Dichiarazione di Anan Yaeesh all’udienza del 16 aprile, manteniamo alta l’attenzione su un processo profondamente ingiusto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, dal Laboratorio Sociale Largo Tappia, la dichiarazione spontanea di Anan Yaeesh all’udienza del 16 aprile (quella del 2 è rimasta imprigionata in una traduzione fedele ad Israele piuttosto che alla testimonianza di Anan):

“Oggi non parlo della causa palestinese, ma parlo di altre cose, perché avete chiesto che non dobbiamo fare entrare la politica nell’aula di tribunale. Però io credo che siamo qua per una decisione politica, e non giuridica”

[Il giudice interrompe, ripetendo ossessivamente che in aula si prendono solo decisioni giuridiche e costringendo l’avvocato a intervenire. La difesa fa notare che in una dichiarazione spontanea dell’imputato, non c’è la possibilità di un confronto con la Corte. La Corte può non apprezzare quello che intende dire l’imputato, ma lo deve lasciar parlare, poi magari potrà motivare in ordine a quello che dice l’imputato. Ma non può contestare quello che pensa l’imputato. Il giudice interrompe ripetutamente anche la difesa, chiedendo se anch’essa la pensa come l’imputato, e l’avvocato risponde giustamente che nel c.p.p. non è ancora previsto l’esame del difensore. “Poi lo controlliamo, ma penso di no” è la risposta con cui il giudice finalmente si tace, prima di ridare la parola ad Anan]

“Io sono qua per un motivo politico, perché non ho commesso alcun reato contro la legge italiana in Italia. Però rispetto la decisione di non far entrare la politica dentro l’aula di tribunale. Perché voi usate la politica per giudicarmi, perché se volete giudicarmi secondo la legge italiana dovete considerare tutti i documenti e tutti gli atti della comunità internazionale che voi riconoscete. E dovete considerare che tutti gli enti internazionali riconoscono che nelle prigioni israeliane si pratica la tortura e le regole dei diritti umani non vengono rispettate.

Però non avete preso in considerazione tutto questo. Avete preso invece in considerazione la relazione politica tra il governo italiano e il governo israeliano.

Signor giudice, voi non mi avete dato il diritto di difendermi. La stessa cosa succede nei tribunali di Israele.

Avete preso in considerazione i testimoni dell’accusa e invece non avete preso in considerazione la mia testimonianza. Il procuratore ha usato dei documenti stranieri contro di me, però avete rifiutato i documenti che ho presentato io e avete deciso di non sentire i testimoni che ho proposto io, questo contro la legge in Italia. E mettete fretta quando parlo io, e mettete fretta anche quando parla la mia difesa.

Non volete darci il tempo che ci serve per parlare, come se, dopo l’udienza, io tornassi alle isole Maldive e non in carcere. Questo perché avete fretta di finire la causa invece di applicare la giustizia.

Sento di essere tanto oppresso, sento che sto subendo una grande ingiustizia in questo tribunale. Come se fossi in un tribunale finto, come successo in Francia contro gli algerini o come avviene in un tribunale militare in Israele

Se quello che sento è giusto, significa che la mia condanna è già decisa. Allora emettete la vostra condanna! Non è necessario fare tutte queste udienze, così sconto quello che devo scontare in prigione tutto il tempo.

Se invece questo tribunale rispetta la democrazia e rispetta i vostri diritti come umani, e se abbiamo il diritto come gli altri popoli di vivere in libertà, allora dovete darmi i miei diritti come essere umano, perché abbiamo già subito abbastanza oppressione dai vostri amici israeliani.

Dovete lasciarci in pace! Viva la resistenza palestinese, fino alla libertà!

 

Giornata dei prigionieri palestinesi 2025: lotta per la liberazione contro il genocidio imperialista-sionista

Da Samidoun

Il 17 aprile si celebra la Giornata dei Prigionieri Palestinesi, la giornata internazionale annuale dedicata alla lotta e alla liberazione dei palestinesi detenuti; quest’anno, il 2025, si celebra la seconda Giornata dei Prigionieri Palestinesi, nel pieno del crescente genocidio sionista-americano perpetrato contro il popolo palestinese, in particolare nella Striscia di Gaza e in tutta la Palestina occupata. Celebrata dal 1974, la Giornata dei Prigionieri Palestinesi mette in luce la lotta dei prigionieri politici palestinesi dietro le sbarre sioniste, la loro leadership nella resistenza e nella rivoluzione in corso, e sottolinea la richiesta costante della piena liberazione di tutti i prigionieri palestinesi, una componente necessaria per la liberazione della Palestina dal fiume al mare. 

Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network si unisce al movimento dei prigionieri palestinesi, al movimento di liberazione e alle voci che chiedono giustizia in tutto il mondo per sollecitare azioni e organizzazione in occasione della Giornata dei prigionieri palestinesi del 2025, ovunque nel mondo, come parte di un’escalation globale per porre fine al genocidio a Gaza ora.

Dal 1948, almeno un milione di palestinesi sono stati imprigionati dall’occupazione, appartenenti a tutti i settori della società, e in particolare alle classi popolari nei campi profughi, nei villaggi e nelle città della Palestina. Non c’è quasi nessuna famiglia palestinese che non sia stata toccata dal sistema di prigionia coloniale dell’occupazione. Ogni prigioniero palestinese è un padre, una madre, un figlio, una figlia, uno zio, una zia, un cugino, un amico, una persona amata. L’occupazione cerca di isolarli dalle loro famiglie, comunità e persone, e di fatto dal movimento palestinese, arabo e internazionale, dietro le sbarre, e la sfida per noi è fare tutto il possibile per rompere questo isolamento, stare al fianco dei prigionieri e della resistenza e costruire la lotta per la liberazione della Palestina di fronte alla repressione, alla criminalizzazione e all’assalto imperialista. 

Le prigioniere come Haneen Jaber e Shatila Abu Ayyad , gli studenti come Amr Kayed e Karmel Khawaja, gli operatori sanitari come il dottor Hussam Abu Safiya , i leader del movimento come Ibrahim Hamed , Ahmad Sa’adat , Mahmoud al-Ardah e Marwan Barghouti : la vita e il futuro di ognuno di loro sono preziosi. La resistenza palestinese e il popolo, in particolare a Gaza, continuano a sopportare il peso del genocidio per ottenere la propria liberazione – e la liberazione di tutta la Palestina dal dominio coloniale sionista e imperialista. In questa Giornata dei Prigionieri Palestinesi, tra l’Alluvione di Al-Aqsa e l’Alluvione dei Liberi, è il momento per il nostro movimento globale di intensificare la lotta, di abbattere i muri delle prigioni, di schierarsi con la resistenza in difesa della Palestina e dell’umanità e di agire per porre fine al regime sionista, ai suoi sostenitori imperialisti e ai loro flussi di armi e distruzione che mantengono in atto il genocidio.

Chiediamo la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri sioniste, nelle carceri imperialiste e in quelle dei regimi arabi reazionari e dell’Autorità Nazionale Palestinese, che continuano ad assediare la resistenza mentre questa difende il popolo palestinese che lotta per la propria stessa esistenza.

Situazione attuale dei prigionieri palestinesi

La prigionia è sempre stata un’arma del colonialismo in Palestina. Dai colonizzatori britannici che hanno represso le rivolte palestinesi attraverso incarcerazioni di massa, demolizioni di case ed esecuzioni – e che per primi hanno imposto la “legge d’emergenza” della detenzione amministrativa usata oggi contro i palestinesi – ai colonizzatori sionisti che per 77 anni hanno imposto al popolo palestinese un sistema di occupazione, apartheid, criminalizzazione, razzismo e espropriazione, i colonizzatori della Palestina hanno imprigionato combattenti, leader, combattenti e visionari. La prigionia colpisce tutti i settori del popolo palestinese: lavoratori, combattenti, insegnanti, giornalisti, medici e operatori sanitari, contadini e pescatori; da Gerusalemme, dalla Cisgiordania, dalla Striscia di Gaza, dalla Palestina occupata del ’48; rifugiati nei campi all’interno della Palestina e in tutto il mondo – milioni di persone a cui è stato negato il diritto al ritorno, mentre coloro che si organizzano e resistono possono essere perseguitati e imprigionati nelle carceri arabe reazionarie e imperialiste internazionali.

Attualmente, circa 9.900 palestinesi sono incarcerati dal regime di occupazione sionista, inclusi quasi 3.500 detenuti in detenzione amministrativa, ovvero senza accusa né processo, in base a un “dossier segreto” rinnovabile a tempo indeterminato, con palestinesi regolarmente incarcerati per anni in base a questi ordini arbitrari. Tra questi, si contano anche 400 bambini prigionieri, 29 donne prigioniere e 200 palestinesi provenienti dalla Palestina occupata del ’48. Questi numeri, tuttavia, non rivelano l’entità della detenzione e dell’incarcerazione attualmente utilizzate contro i palestinesi rapiti da Gaza dalle forze genocide d’invasione. Mentre 1.000 palestinesi di Gaza furono liberati dalla Resistenza nello scambio di prigionieri di Toufan al-Ahrar , un numero imprecisato resta prigioniero in varie prigioni e nei famigerati campi di tortura come Sde Teiman e Anatot, istituiti allo scopo di imprigionare i palestinesi di Gaza nelle circostanze più gravi; almeno 1.555 palestinesi di Gaza sono noti alle organizzazioni dei prigionieri perché tenuti prigionieri dal regime sionista.

I prigionieri palestinesi subiscono torture sistematiche e routinarie, abusi, negazione di cure mediche, fame, aggressioni sessuali, fisiche e psicologiche, nonché la privazione e la violazione dei loro diritti più elementari. Per essere chiari, ogni diritto ottenuto dai prigionieri palestinesi non è stato concesso loro dal regime sionista, ma è stato ottenuto attraverso la lotta e la leadership del movimento dei prigionieri palestinesi, attraverso scioperi della fame e azioni organizzate. Per anni, la confisca di queste conquiste è stata una priorità centrale del regime sionista e una piattaforma per i “leader” fascisti del progetto sionista, da Gilad Erdan a Itamar Ben-Gvir. 

I martiri del movimento dei prigionieri

Parallelamente all’estrema escalation del genocidio a Gaza, agli sfollamenti di massa e al furto di terre in Cisgiordania, e al continuo attacco al popolo palestinese ovunque nella Palestina occupata, in esilio e nella diaspora, il regime sionista ha condotto un’aggressione totale contro i prigionieri palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, durante il periodo dell’alluvione di Al-Aqsa e nel mezzo del genocidio a Gaza, almeno 64 palestinesi sono stati martirizzati all’interno delle prigioni di occupazione. Questo numero non è esatto perché il regime di occupazione si rifiuta sistematicamente di divulgare informazioni sullo status dei palestinesi rapiti a Gaza. 

Tra i martiri del movimento dei prigionieri palestinesi degli ultimi 18 mesi figurano i seguenti:

  • Omar Daraghmeh 
  • Arafat Hamdan
  • Majed Ahmed Zaqoul
  • Abdel-Rahman Al-Bahsh
  • Atta Yousef Hasan Fayyad
  • Zuhair Omar Sharif
  • Raja Ismail Samour
  • Walid Abdel-Hadi Hamid
  • Abdel-Rahman Mar’i 
  • Dott. Iyad Al Rantisi
  • Thaer Samih Abu Assab
  • Faraj Hussein Hasan Ali
  • Hamdan Hassan Anaba
  • Hussein Saber Abu Obeida
  • Ali Abdullah Suleiman Al-Houli
  • Arafat Al-Khawaja
  • Mohammed Ahmed Al-Sabbar
  • Mohammed Abu Sneineh
  • Ahmed Rizq Qudaih
  • Izz al-Din Ziad Al-Banna
  • Asif Abdel-Mu’ti Al-Rifai
  • Khaled Musa Jamal Al-Shawish
  • Majed Hamdi Ibrahim Sawafiri
  • Ahmed Abdel Marjan Al-Aqqad
  • Jumaa Abu Ghanima
  • Dott. Ziad Mohammed Al-Dalou
  • Wafa Amin Mohammed Abdelhadi
  • Kamal Hussein Ahmad Radi
  • Walid Nimr Daqqah
  • Fathi Mohammed Mahmoud Jadallah
  • Abdel-Rahim Abdel-Karim Amer
  • Dott. Adnan Al-Bursh
  • Karim Abu Saleh
  • Ismail Abdel-Bari Khader
  • Mohammed Sharif Al-Assali
  • Omar Abdelaziz Junaid
  • Adnan Ashour
  • Islam Al-Sarsawi
  • Lo sceicco Mustafa Abu Ora
  • Nasr el-Din Ziyara
  • Kifah Dabaya
  • Ayman Rajeh Issa Abed
  • Zaher Tahsin Raddad
  • Mohammed Munir Musa
  • Walid Ahmed Khalifa
  • Samir Mahmoud Al-Kahlout
  • Moath Khaled Rayyan
  • Anwar Aslim
  • Sceicco Samih Suleiman Muhammad Aliwi
  • Munir Abdullah al-Faqaawi
  • Yassin Munir al-Faqaawi
  • Mohammed Abdel-Rahman Idris
  • Mohammed Anwar Labad
  • Alaa Marwan Hamza al-Mahlawi
  • Mohammed Walid Hussein Al-Aref
  • Mohammed Rashid Saeed Al-Akka
  • Ashraf Mohammed Abu Warda
  • Motaz Mahmoud Abu Zneid
  • Musaab Hani Haniyeh
  • Ali Ashour Ali Al Batsh
  • Tayseer Sababa Abou Al Saeed
  • Khalil Haniyeh
  • Ayman Abdel-Hadi Qudaih
  • Mohammed Yassin Jabr
  • Raafat Adnan Abu Fannouneh
  • Khaled Mahmoud Qassem Abdallah
  • Walid Khaled Ahmad
  • Musaab Hassan Adili
  • Ci sono almeno altri due lavoratori martiri di Gaza i cui nomi non sono stati resi noti.

I seguenti prigionieri rilasciati furono uccisi quasi subito dopo il loro rilascio a causa delle torture e della negazione delle cure mediche oppure, nel caso di Kazem Zawahreh, dopo lo scambio di prigionieri, quando fu riportato in un ospedale palestinese in coma.

  • Rami Attiya Jumaa Abu Mustafa
  • Farouk Ahmed Issa Khatib
  • Kazem Issa Zawahreh

Il martirio dei prigionieri palestinesi testimonia le molteplici forme di abuso da parte del regime sionista, tra cui la negazione di cure mediche, gravi torture fisiche e sessuali, fame e malnutrizione, accompagnate dalla negazione di visite familiari e legali, impedendo qualsiasi sorveglianza esterna dei maltrattamenti subiti dai palestinesi imprigionati. La prigionia dei palestinesi è sempre stata una forma di “uccisione lenta”, dato il ricorso sistematico alla negligenza medica da parte dell’occupazione; tuttavia, è chiaramente aumentata fino a far parte della politica di assassinio sionista che prende di mira il popolo palestinese, con esempi come Walid Daqqah , lo scrittore palestinese, combattente per la libertà e intellettuale rivoluzionario che fu martirizzato il 7 aprile 2024 dopo la deliberata negazione di cure mediche appropriate o del suo necessario rilascio; e Mohammed Walid Hussein Ali al-Aref del campo di Nour Shams a Tulkarem, martirizzati il ​​4 dicembre 2024 dopo essere stati rapiti dalla loro casa e picchiati, nell’ambito degli attacchi alla resistenza a Tulkarem, Jenin e Tubas. Il loro martirio è stato una forma di assassinio e persecuzione, mirata a estrometterli dal contesto politico e sociale palestinese. 

Più di recente, il bambino prigioniero palestinese-brasiliano Walid Khaled Ahmed di Silwad, 17 anni, uno dei “cuccioli” e dei “fiori” del movimento dei prigionieri, ragazzi e ragazze imprigionati rapiti dalle loro case durante violente incursioni notturne, privati ​​dell’istruzione e sottoposti a tortura, è stato martirizzato nelle prigioni sioniste, con il corpo che mostrava chiari segni di fame, malnutrizione, scabbia e infezioni causate dalla fornitura di cibo non igienico; il regime di occupazione si è rifiutato di refrigerare il cibo durante il giorno, durante il mese sacro del Ramadan. 

Quasi tutti i corpi dei prigionieri martirizzati continuano a essere trattenuti dall’occupazione, insieme a centinaia di corpi di martiri palestinesi che sono stati deliberatamente trattenuti dall’occupazione per decenni, dall’iconica combattente Dalal al-Mughrabi al martirizzato Sheikh Khader Adnan allo scrittore della rivoluzione Walid Daqqah . La prigionia dei corpi dei martiri ha lo scopo di imporre una punizione collettiva alle famiglie e alle comunità che amavano, a cui è proibito di dire loro addio, nonché un tentativo di tenerli in ostaggio per ottenere concessioni dalla resistenza palestinese in uno scambio di prigionieri. 

Prigionieri palestinesi e resistenza

Naturalmente, la Giornata dei Prigionieri Palestinesi non solo commemora le orribili esperienze di tortura e abusi subite dai palestinesi incarcerati, ma celebra anche la loro leadership e il loro impegno nella resistenza palestinese. Il movimento dei prigionieri palestinesi risale all’epoca della colonizzazione britannica della Palestina (anche il periodo che introdusse la detenzione amministrativa in Palestina), quando i prigionieri della resistenza palestinese al colonialismo britannico e sionista venivano incarcerati e giustiziati. I prigionieri hanno sviluppato poesia, musica, arte e organizzazione politica, resistenza e tenacia dietro le sbarre, dai primi campi di lavoro forzato sionisti durante la Nakba alle istituzioni organizzate del movimento dei prigionieri nell’era moderna della rivoluzione palestinese.

Nelle celle e nelle tende, i prigionieri palestinesi hanno dato vita a un movimento che ha trasformato le prigioni sioniste in scuole rivoluzionarie. Non è un caso che generazioni di leader della resistenza e della rivoluzione palestinese abbiano trascorso anni nelle carceri sioniste insieme ai loro compagni, e che l’entità sionista cerchi costantemente di tenerli in isolamento, isolati dal loro popolo, dal movimento di resistenza globale e dalla sua culla popolare internazionale. 

Ogni organizzazione politica palestinese ha sviluppato solide organizzazioni all’interno delle carceri, dove i quadri leggono insieme, sviluppano il proprio pensiero e sviluppano la propria capacità di azione strategica e organizzata. I leader della rivoluzione e della resistenza palestinese dietro le sbarre, tra cui Ahmad Sa’adat , Marwan Barghouti , Abdullah Barghouti , Ibrahim Hamed , Hassan Salameh , Bassem Khandakji e Abbas al-Sayyed , continuano non solo a simboleggiare la leadership nella lotta e la fermezza nella resistenza nelle circostanze più impossibili, ma a guidare attivamente la causa palestinese e la resistenza globale e completa.

Il leader martirizzato Yahya Sinwar ha scritto di questo fenomeno nel suo romanzo, “La spina e il garofano”, scritto e pubblicato mentre stava scontando quattro ergastoli nel carcere di Bir al-Saba nel 2003, descrivendo gli eventi della grande Intifada popolare:

La prigione si trasformò in un’accademia per l’insegnamento della cultura e delle arti dell’Intifada. In una tenda si tenne una sessione sulla storia della causa palestinese; in un’altra, una sessione sulle scienze della sicurezza e sui metodi di interrogatorio; in una terza, una discussione sulla giurisprudenza del jihad e del martirio. Si tennero corsi di alfabetizzazione, corsi di calligrafia araba e altro ancora. I giovani entrarono in prigione analfabeti e ne uscirono dopo sei mesi in grado di leggere e scrivere, dotati di varie competenze necessarie per la loro causa.

Gruppi di amici in diverse zone o moschee pianificavano le loro attività per il rilascio, promettendo di continuare e sviluppare l’Intifada… La prigione del Negev, che ospitava decine di migliaia di detenuti, si trasformò in una vera e propria accademia. Ondate di giovani vi entrarono e si diplomarono, studiando, maturando esperienza e scambiandosi conoscenze.

I prigionieri palestinesi rimangono la bussola della lotta, che punta verso la liberazione e il ritorno, e la loro liberazione è così urgente ed essenziale per il popolo palestinese che rimangono una priorità assoluta della resistenza palestinese, innescando operazioni volte a garantire uno scambio di prigionieri. È stato dimostrato ripetutamente che l’unico modo in cui i palestinesi possono effettivamente garantire la liberazione dei loro prigionieri è effettuare uno scambio con l’occupazione, catturando soldati e coloni sionisti e trattenendoli come prigionieri di guerra della Resistenza. 

Più recentemente, 1777 prigionieri palestinesi sono stati liberati nello scambio di Toufan al-Ahrar, nell’ambito della prima fase del cessate il fuoco a Gaza, le cui fasi successive il regime sionista si è rifiutato di attuare, raggiunto dalla Resistenza palestinese. Tra questi, centinaia di prigionieri condannati all’ergastolo e a pene detentive lunghe, che hanno espresso il loro amore e la loro ammirazione per il popolo di Gaza e la Resistenza, per gli immensi sacrifici e il dolore patiti nella battaglia per la liberazione dei prigionieri e di tutta la Palestina. 

In questo momento, in cui il regime sionista, gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste in Gran Bretagna, Francia, Germania, Canada – per non parlare dei regimi reazionari arabi da loro sponsorizzati e alleati, come Egitto ed Emirati Arabi Uniti – chiedono il disarmo della resistenza, è chiaro che sono solo le armi della resistenza ad aver liberato i prigionieri, i torturati e gli oppressi dalle prigioni dell’occupante.

Ogni attacco alle armi della resistenza è un attacco ai prigionieri palestinesi e al popolo palestinese nel suo complesso, una richiesta che le loro armi legittime e il loro diritto alla lotta armata, tutelato sia dal diritto internazionale che dai principi fondamentali dell’umanità, vengano consegnati al fine di consentire a un progetto di insediamento imperialista e illegittimo imposto sulla loro terra per completare il suo genocidio. In realtà, è proprio questa entità illegittima che dovrebbe essere spogliata del suo armamento – spesso ottenuto dagli Stati Uniti e dai loro alleati imperialisti – e i suoi funzionari ritenuti responsabili dei loro vasti crimini contro l’umanità. Solo le armi della resistenza, dalla Palestina al Libano allo Yemen, supportate dalle armi popolari, dal boicottaggio all’azione diretta, della culla popolare regionale e internazionale della resistenza, possono garantire quel futuro di giustizia. 

Sottolineiamo inoltre l’importanza di liberare i prigionieri palestinesi incarcerati dall’Autorità Nazionale Palestinese a Ramallah per il loro ruolo nella resistenza all’occupazione. Mentre il regime sionista assedia, espelle i rifugiati palestinesi e distrugge le case a Jenin, Tulkarem, Tubas, Nablus e in tutta la Cisgiordania della Palestina occupata, centinaia di palestinesi sono stati rapiti, torturati e rimangono imprigionati dall’ANP, tra cui leader studenteschi, attivisti sociali, combattenti della resistenza e persino persone che hanno organizzato manifestazioni in onore del martire Sayyed Hassan Nasrallah o hanno partecipato allo sciopero globale per Gaza di inizio aprile. L’incarcerazione di organizzatori e combattenti palestinesi fa parte del ” coordinamento per la sicurezza ” con il regime sionista e di una forma di collaborazione diretta con il nemico in un periodo di genocidio, e va di pari passo con gli sforzi dell’ANP per privare le famiglie dei prigionieri palestinesi del sostegno finanziario e sostituirlo con enti di beneficenza privatizzati.

La lotta internazionale per liberare i prigionieri del sionismo e dell’imperialismo

In occasione della Giornata dei Prigionieri Palestinesi, riaffermiamo la dichiarazione del 2022 dei prigionieri palestinesi nelle carceri di occupazione, in solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari dell’imperialismo: “La nostra lotta di liberazione è stata e rimane parte integrante della lotta internazionale contro le forze del colonialismo, dell’imperialismo, del sionismo e della reazione. Di conseguenza, rendiamo omaggio a tutti i prigionieri politici del mondo, alla lotta del movimento di liberazione nero in America, alla lotta dei popoli indigeni per l’autodeterminazione e la liberazione, e a tutte le forze di liberazione del mondo, e chiediamo il rafforzamento del rapporto tra questi movimenti e tutte le comunità palestinesi in esilio e nella diaspora”.

Che la Giornata dei prigionieri palestinesi sia anche un’occasione per chiedere la liberazione di tutti i prigionieri della causa palestinese, della lotta di liberazione e della resistenza detenuti nelle prigioni degli stati imperialisti e reazionari: Georges Ibrahim Abdallah , il comunista arabo libanese che ha lottato per la Palestina, incarcerato per 40 anni in Francia e in attesa della libertà a lungo negata; Anan Yaeesh , insieme ad Ali Arar e Mansour Doghmosh, perseguitati in Italia in un nuovo assalto alla resistenza palestinese; i Filton 18 e tutti i prigionieri della Palestine Action nelle prigioni britanniche, incarcerati per un’azione diretta volta a fermare la macchina da guerra; Ghassan Elashi e Shukri Abu Baker degli Holy Land Five , che stanno scontando una pena di 65 anni nelle prigioni federali degli Stati Uniti per aver fornito sostegno caritatevole alla Palestina; Mahmoud Khalil, Rumeysa Ozturk, Badar Khan Suri, Mohsen Mahdawi, Yunseo Chung, Leqaa Kordia e i quattro studenti internazionali in Germania imprigionati dai funzionari imperialisti dell’immigrazione per aver parlato a favore della Palestina, e tutti coloro che sono stati incarcerati, repressi e criminalizzati per il loro impegno per la liberazione.

In questa occasione, ribadiamo la richiesta di eliminare le ” liste delle organizzazioni terroristiche ” delle potenze imperialiste, utilizzate quasi esclusivamente per reprimere i movimenti di liberazione globali, separare gli esuli e la diaspora dal loro popolo in lotta, criminalizzare la legittima resistenza armata secondo il diritto internazionale e demonizzare la parola e l’organizzazione per la liberazione palestinese e la lotta antimperialista. È da tempo che si dovrebbe chiedere l’immediata rimozione di Hamas, della Jihad islamica palestinese, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, di Hezbollah e di AnsarAllah da queste “liste del terrore”. Queste organizzazioni sono impegnate nell’autodifesa, nella liberazione nazionale e servono di fatto come guardiani dell’umanità contro il genocidio imperialista-sionista. 

Allo stesso tempo, la stessa Samidoun è stata bandita, designata, sanzionata ed etichettata dal regime sionista, dalla Germania, dal Canada e dagli Stati Uniti – con la richiesta da parte di organizzazioni fasciste e sioniste di estendere tale azione in Belgio, Paesi Bassi, Francia e altrove – nel tentativo di minare il sostegno popolare alla Resistenza in Palestina e in tutta la regione, di diffondere paura e terrore attraverso la divulgazione e la pubblicità del movimento dei prigionieri palestinesi e della Resistenza che esso guida e organizza, e di indebolire il crescente movimento globale per porre fine al genocidio e ottenere la liberazione della Palestina dal fiume al mare. Stanno tentando di distruggere la culla popolare internazionale emergente della resistenza attraverso la criminalizzazione, la repressione e la prigionia, ed è nostra responsabilità impegnarci a essere all’altezza dell’esempio di fermezza dato quotidianamente dal movimento dei prigionieri palestinesi nelle condizioni più orribili. 

In occasione della Giornata dei Prigionieri Palestinesi 2025, esortiamo tutti ad agire, a mobilitarsi, a organizzarsi per la liberazione dei prigionieri palestinesi e per la liberazione della Palestina; a difendere le armi della resistenza e l’inestinguibile diritto e volontà di resistere; e a respingere la politica del terrore di stato delle potenze imperialiste, opponendoci chiaramente alle designazioni di “terrorismo” e sostenendo le forze della resistenza che difendono l’umanità dal genocidio. La liberazione dei prigionieri palestinesi è parte integrante della liberazione della terra e del popolo palestinese dal colonialismo sionista, e della nazione araba e della regione dall’imperialismo. Ogni giorno, i prigionieri palestinesi lottano dietro le sbarre, proprio come il popolo palestinese affronta il genocidio; in questo giorno, costruiamo la culla popolare internazionale della resistenza, finché ogni prigioniero non sarà liberato e finché la Palestina non sarà libera, dal fiume al mare.

L’Aquila, 16 aprile: prosegue il processo politico contro Anan, Ali e Mansour

Si è tenuta ieri, 16 aprile, la seconda udienza in Corte d’Assise contro Anan, Ali e Mansour, accusati di terrorismo per il presunto appoggio e sostegno alla resistenza in Palestina. Nella scorsa udienza, nonostante il GUP le avesse rigettate, la Corte d’Assise ha ammesso nel fascicolo del processo italiano alcuni interrogatori israeliani. Nell’udienza di oggi, la difesa ha presentato una ricerca giudiziaria con l’obiettivo di dimostrarne l’inammissibilità. La Corte si è riservata di decidere nel merito alla prossima udienza, il 7 maggio, e l’udienza dibattimentale vera e propria sarà il 21 maggio.

Qui il commento dell’avvocato Flavio Rossi Albertini sull’udienza odierna.

“70mila palestinesi uccisi, non “morti”, Giudice, non ti puoi sbagliare”

Al processo erano presenti una quarantina di compagni e compagne, tra dentro l’aula e fuori del tribunale in presidio.
Anan era presente in videoconferenza, e ha rilasciato anche oggi una dichiarazione.
Anche oggi l’accusa e il presidente della Corte, evidentemente molto infastiditi anche da recenti articoli apparsi sulla stampa italiana internazionale, hanno continuato a sostenere che la decisione del tribunale sarà giuridica, non politica. E quando Anan stava per rilasciare una dichiarazione, hanno provato a contestare questo prima ancora che aprisse bocca, quasi a voler imporgli, come hanno provato a fare anche il 2 aprile con l’interprete egiziana che travisava le sue parole, cosa dovesse dire. Lo stesso atteggiamento ha avuto il giudice con la difesa: quando l’avvocato Rossi Albertini ha obbiettato che non potevano impedire che Anan si esprimesse liberamente, il presidente della corte, Romano Gargarella, ha accusato anche l’avvocato di fare di questo processo un caso politico, tant’è che alla domanda del difensore: “Perché, è previsto l’esame dell’avvocato? Il codice di procedura penale non credo che ancora lo preveda”, il giudice Gargarella ha risposto: “poi lo controlliamo ma penso di no”. E questo è un segnale che deve preoccuparci molto, e che richiama alla mente le persecuzioni del regime fascista turco o indiano, ma anche israeliano, degli avvocati dei prigionieri politici.
Di seguito il report, più dettagliato, della Casa del Popolo di Teramo:
QUESTO È UN PROCESSO POLITICO
Oggi all’Aquila è proseguito il processo contro Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. E ancora una volta, ciò che si è consumato in aula non è stato solo uno scontro fra tesi giuridiche, ma una vera e propria epurazione del contesto. La Corte continua a ripetere, con ostinazione quasi rituale, che questo non è un processo politico. Che si tratta di un procedimento tecnico, neutro, asettico.
Eppure, tutto il dispositivo messo in campo – dalla selezione dei testimoni all’ammissione di prove ottenute senza garanzie, fino alla gestione della parola – tradisce l’esatto contrario: la volontà di giudicare politicamente, senza riconoscere la natura politica di ciò che si giudica.
Anche oggi Anan ha preso parola. Con lucidità e coraggio, ha riportato la Corte all’essenziale:
“Signor giudice, perché non mi date il diritto di difendermi? Il procuratore usa documenti contro di me, ma voi rifiutate quelli che io ho presentato. Mi interrompete quando parlo, mettete fretta a me e alla mia difesa. È come se, una volta finita quest’udienza, io dovessi andare alle Maldive e non tornare alla mia cella in questo carcere ”.
“Io sono qui [in carcere] per motivi politici. Non ho fatto nulla contro l’Italia. Voi dite che questo non è un processo politico, ma siete voi a usare la politica per giudicarmi. State usando atti israeliani, di un paese che non rispetta i diritti umani, e rifiutate le prove che parlano della nostra storia e della nostra resistenza.”
“Voi state continuando l’oppressione che ha compiuto Israele su di noi [popolo palestinese].Sento che stiamo subendo una grande ingiustizia. Questo processo somiglia sempre di più ai tribunali francesi contro gli algerini.”
Durante l’udienza sono stati ascoltati alcuni periti tecnici, tra cui quello balistico. Il perito ha riferito che l’“arma” mostrata in una fotografia dei tre imputati era in pessime condizioni, non funzionante e facilmente reperibile in commercio. Alla domanda su che materiale fosse fatta, la risposta è stata secca:
Plastica.
Una delle colonne portanti della narrazione dell’allarme terroristico – quella della minaccia armata, della pericolosità militare – si è così sgonfiata sotto il peso della perizia: era un fucile giocattolo. Un’arma di plastica.
E allora, giustamente, ci si chiede: su cosa si fondano queste accuse di terrorismo? Su un giocattolo postato in una foto? Su post pubblicati anni fa sui social, che raccontavano l’esistenza di allora? Su queste tre vite che si vogliono strappare al proprio contesto, come se chi ha vissuto in Palestina fino al 2016 potesse parlare di sé come se fosse cresciuto altrove, in un mondo che non conosce occupazione militare, rastrellamenti, umiliazioni quotidiane?
La vita in un territorio occupato non è una parentesi: è una condizione politica concreta, quotidiana, che non può essere rimossa. Ignorarla non significa essere imparziali, ma prenderne parte. È contribuire, anche solo con l’apparente oggettività del diritto, a quel processo di spossessamento che toglie ai popoli occupati persino la possibilità di raccontarsi a partire da sé.
È diventare parte, consapevole o no, di un’oppressione che si regge sulla pretesa di raccontare l’altro svuotandolo della sua storia, della sua realtà, del suo diritto, imprescindibile, alla resistenza.
È fare del tribunale uno strumento dell’occupazione, mentre si continua a ricoprire questa violenza con la vuota retorica degli Stati democratici, con la grammatica stanca e rituale della legalità liberale.
Da una lettera di Anan arrivata a una compagna di srp ieri:
“Cara, sapevo che la corte mi avrebbe attaccato fin dal primo minuto, come in Israele, nessuna differenza. Ma io sono contento che sia successo perché vorrei che tutti lo vedessero e imparassero come ci trattano in tutto il mondo.
Ma non temere, non siamo finiti e verrà il giorno in cui noi saremo i giudici e avremo il potere nelle nostre mani.
Cara amica Gia, auguro tutto il meglio a te e a tutti gli amici là fuori. “

Abusi in divisa: “Malapolizia”, la prima mappatura online delle morti per mano delle forze dell’ordine

MALAPOLIZIA-def

Quante sono, in Italia, le persone morte durante fermi, controlli o altre operazioni condotte dalle forze dell’ordine?
Al netto dei casi più eclatanti, è difficile dirlo perché, a differenza di altri paesi europei, in Italia le autorità si sono sempre rifiutate di rendere disponibili questi dati.

Per provare a far luce sulla situazione, “colmare il vuoto istituzionale sul tema e favorire un dibattito a proposito degli abusi in divisa”, il giornalista Luigi Mastrodonato ha ideato Malapolizia, la prima mappatura online dei decessi occorsi in Italia durante le operazioni condotte delle forze dell’ordine. Una mappatura, in continuo aggiornamento, che in molti paesi dell’Unione europea è già realtà, anche in rispetto alle prescrizioni dell’Onu.

“Dal 2000 a oggi sono circa 70 i decessi rilevati – scrive sui propri profili social Mastrodonato –  un numero enorme in confronto alle poche storie diventate di dominio pubblico, come quelle di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi. Molti dei decessi riguardano persone di origine straniera, sintomo del problema già più volte denunciato anche a livello internazionale della profilazione razziale delle forze dell’ordine italiane”.

Il progetto – che si basa sull’analisi di articoli di giornale, battaglie legali e mobilitazioni sociali – coinvolge realtà e associazioni che si occupano da tempo di abusi in divisa, ma lascia volutamente da parte le morti sospette nelle carceri, offrendo uno strumento di analisi specifica “proprio mentre aumenta la stretta repressiva dell’attuale governo”.

Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Luigi Mastrodonato, giornalista esperto di carcere e abusi di potere, collaboratore di Internazionale e altre testate, nonché ideatore di Malapolizia Ascolta o scarica

CORTE DI GIUSTIZIA O CORTE DEGLI AMICI? 16 aprile alle ore 9:30 Presidio davanti al Tribunale dell’Aquila

Mercoledì 16 aprile, alla vigilia della giornata del prigioniero palestinese, si terrà a L’Aquila la seconda udienza del processo “italiano” contro Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di terrorismo per il loro presunto sostegno alla resistenza palestinese in Cisgiordania, contro l’occupazione militare israeliana.

Il virgolettato non è casuale, ma è significativo di un processo sommario, degno di uno stato sionista, e non, come l’Italia continua a definirsi, di uno “Stato di diritto, democratico e sovrano”.

Siamo davanti a un processo contro la resistenza e l’esercizio del diritto all’autodeterminazione dei popoli, riconosciuto anche dal diritto internazionale, ma che il sistema giudiziario italiano vuole condannare sotto l’infima accusa di “terrorismo”, legittimando invece la violenza imperialista e coloniale agita sotto gli occhi di tutti dall’alleato israeliano, e che in queste ultime settimane si è fatta ancora più aggressiva e sanguinaria, con un bilancio di 1.522 martiri e 3.834 feriti dal 18 marzo di quest’anno e solo a Gaza.

Un processo che non è un atto di giustizia, ma mera farsa, destinata ad emettere una sentenza già scritta, come d’altronde si evince dall’articolo sul Messaggero di oggi, dal titolo “Terrorismo palestinese investigatori promossi”.

Un processo che è una condanna preordinata, perché si negano ai palestinesi gli strumenti per difendersi in aula e si legittimano crimini di guerra e tortura, utilizzando come prove i verbali degli “interrogatori” dello Shin Bet, che associazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e Addameer denunciano da anni per l’uso sistematico della tortura su prigionieri palestinesi, interrogati senza difesa legale, sotto legge marziale, deportati nelle carceri israeliane e detenuti in condizioni disumane. Del resto è la stessa Corte Costituzionale israeliana, e quindi il governo israeliano amico dell’Italia, a consentire la pratica della tortura esentando da ogni responsabilità gli agenti dei servizi segreti.

Prove” ottenute da crimini di guerra e contro l’umanità, che i legali dei tre palestinesi imputati non potranno neanche contestare, perché la Corte di Assise dell’Aquila ha deciso di affidare la ricostruzione dei fatti, che si sarebbero svolti in Cisgiordania, alla sola Digos dell’Aquila, e di privare la difesa di testimoni e consulenti fondamentali, ammettendone solo 3, di scarsa o nulla rilevanza, e riferiti ad un solo imputato, con ciò violando anche la Costituzione italiana, art. 24 e 111, che garantisce il diritto alla difesa e a un giusto processo.

Non solo, anche la scelta dell’interprete, egiziana, sembra stata studiata per negare ad Anan il diritto alla difesa e più in generale di parlare della questione palestinese. Quando Anan ha chiesto di far leggere al suo avvocato la traduzione italiana della sua dichiarazione spontanea gli è stato risposto che non serviva e che bastava metterla agli atti. Quando allora ha deciso di leggerla lui è stato frequentemente interrotto dalla Corte (come del resto gli avvocati) e le sue parole travisate da una traduzione non proprio fedele.

A coronamento del tutto la direttiva della digos, che ha imposto al personale di vigilanza di non far entrare dentro bandiere palestinesi anche se indossate o in borsa, e la serie di udienze fissate a distanza ravvicinata, con una media di due al mese per logorare e scoraggiare la solidarietà.

Ma la vera vittima di questo processo è la verità, e quindi la giustizia. Come è possibile che in un Tribunale italiano, dove si processano tre palestinesi per fatti che sarebbero avvenuti in Palestina non si debba parlare di Palestina? Come è possibile che nei futuri libri di storia del nostro paese non si dovrà parlare della storia dei paesi che abbiamo oppresso e continuato a opprimere come paese imperialista? Come è possibile che con gli odierni mezzi di informazione venga legittimato e normalizzato un genocidio proprio da chi, con quei mezzi ogni giorno trae profitti accusando di terrorismo un popolo vittima del terrorismo?

Mentre nelle nostre TV si trasmettevano le immagini pompose dei reali britannici sbarcati in Italia per “rinsaldare l’amicizia” tra stati guerrafondai, in tre giorni sono state filmate e diffuse via social scene orribili di violenza a Gaza, tra corpi scaraventati in aria dalla furia dei bombardamenti israelo-americani, al personale paramedico giustiziato dalle forze israeliane dopo un agguato, per finire, si fa per dire, con un giornalista palestinese bruciato vivo nella tenda dove stava lavorando. Si chiamava Ahmed Mansour, ed è stato il 257° giornalista ucciso da Israele dal 7 ottobre 2023 (https://stopmurderingjournalists.com/).

Ieri è stato rilasciato dopo 10 anni di prigionia Ahmed Manasra. Aveva 13 anni quando i coloni e l’esercito israeliano lo hanno investito e pestato quasi a morte prima di arrestarlo, sottoponendolo poi a duri interrogatori in assenza dei genitori o degli avvocati, sotto costanti minacce, urla e privazioni del sonno. Un video degli interrogatori e tutta la sua storia sono visibili su questo link (https://palinfo.com/news/2025/04/10/947175/). In tutti questi anni ha potuto stringere il dito di sua madre una sola volta dopo il suo arresto, ed è stato tenuto in costante isolamento. E’ uscito dal carcere visibilmente denutrito, con numerose cicatrici alla testa per i traumi cranici riportati in seguito ai pestaggi e conseguenze devastanti a livello psicologico, come schizofrenia, deliri psicotici e grave depressione accompagnata da pensieri suicidi (da un rapporto pubblicato da Amnesty International il 21 giugno 2022).

Si può ancora definire Israele uno stato democratico? E con quale faccia tosta la Corte di Assise dell’Aquila si appella al principio di “reciproca fiducia tra Stati” (Italia/Israele) per giustificare l’ammissibilità nel processo di prove ottenute da crimini di guerra e contro l’umanità?

Come Slai Cobas per il sindacato di classe facciamo appello a tutti i lavoratori e le lavoratrici, ma in primo luogo a quelli della stampa italiana, a denunciare questi crimini e a condannarli, perché raccontare la verità è il primo passo verso la libertà.

Facciamo inoltre appello ad essere presenti alla prossima udienza, mercoledì 16 aprile dalle ore 9:30, non solo perché anche questa volta saremo in presidio insieme a varie realtà solidali con la Palestina, ma perché, ora più che mai, è necessario rendere una testimonianza onesta di quanto sta accadendo al Tribunale dell’Aquila.

Comunichiamo inoltre che saremo presenti alla manifestazione nazionale a Milano del 12 aprile contro il genocidio in Palestina e la complicità del governo italiano nel genocidio e nella repressione della resistenza palestinese.

Al fianco di Anan, Ali e Mansour

LA RESISTENZA NON SI ARRESTA!

LA RESISTENZA NON SI PROCESSA!

Slai Cobas per il sindacato di classe, aderente al soccorso rosso proletario

L’Aquila, 11/04/2025

Ddl Sicurezza, il governo forza la mano: un decreto al posto del disegno di legge

Da Osservatorio Repressione

Il ddl sicurezza (ex 1660 ora 1236) verrà sostituito da una decretazione di urgenza, senza le necessarie richieste garantite dalla Costituzione. Il provvedimento dovrebbe approdare già venerdì 4 aprile sul tavolo del Consiglio dei ministri.

Il governo prova a forzare la mano sul ddl Sicurezza e bypassare (per ora) le Camere. Il tanto contestato disegno di legge, approvato lo scorso settembre alla Camera e ora in discussione al Senato, dovrebbe tornare di nuovo a Montecitorio perché negli scorsi giorni la commissione Bilancio di Palazzo Madama ha rilevato problemi sulle coperture finanziarie di sei articoli.

Il condizionale è d’obbligo perché, da quanto si apprende, la maggioranza di centrodestra starebbe pensando di trasformare il disegno di legge in un decreto ad hoc, che dovrebbe approdare già domani – 4 aprile – sul tavolo del Consiglio dei ministri. Tra le principali modifiche ci saranno l’eliminazione dell’obbligo di differimento pena per le detenute madri e il divieto per le persone migranti di acquistare SIM telefoniche. Inoltre, verrà introdotto anche un scudo penale per le forze dell’ordine, escludendo sanzioni disciplinari automatiche nei casi di “legittima difesa”.

Che, tradotto, significa che il nuovo provvedimento potrebbe entrare immediatamente in vigore, riuscendo così a schivare le lungaggini dell’iter parlamentare. E il ddl, così, potrebbe finire su un binario morto.

Un decreto legge che limiterà ulteriormente l’organizzazione delle lotte, il dissenso e attaccherà la democrazia nelle sue fondamenta.

Il comunicato della Rete Liberi di lottare – Fermiamo il DDL 1660

IL DDL 1660 DIVENTA UN DECRETO LEGGE

A quel che si sa, in queste ore il governo Meloni sta apprestando un colpo di mano da situazioni di emergenza bellica.

La maggioranza non è riuscita ad approvare il DDL ex-1660 “sicurezza” entro l’autunno e nel totale silenzio dellepiazze, come avrebbe voluto. Questo perché abbiamo rotto questo silenzio, dando il via ad una campagna di denuncia del suo contenuto liberticida e da stato di polizia, attivandoci per fermarne il cammino. In conseguenza di ciò, anche nella avvocatura e nella magistratura, finanche nelle stesse istituzioni parlamentari, si sono levate voci di dissenso.

Davanti a queste difficoltà e al rischio di un ulteriore slittamento dei tempi, il governo ha deciso di premere sull’acceleratore, preparando un decreto legge – già domani potrebbe essere portato in consiglio dei ministri – che assorbe gran parte del disegno legge 1236 (ex 1660) ora fermo in Senato in vista della discussione e della approvazione.

All’indomani della criminale decisione della Commissione von der Leyen di lanciare un faraonico piano di riarmo da 800 miliardi di euro, c’era da aspettarselo. E forse non è solo una coincidenza che oggi il boia Netanyahu venga accolto in Europa con tutti gli onori: la sua ferocia genocida contro i palestinesi piace ai governanti europei che programmano la loro guerra interna contro quanti/e intendono battersi, e si batteranno, contro la corsa ad un nuovo apocalittico conflitto militare globale inter-imperialista.

Rispondiamo a questo colpo di mano da stato di guerra con l’immediata denuncia in tutte le città e i luoghi di lavoro, moltiplicando le iniziative, dando la massima forza a quelle già previste: la settimana di mobilitazione sui territori del 5/12 aprile; le giornate di sciopero generale dell’11 aprile, indetto dal SI Cobas; la manifestazione nazionale contro guerra, genocidio, DDL-“sicurezza” a Milano il 12 aprile, indetta dalle associazioni palestinesi e da molti organismi, tra cui la nostra Rete.

La lotta, ora, diventa più dura: mobilitiamoci ed organizziamoci contro guerra, riarmo, genocidio, decreto sicurezza. Rafforziamo un fronte anti capitalista contro governo Meloni, Ue, Nato!