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Archivio mensile:Novembre 2024
Quante persone muoiono in custodia o durante operazioni di polizia in Europa?
Violenza delle forze dell’ordine. Tra il 2020 e il 2022, 13 paesi dell’Unione europea hanno registrato almeno 487 decessi di persone, avvenuti in custodia o a seguito di operazioni delle forze dell’ordine. La Francia ha i numeri più alti in termini assoluti, seguono Irlanda, Spagna e Germania. L’Italia non ha fornito i dati. La maggior parte dei paesi Ue non rispetta i criteri dell’Onu per indagare sui decessi in custodia.
Ter García, Adrián Maqueda, Carmen Torrecillas – CIVIO (Madrid) -Traduzione di Marianna Leporini
“Ho urlato ‘Mio figlio è malato, ha bisogno di aiuto’. Non mi hanno ascoltato, sono venuti a ucciderlo”, racconta Momtaz Al Madani. Il 30 maggio 2018, il figlio ventisettenne di Momtaz, Yazan Al Madani, in preda a un episodio psicotico, si è messo a urlare sul balcone della sua casa a Rotterdam, con un coltello in mano. Il padre ha chiamato la polizia e poco dopo sono arrivati alcuni agenti armati di pistole, scudi, taser e cani.
Per cominciare i poliziotti hanno fatto attaccare Yazan dai cani, poi lo hanno colpito con due scariche elettriche, e infine gli hanno sparato. Yazan è morto poco dopo. L’anno successivo, la Procura olandese ha deciso di non accusare gli agenti coinvolti, sostenendo che avevano agito per legittima difesa. Dal 2022 la Corte europea dei diritti dell’uomo indaga sulla morte di Yazan Al Madani.
Tra il 2020 e il 2022, si sono verificati quasi 500 decessi in custodia o a seguito di interventi delle forze dell’ordine nei 13 paesi dell’Ue che hanno pubblicato o fornito i dati. La Francia ha i numeri più alti in termini assoluti: tra il 2020 e il 2022 ha registrato 107 decessi avvenuti in custodia o a seguito di operazioni di polizia. Seguono Irlanda, Spagna e Germania, rispettivamente con 71, 66 e 60 morti.
Tuttavia, se si prendono in considerazione i decessi in base alla popolazione (morti pro capite), è l’Irlanda ad avere il tasso più alto: 1,34 decessi ogni 100mila abitanti durante il periodo indicato, rispetto allo 0,14 della Spagna o allo 0,06 del Portogallo. Il numero effettivo di decessi in realtà è più elevato i dati forniti da alcuni paesi sono incompleti.
“Quando si fanno paragoni con altre giurisdizioni, è importante tenere presente la definizione e la classificazione di questi eventi spiacevoli, che variano significativamente da un paese all’altro”, dice il Garda Síochána Ombudsman (il Difensore civico) incaricato della polizia nazionale in Irlanda
Nel 1991 l’Onu ha raccomandato agli stati di pubblicare i dati sui decessi correlati agli interventi della polizia. Il Portogallo ha iniziato a pubblicare tali informazioni nel 1997, la Danimarca nel 2012 e la Francia solo nel 2018. I Paesi Bassi riportano solo i casi indagati dalla Procura, l’Irlanda solo quelli su cui ha investigato l’Ombudsman, mentre l’Agenzia di medicina forense della Svezia riporta le morti attribuite a qualsiasi attività di polizia, e la sue forze dell’ordine segnalano quelle dovute a sparatorie della polizia. Infine, gli agenti della polizia slovena rendono pubblico il numero di decessi causati da azioni di polizia. Gli altri paesi dell’Ue non forniscono regolarmente tali informazioni.
Nel 2023, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha richiesto a tutti i paesi i dati sui decessi in custodia, cioè quelli verificatisi durante l’arresto, la custodia preventiva, e il carcere. A seguito di ciò, il Consiglio d’Europa ha confermato la mancanza di dati e sottolineato che non esistono una definizione e una metodologia comuni tra i vari paesi dell’Unione europea su cosa si intenda per “morti in custodia” e su come debbano essere indagate.
“In Francia è ancora una sorta di tabù parlare della violenza della polizia, perché non appena accusi la polizia, allora sei contro la polizia”, afferma Ivan du Roy, giornalista a Basta!, un giornale di informazione indipendente, nonché il primo ad aver raccolto informazioni sistematiche sui decessi avvenuti in custodia e a seguito di operazioni di polizia. Il database di Basta risale al 2014 e copre il periodo dal 1977 al 2022, l’Ispettorato generale della polizia ha iniziato a pubblicare informazioni solo nel 2018.
Controle Alt Delete, un’organizzazione dei Paesi Bassi che si occupa di indagare i casi di morti avvenuti in custodia o a causa di interventi della polizia dal 2016: “L’iniziativa è nata dopo esserci resi conto che, nel 2015, la Procura e la polizia non avevano pubblicato i dati inerenti”, dichiara Jair Schalkwijk, avvocato e cofondatore dell’organizzazione. Schalkwijk sottolinea che, in precedenza, la Procura pubblicava solo i rapporti sull’uso delle armi da parte degli agenti di polizia e il numero di decessi conseguenti. “Abbiamo costretto il governo a riportare tutti i casi di decessi collegati alla polizia”, aggiunge. In Germania e Svezia, invece, il governo continua a raccogliere solo i dati sulle morti provocate da sparatorie di polizia.
Le principali vittime: migranti e persone con disturbi mentali
Dei 13 paesi che hanno riportato i dati sui decessi tra il 2020 e il 2022, l’Ungheria ha fornito informazioni sulla nazionalità dei deceduti in tutti i casi, mentre Austria, Repubblica Ceca, Germania e Spagna solo per alcuni. Complessivamente, questi paesi hanno fornito dati sulla nazionalità per 55 dei 487 decessi segnalati in quei tre anni, e metà di queste persone erano straniere.
Mathieu Rigouste, sociologo francese ed esperto delle questioni legate a polizia e sicurezza, collega questa concentrazione di morti tra le popolazioni migranti alla storia coloniale di paesi come Regno Unito, Spagna e Francia: “I crimini della polizia si concentrano sui proletari non bianchi”, afferma Rigouste. Adama Traoré, nato in Francia da genitori maliani, rappresenta un caso emblematico: nel 2016 è stato arrestato a Beaumont-sur-Oise, vicino Parigi, ed è morto durante la custodia della polizia. “Traoré era un proletario nero che viveva in un quartiere periferico, e che è stato perseguito, catturato e strangolato dalla polizia. È stato trattato come un criminale prima dalla polizia e poi dai media e dai politici”, spiega Rigouste.Il caso di Traoré, per Rigouste, “è esemplare, perché possiamo ritrovare la maggior parte dei dispositivi che vengono usati nella catena punitiva” in Francia, aggiunge.
Anche la malattia mentale svolge un ruolo importante. La maggior parte delle amministrazioni pubbliche a cui ci siamo rivolti non ha fornito informazioni specifiche su questo aspetto. Solo Danimarca, Spagna, Francia e Germania hanno confermato che il deceduto aveva problemi di salute mentale o era in “stato di agitazione” in 43 casi.
I rapporti olandesi più recenti non includono dati su eventuali problemi di salute mentale dei deceduti. Tuttavia, un rapporto precedente commissionato dal governo olandese sulle morti avvenute tra il 2016 e il 2020, prende in considerazione questo aspetto e riporta informazioni su 40 delle 50 persone decedute in quel periodo, e tra queste, 28 erano affette da malattie mentali. I dati raccolti da Controle Alt Delete sono ancora più sconvolgenti. Dal 2015, l’organizzazione ha monitorato 105 morti, e circa il 70 per cento dei deceduti soffriva di una qualche forma di malattia mentale.
Uno di questi casi è quello di Yazan Al Madani, morto nei Paesi Bassi nel 2018 e citato sopra. Al Madani era arrivato in Olanda un anno prima dalla Siria come rifugiato: il suo arrivo nel paese è stato difficile. Per i primi otto mesi non ha avuto accesso a cure psichiatriche, successivamente l’amministrazione olandese ha respinto la sua richiesta per i medicinali di cui aveva bisogno per l’alloggio e il ricongiungimento con la moglie, anche lei siriana. “L’hanno lasciato per strada senza niente: niente soldi, niente moglie, niente casa, niente cure mediche… niente”, racconta il padre, anche lui arrivato nei Paesi Bassi come rifugiato. “L’hanno ucciso mille volte prima di ucciderlo davvero”.
Nel settembre del 2024, il Comitato dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità ha segnalato ai Paesi Bassi e al Belgio il numero elevato di persone con disabilità decedute mentre erano sotto la responsabilità delle forze dell’ordine. Il comitato ha quindi raccomandato a entrambi i paesi di migliorare la formazione dei loro agenti di polizia.
La principale causa di morte: le ferite da arma da fuoco
Le ferite da arma da fuoco inferte dagli agenti sono la principale causa delle morti avvenute in custodia o durante interventi di polizia. Nei paesi che hanno fornito informazioni sulle cause di queste morti, tra il 2020 e il 2022, più di un terzo dei decessi era dovuto a ferite da arma da fuoco. Sono decedute almeno 98 persone. 41 in Francia e 27 in Germania.
Secondo Basta!, in Francia, il numero di morti causate da sparatorie di polizia, ha iniziato ad aumentare nel 2017. In quell’anno, una riforma della legge sulla pubblica sicurezza, ha allentato le restrizioni sull’uso di armi da fuoco da parte degli agenti di polizia.
I decessi per sparatorie di polizia non sono gli unici. Le forze dell’ordine a volte uccidono usando armi apparentemente non letali, come i taser, che in alcuni casi vengono impiegati seguendo protocolli che contraddicono le raccomandazioni del produttore, ad esempio quando sono utilizzati contro persone in stato di agitazione.
Tra il 2020 e il 2022, abbiamo identificato almeno otto casi di decessi dovuti all’uso di taser, quattro in Germania, tre nei Paesi Bassi e uno in Francia, e in cinque di questi casi il deceduto era malato di mente o agitato. Inoltre, nello stesso periodo, è avvenuto almeno un altro decesso a causa della violenza della polizia. La Polizia regionale catalana, i Mossos d’Esquadra, ha ucciso Antonio, residente a Badalona, con sei colpi di taser. Il dipartimento degli interni catalano ha riferito che in questa operazione di polizia è stata utilizzata un’arma, ma non ha specificato che si trattava di una pistola taser, il che significa che potrebbero esserci altri casi simili che non sono stati registrati ufficialmente.
Nella nostra indagine, la seconda causa di morte più ricorrente è quella di morte “naturale”, con 55 decessi registrati tra il 2020 e il 2022. Si tratta di un termine generico utilizzato soprattutto dalla Spagna, che ha riportato 27 casi di morti naturali, spesso senza ulteriori informazioni sul contesto in cui si sono verificate.
Nel 2018, anche la morte di Stephan Lache, avvenuta in Spagna durante la custodia, è stata classificata come “naturale” dal ministero dell’interno. Gli agenti della polizia nazionale spagnola avevano arrestato Lache alle quattro del mattino e lo avevano portato in una stazione di polizia di Madrid. Nel rapporto della polizia si legge che Lache aveva un atteggiamento aggressivo e si era auto lesionato, per cui la polizia aveva chiamato il servizio di emergenza medica. Le immagini registrate dalle telecamere della stazione di polizia mostrano come tre operatori sanitari e due agenti di polizia lo afferrino per fargli un’iniezione. Il giorno dopo, gli agenti di polizia lo hanno trovato morto in cella.
Arrestato per stato di ebbrezza, è morto in carcere
In molti altri decessi classificati come morti “naturali”, il deceduto mostrava uno stato di intossicazione da droga e alcol. In Irlanda, essere ubriachi in uno luogo pubblico è reato. I dati dell’Ombudsman irlandese sui decessi in custodia o provocati dalla polizia non specificano se i deceduti fossero ubriachi. Tuttavia, nel 2022 l’Ombudsman irlandese ha formulato una serie di raccomandazioni, non vincolanti, volte a prevenire i decessi in custodia.
In Finlandia, anche il ministero dell’interno non ha fornito dati annuali, ha confermato a Civio che 16 dei decessi verificatisi tra il 2013 e il 2023 sono stati causati da intossicazione da droga e alcol. “Il consumo di droga e alcol è stato almeno uno dei fattori che ha contribuito ai decessi in più della metà dei casi”, scrive il dipartimento di polizia del ministero dell’interno finlandese, aggiungendo che la polizia tende a portare le persone ubriache alla stazione di polizia, “anche quando sono calme e non recano alcun disturbo all’ordine pubblico o alla sicurezza”. Il ministero, che sta cercando di incoraggiare gli agenti di polizia ad abbandonare questa prassi, afferma: “Al posto dei servizi di polizia, avrebbero bisogno di un monitoraggio sanitario”.
La polizia finlandese ha messo in atto alcune misure per prevenire tali morti, come una maggiore formazione per gli agenti, l’installazione di ulteriori telecamere di sorveglianza e l’uso della tecnologia per monitorare le funzioni vitali dei detenuti.
Tra il 2020 e il 2022, abbiamo individuato almeno 43 casi di suicidio avvenuti sotto la custodia della polizia. La maggior parte di questi si è verificata in Spagna, Francia e Danimarca, ma in altri paesi, sebbene il numero di persone e decessi correlati alla polizia sia inferiore, la maggior parte delle morti in custodia è rappresentata dai suicidi. La Lettonia ha riportato cinque decessi in custodia avvenuti tra il 2020 e il 2022, e altri due nel 2023, tutti per impiccagione. L’Ungheria ha segnalato sei decessi, quattro dei quali per impiccagione. In Germania, nessuno stato ha riportato casi di suicidio. Solo uno di essi, la Baviera, sottolinea che tali morti non vengono incluse nei rapporti se non sono state precedute da misure coercitive adottate dagli agenti.
Dati ancora insufficienti
Nonostante l’Onu abbia raccomandato ai paesi di rendere pubblico il processo di indagine sui decessi correlati alle forze di sicurezza, nella maggior parte dei casi le informazioni relative a queste indagini non sono sufficienti. L’Austria afferma che si è limitata alle autopsie. “In tutti i casi, è stato effettuato un esame medico e un successivo rapporto è stato inviato al pubblico ministero. Poiché in nessuno dei casi sono stati riscontrati segni di colpevolezza da parte di terzi, il pubblico ministero non ha avviato alcuna misura investigativa”, dichiara il ministero degli interni austriaco.
Il rapporto annuale della Procura olandese sui decessi attribuiti alle operazioni di polizia comprende solo i casi su cui è stata svolta un’indagine. Tuttavia, Controle Alt Delete attesta che ogni anno c’è sempre qualche caso che non ottiene giustizia.
Dal 2010, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato i paesi dell’Ue 236 volte per non aver indagato su possibili casi di tortura o maltrattamento e altre 157 volte per non aver indagato su decessi, correlati alla polizia o ad altri contesti. La Romania, che si è rifiutata di fornire dati sulle morti connesse con la polizia, ha 79 condanne per non aver indagato su possibili casi di maltrattamento e tortura e altre 60 per decessi, compresi quelli di cinque persone uccise durante una manifestazione antigovernativa.
La Bulgaria e l’Italia, che anch’esse si sono rifiutate di fornire dati per la nostra indagine, hanno rispettivamente 57 e 33 condanne per violazioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Nella maggior parte dei casi, le amministrazioni pubbliche non hanno nemmeno fornito dati sulle conseguenze penali o lavorative per gli agenti di polizia coinvolti nei decessi. Hanno riportato tali dati per 97 dei 487 casi registrati tra il 2020 e il 2022. Di questi, l’unico caso in cui l’amministrazione ha confermato l’incarcerazione degli agenti responsabili è avvenuto nel Paese Basco, in Spagna. In 84 casi indagati, i poliziotti coinvolti non hanno subito alcuna conseguenza. In tre casi le indagini sono ancora in corso.
I dati pubblicati dalla Procura olandese non includono informazioni sulle conclusioni delle indagini, ma Controle Alt Delete ha richiesto dettagli su ciascun caso. “Sappiamo che dal 2016 a oggi, nel 6% dei casi, gli agenti coinvolti sono stati perseguiti, principalmente a seguito di decessi avvenuti durante incidenti stradali”, sostiene Schalkwijk. In uno di questi casi, gli agenti sono stati puniti rispettivamente con 200 e 240 ore di servizi sociali, mentre in un altro caso l’agente è stato assolto.
Francesca Barca (Voxeurop) e Maria Delaney (Noteworthy) hanno contribuito a questo articolo.
Con Anan e la resistenza palestinese, contro il DDL 1660 e la complicità del governo italiano nel genocidio e nella repressione: Presidio a Terni il 10 novembre
Perquisizioni continue e immotivate, diniego ad ogni sua legittima richiesta, come una visita medica in carcere o un videocolloquio con un suo familiare in Palestina. Queste le “piccole angherie”, di cui veniamo a conoscenza dal mese di ottobre, con cui l’amministrazione penitenziaria italiana vorrebbe umiliare la resistenza di Anan.
Ma Anan è un combattente, e la sua resistenza travalica i confini e la violenza cui vorrebbe costringerlo l’imperialismo italiano complice dello stato genocida di Israele, equiparando la resistenza al terrorismo e leggittimando l’arbitrio e la violenza di stato nelle carceri, in sintonia col DDL 1660.
Anan saluta e ringrazia anticipatamente quantə saranno al suo fianco e vorranno esprimere solidarietà alla resistenza palestinese anche sotto quelle mura in cui lo hanno rinchiuso.
ADESIONI IN AGGIORNAMENTO: CASA ROSSA, COBAS SCUOLA UMBRIA, COMITATO FREE ANAN, COMITATO PALESTINA L’AQUILA, CONFEDERAZIONE COBAS UMBRIA, SLAI COBAS S.C., COORDINAMENTO CITTADINO DI SOLIDARIETA’ CON LA PALESTINA ROMA, COORDINAMENTO ORVIETANO PER LA PALESTINA, CUB UMBRIA, GPI-GIOVANI PALESTINESI D’ITALIA, INIZIATIVA PER ANAN, SOCCORSO ROSSO PROLETARIO, POTERE AL POPOLO, RIFONDAZIONE COMUNISTA L’AQUILA, RIFONDAZIONE COMUNISTA TERNI, RESISTENZA POPOLARE, SINISTRA ITALIANA L’AQUILA, USB UMBRIA, UDAP – UNIONE DEMOCRATICA ARABO PALESTINESE # MAURIZIO ACERBO, SEGRETARIO NAZIONALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA, PIERO BEVILACQUA, GIA’ DOCENTE DI STORIA CONTEMPORANE A LA SAPIENZA ROMA