Londra: arrestati 41 sostenitori di Palestine Action

La polizia britannica ha arrestato a Londra 41 attivisti di Palestine Action, che stavano manifestando fuori dal Parlamento.

Il gruppo di attivisti solidali con il popolo palestinese è stato definito dalle autorità lo scorso 2 luglio come “organizzazione terroristica nel Regno Unito”, dopo che alcuni attivisti avevano fatto irruzione in una base della Royal Air Force danneggiando degli aerei per protestare contro il sostegno del Regno Unito a Israele.

In risposta alla messa al bando, Palestine Action ha pubblicato un nuovo documentario, “To Kill A War Machine”, che esplora la strategia del gruppo, la storia dell’azione diretta e la visione politica.

Palestine Action è stata fondata nel 2020 dopo che gli attivisti hanno fatto irruzione e hanno dipinto con vernice spray la sede londinese della più grande azienda di armi israeliana, Elbit Systems.

La sua rete di attivisti ha successivamente utilizzato tattiche, tra cui l’azione diretta, per colpire quelli che dice essere i “facilitatori aziendali del complesso militare-industriale israeliano”, spesso irrompendo negli uffici e nelle fabbriche per verniciare con vernice spray o danneggiare attrezzature che dicono siano utilizzate per commettere crimini di guerra nella Palestina occupata.

Elbit Systems è l’obiettivo principale del gruppo, spingendo diverse aziende a recidere i legami con l’appaltatore della difesa e facendo perdere miliardi in contratti persi e disinvestimenti, secondo Palestine Action.

La banca Barclays che possedeva 16.000 azioni di Elbit Systems, ha disinvestito in ottobre, mentre il Ministero della Difesa del Regno Unito ha annullato contratti per 280 milioni di sterluine con la società israeliana.

Molti attivisti di Palestine Action finiti a processo sono stati assolti dalle giurie sulla base di “difesa di necessità”, vale a dire che il danno alla proprietà era giustificato in quanto era inteso a prevenire le morti.

Ma queste sentenze sono state state sistematicamente rimosse dal governo britannico, utilizzando una legislazione anti-protesta che ha ampliato i poteri della polizia per reprimere le proteste pacifiche e imporre condanne per gli attivisti giudicati colpevoli.

Ciò è culminato con l’uso senza precedenti di accuse di terrorismo contro un gruppo di attivisti di Palestine Action con un procedimento noto come Filton 18.

Un anno fa sei attivisti di Palestine Action hanno guidato un furgone modificato nel centro di ricerca e sviluppo di Elbit System a Filton, Bristol. Gli attivisti hanno smantellato le armi, compresi i modelli di droni quadricotteri schierati da Israele nella sua guerra contro Gaza, causando danni per 1 milione di sterline (1,24 milioni di dollari).

Il 16 luglio a Parigi in piazza per liberare Georges Abdallah!

16 juillet – 18h30 – Place du Châtelet – Rassemblons-nous pour la libération de Georges Abdallah !

L’acharnement de l’État français contre Georges Abdallah !

Tous mobilisés le 16 juillet pour sa libération !

Dans ce nouveau volet de « l’affaire Abdallah », depuis maintenant deux ans qu’une nouvelle demande de libération conditionnelle a été déposée par notre camarade, preuve a été une nouvelle fois donnée le 20 février et le 19 juin derniers – s’il fallait encore en faire la démonstration – de l’acharnement de l’État français à tout faire pour ne pas libérer Georges Abdallah en ajournant à deux reprises la décision de la Cour d’appel de Paris qui, finalement, devrait être rendue ce 17 juillet.

Certes, officiellement et formellement, la libération de notre camarade obtenue en première instance le 15 novembre 2024 n’est pas remise en question mais dans les faits et comme cela a été le cas durant toutes ces décennies « d’arguties judiciaires », cette dernière est cette fois encore conditionnée, à chacune des audiences, aux nouvelles offensives du parquet – dépendant du pouvoir – et aux prérogatives des parties civiles étasuniennes. Ces « mesquineries juridiques » sont bien, en réalité, le signe de l’acharnement à perpétuité du pouvoir et de son appareil répressif à ne pas libérer ce combattant de la cause palestinienne qui, en son temps, osa revendiquer, devant une justice d’exception aux ordres, les actes de résistance accomplis par son organisation, les FARL, pour frapper ici même en France les agents de l’entité sioniste et de ses maîtres étatsuniens et qui, depuis lors, a toujours refusé de plier et refuse encore aujourd’hui de renier ses convictions et son combat. Par son acharnement, avec cette détention clairement politique, une des plus longues en cours en Europe, l’État français manifeste lucidement sa détermination à ne pas libérer un résistant historique de la cause palestinienne, devenu symbole même de la résistance et indique ainsi clairement par-là qu’il défend ses intérêts de puissance impérialiste au Moyen-Orient, aux côtés de l’entité sioniste.

C’est donc bien, nous le savons tous, pour ses idéaux et son combat que Georges Abdallah est maintenu en prison. Mais ce sont bien aussi ses convictions de militant communiste – des convictions inébranlables – qui le maintiennent vivant derrière les murs et les barbelés où le pouvoir voudrait le voir soumis ou disparaître. Et ce sont bien nos convictions – inébranlables également – à être aux côtés du combat juste et légitime du peuple palestinien, de son héroïque résistance sous toutes ses formes et factions et de toute la résistance des peuples de cette région qui nous engagent à arracher l’un des combattants historiques de cette glorieuse cause des geôles de l’ennemi. Ceci aussi, nous le savons : la lutte pour sa libération est une lutte de longue haleine mais notre pratique le démontre : dans ce rapport de force qui nous oppose année après année, mois après mois, jour après jour à l’État français, notre mobilisation ne cesse de s’amplifier, de s’intensifier et de se durcir et notre détermination à ne rien lâcher participe de cette pression nécessaire pour faire sauter pour la victoire ou la victoire le dernier verrou de cette perpétuité réelle.

Le 16 juillet prochain est la nouvelle étape de ce bras de fer : à la veille de la décision de la Cour d’appel, soyons cette fois encore partout en France et à l’International massivement présents et rassemblés pour exiger de l’État français la libération de ce « prisonnier bien encombrant » car le 17 juillet, Georges Abdallah doit être libéré !

Et à Paris, rassemblons-nous Place du Châtelet à 18h30 pour exiger sa libération immédiate et sans condition !

Soyons à l’offensive pour contrer les attaques du pouvoir réactionnaire !
Continuons le combat jusqu’à sa libération !
La solidarité est notre arme ! Nous vaincrons !
Palestine vivra ! Palestine vaincra ! Liberté pour Georges Abdallah !

Paris, le 10 juillet 2025
Campagne unitaire pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah
Campagne.unitaire.gabdallah@gmail.com
Facebook : pour la libération de Georges Abdallah
Instagram : cuplgia – Tweeter : CUpLGIA

Maja conclude lo sciopero della fame. La sua lettera

Da Free All ANTIFAS – Italy

Cari fratelli, compagni e sostenitori,

Mi chiamo Maja. Sono in sciopero della fame dal 5 giugno. L’ho iniziato come protesta contro l’estradizione illegale e ancora irrisolta dalla Germania all’Ungheria un anno fa, contro la persecuzione repressiva degli antifascisti, contro lo svolgimento pregiudizievole e discutibile del processo, nonché contro l’isolamento permanente e le condizioni disumane nelle carceri ungheresi. Ora, dopo quasi sei settimane, ho deciso di interrompere lo sciopero della fame.

Non voglio mettere ulteriormente a dura prova la mia salute, perché sento che se non torno indietro ora, sarà presto troppo tardi. Anche se le mie richieste venissero accolte, servirebbe a poco. Ne sarei segnat* a vita, e forse lo sono già. Non ho mai voluto che si arrivasse a questo punto; speravo ingenuamente che un passo così radicale come lo sciopero della fame avrebbe finalmente sensibilizzato chi ricopre posizioni di responsabilità e tutti coloro che possono fare la differenza, in modo che agissero dopo un anno di rassicurazioni, sorrisi e ignoranza.

Ormai non rimane molto di me. Il mio corpo è uno scheletro, con uno spirito intatto, combattivo e vibrante. Sorride, cerca libertà e comunità all’orizzonte e si rifiuta di accettare che non ci sia giustizia. Ma non sono pronto a fare il passo verso la morte imminente. Certo, è incerto; potrebbero esserci ancora giorni, forse settimane. Ma se dovessi perdere conoscenza, avrei un debito nei confronti delle persone che combattono al mio fianco, un debito che non sono pronto a gravare su nessuno. Così come non sono pronto a sottopormi a misure coercitive.

Il 1° luglio sono stat* trasferit* in un ospedale carcerario a 250 km da Budapest, perché già allora si temeva seriamente per la mia salute. Il nuovo posto è più tranquillo del carcere nella grande città, ma altrettanto isolato, se non di più. I contatti con la mia famiglia sono altrettanto limitati. Il mio avvocato, sempre un supporto indispensabile, ora ha bisogno di un giorno intero per farmi visita. Durante la mia passeggiata di un’ora nel cortile, non incontro altri detenuti. Trascorro le restanti 23 ore in cella, perché qui non ci sono attività ricreative. La solitudine mi sta dilaniando, la nostalgia di casa aleggia all’orizzonte. Dal punto di vista medico, è possibile curare il mio corpo fino alla guarigione qui, ma un recupero mentale sembra impossibile persino qui. Con un imminente trasferimento a Budapest, nulla sarebbe cambiato, perché ciò che ha reso necessario lo sciopero della fame mi attende lì. Né l’ospedale né il carcere in Ungheria possono essere una soluzione.

Le mie richieste rimangono invariate! Devo essere rimpatriat* in Germania o posti agli arresti domiciliari e sottopost* a un regolare processo. Sono determinat* a non rimanere in silenzio domani e continuerò a protestare finché sarà necessario.

Concludo lo sciopero ora affinché nessuno sia ritenuto responsabile di danni alla salute a lungo termine o permanenti. Tuttavia, questo passo non esonera nessuno dalla responsabilità di creare condizioni carcerarie umanitarie, libere da dolore e sofferenza per tutti, di condurre un processo indipendente e giusto che non pregiudichi, e di garantire l’integrità dei prigionieri, rispettandone la dignità anziché disprezzarli e punirli. Se ciò non accadrà, e se le mie richieste continueranno a essere ignorate, sono determinat* a riprendere lo sciopero della fame.

Chiedo ciò che è necessario: poter tornare a casa con la mia famiglia, poter realizzare il mio potenziale attraverso la scuola, il lavoro, ecc., potermi preparare al processo in condizioni di parità e non essere sepolto vivo in una cella. Aspetto ancora una dichiarazione chiara e onesta, delle scuse da parte dei responsabili dell’estradizione e un’offerta di risarcimento. Anche se dovesse arrivare per ultima, è la cosa più importante per me.

Grazie a tutti coloro che hanno parlato, che sono al nostro fianco, e a coloro che sono stati lì coraggiosamente per molto tempo, a coloro che sostengono con fermezza il necessario antifascismo, a coloro che sostengono, che sacrificano notte e giorno, che donano e sono punti di riferimento. Questa diversità significa resistenza e utopia allo stesso tempo. I miei pensieri sono sempre con la famiglia e i compagni più cari, percependo il dolore che stanno attraversando e ammirando il coraggio e l’altruismo con cui sopportano. Il mio ringraziamento di oggi ha parole. Ma state tranquilli, il seme della solidarietà con ciò che è possibile giace in terreno fertile. Quindi spero che non solo io, ma molti altri siamo stati in grado di unire coraggio e forza di volontà nelle ultime settimane per guardare al futuro mano nella mano, senza mai perdonare, ma con un sorriso.

In solidarietà. A presto, mi farò viv*.

Maja

Il GOM accusa i legali di Cospito di umanità, Flavio Rossi Albertini la rivendica

di Valentina Stella da il dubbio

Accusato del “reato” di abbraccio, l’avvocato scrive al consiglio di disciplina dell’Ordine di Roma per archiviare il caso: “Il mio cliente è un essere umano prima ancora che un detenuto”. Rivendicando “il ruolo e la missione più elevata che un avvocato possa recitare nella sua funzione difensiva, non limitando la stessa al solo rigore professionale ma innervandola di senso di umanità e empatia per le sorti dei propri assistiti” e rifiutando “il ruolo di concorrente nell’opera di deumanizzazione del proprio assistito in special modo quando proposta in aperto contrasto con i dettami costituzionali e con le basilari regole che devono e dovrebbero essere comuni ad ogni essere umano come insegnateci nei libri di Primo Levi” l’avvocato Flavio Rossi Albertini ha chiesto al Consiglio distrettuale di disciplina del Coa di Roma di archiviare la segnalazione a suo carico per aver compiuto un gesto di generosità verso Alfredo Cospito.

Come raccontato qualche settimana, il legale era stato segnalato, su input del Gom (Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria), dalla direzione del carcere di Sassari all’Ordine degli avvocati della capitale per aver salutato il suo assistito, ristretto al 41bis dal 2022, con due baci sulle guance e una stretta di mano al termine di un colloquio. “Tenuto conto della caratura criminale dei soggetti ristretti presso il reparto 41 bis di questo istituto – si leggeva nella relazione della direzione del carcere – ed il significato intrinseco che può avere tale saluto, si chiede di valutare se il comportamento dell’avvocato sia deontologicamente corretto, anche al fine di dare le opportune indicazioni al personale di Polizia Penitenziaria che con abnegazione e professionalità assicura la vigilanza dei detenuti sottoposti al regime di cui all’ art. 41 bis”.

Per replicare, Rossi Albertini, nella sua memoria difensiva, ha ricordato che il regime di detenzione del 41 bis o.p. ha quale finalità “quella di impedire al condannato di comunicare con la consorteria criminale di appartenenza”, ma tutto ciò che esula da tale scopo “persegue propositi ultronei, non dichiarati, incompatibili con il principio di umanità e rieducazione della pena sancito dall’art. 27 Cost., dall’art. 7 del Patto Internazionale per i Diritti civili e politici nonché dall’art 3 Cedu”.

Com’è noto, inoltre, il detenuto al 41 bis è privato di ogni contatto umano con qualsiasi soggetto estraneo al gruppo di socialità in cui è inserito. Il colloquio mensile, di una sola ora, riconosciutogli con i prossimi congiunti, è compiuto in salette dotate di vetro divisorio, la comunicazione verbale è realizzata tramite un apparecchio citofonico, alla presenza di un agente del Gom, e i dialoghi sono registrati. Il detenuto non ha pertanto il diritto di stringere la mano, abbracciare, baciare, i figli, la madre, il padre, i fratelli. Nessun contatto fisico è ammesso al 41 bis. Contro tale regime Cospito aveva anche intrapreso uno sciopero della fame protrattosi per quasi sei mesi, giungendo a perdere circa trenta chili di massa corporea e mettendo in pericolo la sua stessa vita. Ancora oggi quel regime gli impone restrizioni maggiori rispetto a quelle previste per legge: ultimamente infatti non gli vengono consegnate né le lettere né gli vengono dati i libri richiesti come l’ultimo di Scurati, uno sulla fisica quantistica e uno su Gramsci, senza alcuna motivazione.

Cospito, dice Rossi Albertini, rappresenta “per me una persona con la quale ho attraversato esperienze umane e professionali fortemente significative, caratterizzate da gioie e delusioni, sconfitte e vittorie processuali”. Il 9 maggio 2025 – racconta – “come accade regolarmente da numerosi anni, il sottoscritto giunto a visitare il detenuto in Istituto gli stringeva la mano e lo baciava sulle guance, unico soggetto proveniente dall’esterno a poter compiere quel gesto di vicinanza e empatia umana. Un atto che rivendico quale dimostrazione dell’umanità e del ruolo non solo professionale che un avvocato edifica con il proprio cliente, un essere umano prima ancora che un detenuto”. D’altronde – scrive ancora nella sua memoria – “sono gli insegnamenti della cultura occidentale a ricordarci, avvocati o meno, che prima del diritto positivo esiste un diritto naturale superiore ad ogni legge umana o regolamentazione ministeriale. È Rousseau nell’Origine delle Disuguaglianze a rammentarci che la prima e più semplice operazione dell’anima umana è “la ripugnanza naturale a veder soffrire qualunque essere sensibile, e soprattutto i nostri simili”, a dirci “che anche il detrattore più spinto delle virtù umane” è costretto a riconoscere all’uomo il sentimento di “pietà”, moto che “persino le bestie ne danno qualche volta dei segni sensibili”; è Sofocle a far dire ad Antigone a confronto con il tiranno Creonte “non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dèi. Infatti queste non sono di oggi o di ieri ma sempre vivono e nessuno sa quando apparvero”.

Date tutte queste premesse, Rossi Albertini ha chiesto al consiglio di disciplina di archiviare la sua posizione sottolineando ancora una volta che “gli avvocati non si presteranno mai a recitare un ruolo subalterno e ancillare nei confronti di chi intende nelle maglie dei regolamenti mutare il senso e lo spirito dei traguardi raggiunti dall’assemblea costituente con l’art. 27 della Costituzione”. Adesso l’organo di controllo può decidere di mettere tutto nel cassetto oppure fare una istruttoria più ampia, sentendo anche il legale.