Caso Cospito: 10 condanne per corteo Milano, pene fino a 4 anni e 7 mesi

Oggi a Milano la sentenza di primo grado del processo per il corteo dell’11 febbraio 2023, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo e a sostegno dell’anarchico Alfredo Cospito. 11 le persone imputate, con richieste fino a 6 anni. I giudici hanno disposto 10 condanne, da 1 anno e 6 mesi a 4 anni e 7 mesi, e un’assoluzione per – a vario titolo – resistenza aggravata, danneggiamento e travisamento.

A nove degli imputati non sono state riconosciute le attenuanti generiche. Le motivazioni della sentenza saranno depositate in 90 giorni. Gli avvocati Eugenio Losco, Mauro Straini, Iacopo Fonte, Margherita Pelazza e Benedetto Ciccarone avevano chiesto anche assoluzioni perché non si può confondere “qualche scritta sul muro, lancio di gavettoni o piccolo danneggiamento” con la “guerriglia urbana” e perché non si può definire “criminale” chi “combatte contro qualcosa che ritiene completamente ingiusto” come il “41 bis” e le sue “assurde implicazioni”.

COMUNICATO
Stamattina si è concluso il primo grado del processo per il corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito dell’11 febbraio 2023. Corteo che ad un certo punto era stato bloccato e poi caricato dalla polizia in seguito al tentativo delle persone di restare in strada e proseguire. Dopo alcuni momenti di scontro e un fitto lancio di lacrimogeni, il corteo era stato inseguito e caricato più volte dalla polizia per alcuni chilometri.
Nonostante i lacrimogeni, le manganellate, le violenze costanti della polizia, nonostante la tortura sistematica nei confronti de* prigionier* al 41 bis e in generale nelle galere, a pagarne il prezzo è ancora una volta chi prova a mettersi di traverso e a lottare per una società migliore.
Il primo grado del processo finisce infatti con pene per tutte le persone imputate (tranne un’assoluzione) che vanno da 1 anno e 6 mesi a 4 anni e 7 mesi. Come se non bastasse, il tentativo di compagn* in aula di leggere un comunicato è stato represso con una carica da parte dei carabinieri.
È “solo” il primo grado, certo, ma la nostra fiducia nella giustizia dei tribunali è nulla e sono sentenze molto pesanti, sostenute da accuse che parlano per l’ennesima volta un linguaggio che non ci appartiene, ed etichetta alla stregua di terroristi persone che decidono di mettere la propria vita contro le ingiustizie di questo schifo di mondo.
Oggi ci sarà una manifestazione in solidarietà con chi oggi è stat* condannat* e con tutte le persone prigioniere.

L’APPUNTAMENTO È ALLE 19.00 ALLE COLONNE DI SAN LORENZO A MILANO.
INVITIAMO A PARTECIPARE PER FAR SENTIRE LORO TUTTA LA SOLIDARIETÀ DI CUI HANNO BISOGNO!

18 giugno a L’Aquila, nuovo presidio al tribunale per la liberazione di Anan Yaeesh

18 GIUGNO – L’AQUILA, TRIBUNALE: QUINTA UDIENZA CONTRO ANAN, ALI E MANSOUR
Il 18 giugno, presso il Tribunale dell’Aquila, si terrà la quinta udienza del processo contro Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di terrorismo. A essere messi sotto accusa non ci saranno solo i tre imputati: di fronte alla Corte verrà trascinato l’intero popolo palestinese, e con esso il suo diritto alla resistenza e alla liberazione.
 
“Sig. giudice, lei parla di terrorismo e accusa la resistenza palestinese di essere terrorista: con quale diritto? Quale legge rende terrorista chi difende la propria terra? Come può la vittima essere un carnefice ai suoi occhi, e l’oppresso un oppressore?”
 
Queste parole di Anan Yaeesh interrogano ogni aula in cui la giustizia si piega all’ordine coloniale. Ed è in questo processo esemplare che si rivela con chiarezza la complicità dell’Italia e, più in generale, dell’Occidente nella criminalizzazione di un popolo intero.
 
Un processo segnato fin dall’inizio da gravi forzature e da una sistematica compressione del diritto alla difesa, che rende evidente la funzione politica assunta da questo tribunale:
 
– sono state ammesse come prove a carico le cosiddette “confessioni” ottenute sotto tortura dallo Shin Bet nelle carceri israeliane, ritenute utilizzabili fino all’esclusione ottenuta in seguito al ricorso della difesa;
 
– su 47 testimoni proposti dalla difesa, solo 3 sono stati ammessi e relativi a un solo imputato. Esclusi tutti coloro che avrebbero potuto offrire un contesto utile a comprendere i fatti ad eccezione di Martina Lovito, la volontaria italiana aggredita dai coloni israeliani nel 2024, che però non potrà riferire sull’aggressione subita;
 
– Anan Yaeesh si è visto negare il diritto di leggere in italiano la propria dichiarazione spontanea: la sua voce è stata affidata a un’interprete che ne ha restituito una traduzione confusa e distorta, cancellandone il significato politico;
 
– la calendarizzazione delle udienze risponde all’urgenza di chiudere rapidamente il procedimento con una condanna: quattro intere udienze ai testimoni dell’accusa, mezza udienza soltanto a quelli della difesa e alle dichiarazioni degli imputati.
 
Nel calendario già fissato, l’ultima udienza, quella in cui verrà pronunciata la sentenza, è prevista per il 10 luglio.
 
Come ha dichiarato al Manifesto l’avvocato Rossi Albertini:
 
“questa corte lede non poco il diritto alla difesa. Per dire, non avremo nemmeno a disposizione le trascrizioni di quello che succede in aula perché non c’è il tempo per farle”.
 
La Resistenza non si processa e non si condanna!
LIBERTA’ PER ANAN
VIVA LA RESISTENZA PALESTINESE