della Corte Suprema dell’India, L. V. Ramana, ha dichiarato apertamente che gli articoli della Sezione 124A (sulla sedizione) sono obsoleti e che gli organi legislativi devono abrogare quella norma. Ma i legislatori non se ne curano.
Grazie a queste leggi draconiane posso mettere dietro le sbarre tutte le voci che contestano e si oppongono ai governi. Gli accusati sono richiusi in cella di isolamento, dette Anda.
Molte organizzazioni giornalistiche, tra cui Press Club of India, Editors’ Guild of India, Press Association, Indian Women Press Corps e Delhi Union of Journals hanno condannato le accuse di sedizione mosse contro giornalisti e intellettuali e si stanno battendo per l’abrogazione della legge UAPA e simili.
A dicembre Ganatantrik Adhikar Suraksha Sangathan si è fatto avanti condannando il linciaggio del leader della “Unione degli studenti Asom” Animesh Bayan. La legge sui poteri speciali delle forze armate del 1958 è in vigore da decenni in Nagaland, Asom, Manipur e Arunachal Pradesh e negli ultimi decenni ha consentito omicidi, atrocità e torture impunite contro il popolo della regione per mano dell’esercito indiano.
Il 5 dicembre, 13 persone sono state uccise in uno sparatoria nel villaggio di Voting, distretto di Mone, in Nagaland. L’incidente ha innescato una nuova ondata di proteste e lotta per la revoca della legge.
In questa situazione, tutte le forze democratiche a livello internazionale devono mobilitarsi per la liberazione immediata e incondizionata di tutti gli imputati nel caso Bhima Koregaon e per l’archiviazione della montatura giudiziaria contro di loro, per la fine delle operazioni repressive contro ogni voce di dissenso, la liberazione dei prigionieri politici e l’abrogazione delle leggi draconiane che danno “legalità” alla caccia alle streghe!

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info csgpindia@gmail.com

info slaicobasta@gmail.com

info srpitalia@gmail.com

disponibili testi, materiali foto video per ogni tipo di iniziativa

Stop the repression by the Indian government!
Solidarity with the political prisoners in India!
Immediate release for all those are illegally detained for the Bhima Koregaon case!

 

In recent years, a movement of solidarity for the unconditional release of the leader of the Democratic Revolutionary Front (RDF), Prof. Saibaba, the intellectual Prof. Anand Teltumbde, the revolutionary writer and many other political prisoners in India has grown internationally in various countries and in India itself.
Varavara Rao and the many other activists unjustly accused in the Bhima Koregaon case (BK-16).
On 5 July, there was the state murder of Father Stan Swamy, one of the accused in the infamous Bhima Koregaon case, who was cynically denied the medical treatment he needed.
Some Maoist political prisoners were killed in custody and many others were tortured.
That of Bhima Koregaon and the alleged plan to kill Modi is only a hoax in the interests of the Hindutwa politicians in power and to cover the fascist criminals at their service.
We feel it is our responsibility to defend all the social activists and political opponents falsely accused and imprisoned. Their only crime is having fought and continuing to fight for democracy and for all the oppressed people: the Dalits, tribal and religious minorities, women.
Varavara Rao, 80, was released on bail for health reasons, but the court did not allow him to live with his family in his residence. It’s just a way to keep him under another kind of detention.
Gowtam Navlakha and Sudha Bharadwaj suffer from serious health problems and have asked for bail but the court ruled in favor of the police. Jurists across the country and abroad have criticized this decision as nothing less than an insult to the Indian Constitution.
Over the past 20 years, nearly 2,000 people have been killed in police custody across India. But only 26 policemen were found guilty of these murders.
Since Judge Agarwal revealed his report, accusing the police of the Sarkenguda and Edsametta massacres in Chhattisgarh, years have passed without a single policeman having been arrested.
The whole world, the UN itself, has condemned the murder of Father Stan Swamy but the Indian government has not taken any action against those responsible.
The President of the Supreme Court of India, L. V. Ramana, has openly stated that the articles of Section 124A (on sedition) are obsolete and that the legislative bodies must repeal that rule. But lawmakers don’t care.
Thanks to these draconian laws they can put behind bars all the voices that contest and oppose the governments. The accused are locked up in solitary confinement cells, called Anda.
Many news organizations, including Press Club of India, Editors’ Guild of India, Press Association, Indian Women Press Corps and Delhi Union of Journals have condemned the sedition charges against journalists and intellectuals and are campaigning for the repeal of the draconian laws, UAPA and the like.
In December Ganatantrik Adhikar Suraksha Sangathan came forward condemning the lynching of the leader of the “Asom Student Union” Animesh Bayan. The Armed Forces Special Powers Act of 1958 has been in place for decades in Nagaland, Asom, Manipur and Arunachal Pradesh and has allowed unpunished killings, atrocities and torture against the people of the region at the hands of the Indian army. On 5 December, 13 people were killed in a shooting in the village of Voting, Mone district, Nagaland. The incident sparked a new wave of protests and a struggle for the withdrawal of the law.

In this situation, all the democratic forces at the international level must mobilize for the immediate and unconditional release of all the accused in the Bhima Koregaon case and for the dismissal of the case against them, for the end of repressive operations against every voice of dissent, the release of political prisoners and the repeal of the draconian laws that give “legality” to the witch hunt!

 

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ancora sul carcere di Pavia

“Carcere indegno del terzo millennio”

Tre persone si sono tolte la vita nel giro di un mese e il garante dei detenuti lancia l’allarme. Per verificare le condizioni in cui vivono i detenuti e lavora il personale della casa circondariale ieri mattina la deputata del Movimento 5 stelle Valentina Barzotti e il consigliere regionale Simone Verni hanno effettuato un sopralluogo all’interno di Torre del Gallo.
“La situazione è critica – ha detto Verni – Non da oggi purtroppo, ma ora è aggravata dalla mancanza della direzione. C’è una direzione ad interim, e se i problemi ci sono quando c’è un direttore, figuriamoci adesso che non c’è”. Sovraffollamento e una struttura fatiscente sono le due questioni più rilevanti. “Alcune aree sono inagibili – ha aggiunto il consigliere regionale – e questo non può esistere in un Paese civile del terzo millennio. Non si può più soprassedere. A soffrire non sono soltanto i detenuti, anche gli agenti carcerari vivono una situazione di disagio. I problemi in questa struttura si sommano, c’è anche la questione sanitaria che è di competenza della Regione la quale tesse le lodi di una sanità eccellente che eccellente non è già per i cittadini e a maggior ragione per un recluso”.
Per avere maggiori informazioni sul servizio sanitario Verni ha presentato un’interrogazione scritta all’assessore al Welfare Letizia Moratti. “Ci sono carenze di figure professionali molto gravi”, ha sottolineato Verni. In particolare a non ricevere un’adeguata assistenza sarebbero i detenuti di carattere psichiatrico e le persone che non sono ancora state riconosciute. “Ci sono aree freddissime – ha fatto notare la deputata Valentina Barzotti – alcuni detenuti chiedono di essere ascoltati e nonostante l’impegno del personale le difficoltà sono numerose. Presenterò un’interrogazione al ministro Marta Cartabia e interesserò i sottosegretari che hanno delega su questi temi. La situazione di questo carcere non è più accettabile anche per chi ci lavora. Ci attiveremo per migliorare le condizioni della struttura”.
Anche Simone Verni intende scrivere una lettera al ministro Cartabia sul carcere di Pavia: “Si potrebbe dire che vengono quasi sospesi i diritti civili in questa casa circondariale per i detenuti e per tutti coloro che ci lavorano e che si fanno in quattro per sopperire alle mancanze croniche della struttura”. Tra i problemi poi c’è pure quello del lavoro, tutta la popolazione carceraria lavora a turni con lunghi periodi di inattività. “Pavia può pensare ai detenuti – ha concluso Verni – e a progetti da realizzare con i carcerati”.