azioni, denunce e richieste di aiuto. Dal carcere arrivano sulla scrivania del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della Liguria “Siamo rinchiusi come bestie, nella saletta il tavolo è rotto e non ci sono neanche le sedie. Nessuno sa cosa farsene di noi”. È solo una riga della lunga lettera firmata da un detenuto del carcere di Marassi spedita a Doriano Saracino, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della Liguria. Non è la prima e non sarà sicuramente l’ultima: dall’inizio dell’anno sono state 53, alcune scritte dalla stessa persona.
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Richieste d’aiuto, denunce, difficoltà: i messaggi dei detenuti sono tutti diversi e arrivano da tutte le carceri della Liguria. Così, tra una lettere e l’altra, c’è chi denuncia le condizioni del penitenziario tra sovraffollamento e la muffa, e chi invece racconta della paura della vita dopo il penitenziario, senza futuro o prospettive.
Nelle lettere stati d’animo, segnalazioni, denunce e richieste di aiuto
“Per favore aiutatemi, conoscete la mia situazione”
Le lettere raccontano storie intime, dolori, speranze ma anche relazioni. Saracino e il suo ufficio risponde a tutti: “Una soluzione unica, uguale per tutti, non c’è. Leggiamo e nella maggior parte dei casi, quando è possibile, ci muoviamo” spiega il garante. “Vediamo se è possibile la presa di contatto con gli operatori che possono occuparsi del detenuto al momento della scarcerazione, oppure andiamo a fare un colloquio con la persona che ha chiesto determinate incontri con noi, se ci sono elementi che meritano di essere approfonditi lo facciamo e se ci sono dei riscontri significativi, in certi casi ci sono già stati in passato degli esposti alla magistratura per dei fatti che abbiamo ritenuto gravi seguiamo l’iter”.
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“Rispondiamo anche laddove non è semplice rispondere. A volte non c’è molto che si possa concretamente fare ma è importante che le richieste che arrivano a noi non vengano considerate messaggi infilati in una bottiglia, del tipo: se arriva qualcuno bene, se non arriva si è perso. Anche questo non è facile perché l’ufficio non ha una grande struttura, siamo in pochi e le richieste sono tante”.
L’anno scorso sono state più di 330 i detenuti incontrati dal garante
“Siamo come leoni in gabbia. Non c’è una palestra, non c’è niente, solo uno schifo”
Alle lettere infatti, si sommano le e-mail e le telefonate di parenti o di persone che da semilibere possono comunicare direttamente con loro, più tutte le richieste di persone che incontrano durante le visite nelle carceri. Lo scorso anno sono state 330 le persone incontrate in carcere del garante, numero a cui si deve sommare anche quelle incontrate nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) e le detenzioni domiciliari. Oltre al tempo e alle risorse, c’è il peso psicologico di un lavoro fondamentale: “Ci si confronta spesso con il dolore, con il fallimento, sia della società che delle persone. Il mio approccio – continua Saracino – è ‘fallirò ancora, ma fallirò meglio’: sapere che nella vita le cadute ci sono, ma che si può cambiare e migliorare sempre è l’unico modo per mantenere l’ottimismo e la fiducia davanti a tutti questi drammi. È un modo per resistere culturalmente a un clima che in qualche modo insiste nel dire che per queste persone occorre gettare via la chiave”.
“Bisogna lavorare per far si che la pena abbia un senso”
“Se vogliamo buttare via la chiave non dimentichiamoci che queste persone anche con la “chiave buttata” prima o poi usciranno, perché la pena termina. E allora la domanda che pongo è: come vogliamo che escano? La risposta a questa domanda è collegata all’altra domanda: come vogliamo che stiano dentro? Non quanto stiano dentro e per cosa ma come. La verità è che per far si che la pena abbia un senso, occorre che ci siano delle condizioni minime rispettate, che spesso non ci sono, ma soprattutto anche qualcosa in più: corsi di formazione professionale, housing sociale e tutte le iniziative che insieme a tanti enti stiamo cercando di mettere in atto in questi anni”.
GENOVA 24






La campagna di solidarietà dal basso e di sensibilizzazione nei confronti del partigiano palestinese Anan Yaeesh, da 18 mesi rinchiuso nel carcere di Terni, sta riscontrando un notevole successo. In circa una settimana, nel conto dei Cobas Confederazione di Terni, sono stati raccolti 2.270 € per Anan, che serviranno a garantirgli le cure a cui ha diritto, lo studio all’università, l’appoggio materiale e solidale di cui ha bisogno.
Nei giorni scorsi ad alcuni giovani attivisti di Torino è stato notificato un faldone di circa 250 pagine che, su richiesta della Questura di Torino, ha avviato un’indagine nei confronti di decine di giovani rispetto ai quali la Procura ha chiesto misure cautelari che vanno dal divieto di dimora, agli arresti domiciliari fino alla custodia cautelare in carcere.
“La cassiera del supermercato mi guarda, negli occhi.. e mi chiede come va.
Giovedì scorso, 17 luglio, gli agenti della Questura di Roma “Divisione Investigazioni Generali – Operazioni Speciali. III sezione antiterrorismo interno” si sono presentati a casa di Gabriele Rubini alle 7:00 di mattina e, dopo aver perquisito l’abitazione, hanno sequestrato tutti i suoi telefoni e altri strumenti di comunicazione.