Riprende il 9 luglio il processo alla resistenza palestinese, non si concluderà a luglio, ma molto probabilmente a settembre

Dopo 4 giorni di udienze a giugno, interamente dedicati all’audizione dei testi dell’accusa, nulla di rilevante è emerso rispetto a quelli che sono i fatti contestati e per cui stanno processando AnanYaeesh, da un anno e mezzo detenuto nel carcere di Terni, Ali Irar e Mansour Doghmosh.

Al contrario, risulta sempre più evidente la mistificazione della resistenza palestinese come “fenomeno terroristico” basata su un impianto accusatorio proveniente da Israele.

Tutta la narrazione fatta in aula dall’accusa, dimostra che questo è un processo politico. Dal tentativo di censurare la dichiarazione di Anan del 2 aprile, alle stesse “prove” indicate nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere dei 3 imputati e non mostrate nella loro interezza in aula, dimostra che ciò che NON deve emergere pubblicamente sono proprio le ragioni della lotta di liberazione del popolo palestinese, che per il diritto internazionale è legittima anche in forma armata.

Un esempio di questo stravolgimento della realtà, si può rilevare, per ultimo, dalla mancata proiezione in aula di un video, del quale si è mostrato solo uno screeshot. Dagli ultimi frame del video (https://vidmax.com/video/224420-idf-soldiers-turn-a-carload-of-terrorists-including-a-hamas-commander-into-martyrs-in-west-bank), ma anche da fonti aperte come wikipedia (in arabo e in inglese), emerge chiaramente che Jihad Shehadeh, col quale era in contatto Anan, è stato giustiziato insieme ad altri militanti palestinesi dai soldati israeliani, che dopo aver colpito l’auto in cui si trovava con 100 proiettili, hanno continuato a sparare sui morti e simulato uno scontro a fuoco. E di “soggetti deceduti in uno scontro a fuoco” hanno parlato anche i dirigenti della Digos dell’Aquila, così come hanno usato la parola “martiri” per definire soggetti autori di attentati suicidari. Anche nell’ultima udienza, quando è stato ascoltato il teste della guardia di finanza, veniva da sorridere, perché l’entità dei movimenti economici presi in esame potrebbe configurare, tutt’al più, il reato di evasione fiscale, e questo, come noto, non è comportamento da punire per il governo italiano.

Quello che interessa al nostro governo e al PM è far rientrare i servizi di intelligence israeliani in questo processo, dopo le brutte figure dell’accusa. E infatti il PM ha formulato una richiesta istruttoria tardiva rispetto all’audizione di un altro testimone, un dirigente della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che dovrebbe essere ascoltato su una serie di annotazioni provenienti dai servizi segreti dei paesi arabi, in particolar modo Libano e Palestina. A questa richiesta la difesa si è opposta, e ha chiesto, in via subordinata, che a prova contraria vengano sentiti dei suoi testimoni, in particolare l’ex dirigente dello Schin bet (licenziato per aver chiamato i coloni terroristi), ma soprattutto l’audizione di Francesca Albanese, entrambi esclusi dalla Corte nell’udienza del 2 aprile.

L’appuntamento ora è al 9/10 luglio, in cui sarà dato finalmente spazio ai pochi testimoni della difesa e ci sarà l’esame/dichiarazione degli imputati.

Finita l’attività istruttoria, sempre il 9, la Corte deciderà se ammettere l’integrazione richiesta dal PM e, di conseguenza, gli ulteriori due testi della difesa a controprova.

Sicuramente il processo non si concluderà il 10 luglio, perché il PM si è anche lamentato dell’eccessiva celerità con cui dovrebbe preparare la sua discussione, ed è molto probabile che il processo sia rinviato a settembre con due udienze consecutive, nella prima delle quali avverranno le discussioni del pubblico ministero e della difesa, e nell’udienza successiva repliche e poi Camera di consiglio e sentenza.

Questo è il punto per quanto riguarda l’aspetto giuridico del processo.

Per quanto riguarda il suo vero significato, quello politico, è tutto nelle parole di Anan. In quella lunga e articolata dichiarazione, che il 2 aprile è stata distorta dall’interprete scelta allora dalla Corte, egli esordiva con queste parole: “Signor giudice, lei si trova davanti a una causa molto delicata, che non riguarda Anan Yaeesh personalmente, ma riguarda la causa della resistenza per il popolo palestinese intero, la lotta di un popolo che ha combattuto per decine e decine di anni e ancora oggi lotta contro l’occupazione israeliana e per la libertà della sua terra e del suo popolo. ”.

Anan continuerà a battersi per la libertà della sua terra e del suo popolo anche in videoconferenza il 9 luglio, perché nonostante la difesa abbia richiesto di tradurlo in aula per i numerosi problemi di comunicazione, la Corte ha deciso di tenerlo in carcere per tutta la durata del processo. E’ quindi estremamente importante presidiare il tribunale, soprattutto il 9, quando Anan prenderà la parola. E non è importante solo per lui e i suoi 2 amici, Ali e Mansour, ma per tutta la causa palestinese, perché è questa che si sta processando in Italia e che si vuole condannare, mantenendo in carcere un partigiano palestinese per terrorismo. Continua a leggere

Libertà per Gigi! La solidarietà non si arresta!

Il 1° luglio il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila ha respinto la richiesta di svolgere attività lavorative durante la detenzione domiciliare a Gianluigi Di Bonaventura, “Gigi”, a causa della sua “pericolosità sociale e attività politica”.

La stessa “pericolosità sociale e politica” per cui tanti e tante lo amano e lo stimano, non solo a Giulianova (TE), dove risiede, ma in tutto il territorio nazionale, perché Gigi è un figlio del popolo.

Gigi è il fratello di tutti gli sfruttati, per i quali si è sempre speso con coraggio e coscienza di classe, sfidando la repressione statale e padronale.

Gigi è un combattente per la libertà, è il fratello degli ultimi, degli immigrati, dei detenuti, delle donne che si ribellano alla violenza dell’ordine patriarcale.

Gigi è sempre stato coerentemente in prima linea nelle lotte contro gli sfratti, i licenziamenti, la devastazione del territorio, la repressione, le guerre imperialiste, il genocidio.

Ed è proprio per la coerenza con cui ha portato avanti queste lotte, che ora gli viene negata la possibilità di svolgere la sua attività lavorativa, l’apicoltore, di prendersi cura delle sue creature, le api, di continuare i laboratori e le attività didattiche con le tante associazioni con cui da anni stava collaborando, aiutando bambine e bambini, disabili, a crescere in amonia e in sinergia con la natura e l’ambiente. Una decisione infame, che non tiene conto dei bisogni più elementari di un individuo.

Il diritto al lavoro e a un ambiente sano è un diritto umano fondamentale, e ora viene negato proprio a chi, come Gigi, si è sempre battuto con coraggio e coerenza per questi diritti.

Lo stesso coraggio e la stessa coerenza, che sono mancati a certi “difensori dell’ambiente e dei diritti”, quando nel corteo NO SNAM a Sulmona, nel 2018, additarono gli anarchici come infiltrati per delle scritte, invocando dal palco l’intervento delle forze dell’ordine. Nelle cariche che ne seguirono, rimasero coinvolte anche alcune cittadine giuliesi. Gigi e il ragazzo ritenuto “colpevole” di quelle scritte (che purtroppo è venuto a mancare) furono processati e condannati.

Tale condanna, a 10 mesi di detenzione, è diventata esecutiva, e il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila ha deciso che Gigi dovrà scontarla ai domiciliari, senza neanche la possibilità di recarsi al lavoro. Potrà uscire solo dalle 10 alle 11 per fare la spesa, ma non si sa con quali soldi se un lavoro non lo ha più, e ricevere visite dai carabinieri a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Questa decisione, profondamente ingiusta, è chiaramente una vendetta e un monito dello Stato, nei confronti di chi, come Gigi, non si rassegna a vivere in questo sistema capitalista e imperialista e continua a lottare per rovesciarlo.

Allo Stato, che vorrebbe isolare e umiliare Gigi, rispondiamo che la solidarietà è la nostra arma e che la lotta per un mondo migliore non si arresta!

LIBERTÀ PER GIGI! LA SOLIDARIETÀ NON SI ARRESTA!

Soccorso rosso proletario