Cinque attivisti torinesi fermati in Turchia, manifestavano per il Rojava – info solidale

 

Hanno tra i 22 e i 27 anni. Tra le persone ammanettate anche giovani provenienti da Francia e Germania

Cinque giovani torinesi tra i 22 e i 27 anni sono stati arrestati oggi, 12 ottobre, dalle forze di polizia turche nella città di Sanliurfa (Riha in curdo), dove avrebbero dovuto partecipare a una conferenza indetta dal partito d’opposizione Sinistra Verde (YSP). Gli attivisti piemontesi facevano parte di un gruppo di 14 internazionalisti provenienti anche da Francia e Germania, che erano stati invitati al convegno di condanna della guerra di aggressione turca nel Rojava, in programma il 15 ottobre.

Da quanto si apprende da fonti italiane che sono in contatto con i fermati, in Turchia e in Kurdistan erano in programma altri eventi in diverse città, organizzati anche dal Partito Democratico delle Regioni (DBP) e dal Partito Democratico dei Popoli (HDP).

Sui social circolano i video dei ragazzi che vengono portati via dalla polizia e della vicenda si sta interessando anche l’avvocato Gianluca Vitale (Legal Team Italia): «Abbiamo notizie frammentarie e non conosciamo ancora lo “status” dei fermati. Dovrebbero trovarsi in stato di fermo in un commissariato nel sud della Turchia e nei loro confronti potrebbe essere disposto un provvedimento di espulsione. Al più presto attiveremo anche le autorità diplomatiche».

«Continueremo a gridare ovunque che il Rojava non è solo – hanno detto dall’Ysp – Non ci piegheremo al governo che si nutre di oppressione e massacro. Liberate tutti».

Video qui: https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_ottobre_12/manifestano-per-il-rojava-cinque-attivisti-torinesi-fermati-in-turchia-5956b6e6-d1d4-4a2b-a497-cf1be94d8xlk.shtml

francia – il governo vuole vietare tutte le manifestazioni pro palestina

L’Etat imperialiste et le gouvernement Macron/Darmanin apres la repression des travailleurs en lutte contre la reforme des retraite, apres l’Etat de la violence de la police contre la revolte des jeunes dans le quartier populaires, veut interdire les manifestations propalestioniennes

Gérald Darmanin demande l’interdiction de toutes les « manifestations propalestiniennes », dans un télégramme adressé aux préfets

Les autorités redoutent plus que jamais l’émergence de tensions liées au conflit en France. En cinq jours, la plate-forme Pharos a enregistré le quart des signalements pour provocations à la discrimination raciale, ethnique ou religieuse enregistrés pour l’ensemble de l’année 2022.

Des policiers montent la garde devant une synagogue, à Sarcelles (Val-d’Oise), le 11 octobre 2023.
Des policiers montent la garde devant une synagogue, à Sarcelles (Val-d’Oise),

Jeudi 12 octobre, dans un télégramme adressé à l’ensemble des préfets, le ministre de l’intérieur, Gérald


Darmanin, a rappelé l’impératif d’assurer « une protection systématique et visible de l’ensemble des lieux fréquentés par les Français de confession juive » sous la forme de « points fixes au moment du culte s’agissant des synagogues ou en entrée et sortie s’agissant des écoles », en sollicitant « au maximum » le dispositif « Sentinelle » le cas échéant.

 

« Les auteurs étrangers » d’éventuelles infractions, précise encore le document, « doivent systématiquement voir leurs titres de séjour retirés et leur expulsion mise en œuvre sans délai » et « les manifestations propalestiniennes, parce qu’elles sont susceptibles de générer des troubles à l’ordre public, doivent être interdites ; l’organisation de ces manifestations interdites doit donner lieu à des interpellations ». Au total, 580 sites considérés comme sensibles, écoles confessionnelles, associations cultuelles ou synagogues ont été placés sous une surveillance renforcée de quelque 10 000 membres des forces de l’ordre.

Francia – il governo vieta la manifestazione per georges abdallah sotto la prefettura – info

onsoir camarades,
ce message pour informer que la Préfecture de Paris vient de ne pas autoriser le troisième rassemblement appelé par la Campagne Unitaire dans le cadre du mois international d’actions devant le ministère de l’Intérieur.
En lieu et place, nous appelons à former avec nous un cortège unitaire en soutien à l’héroïque résistance du peuple palestinien et à notre camarade dans le cortège syndical de demain.
Et pour cela, rendez-vous est donné devant la mairie du XIIIe arrondissement à partir de 13h30 pour déployer les drapeaux aux couleurs de la Palestine et ceux à l’effigie de Georges Abdallah.
Coloniser est un crime ! Résister est un droit !
On ne nous fera pas taire !
Gloire à l’offensive de la résistance palestinienne !
Palestine vivra, Palestine vaincra ! Liberté pour Georges Abdallah !

 

Appel au mois international d’actions et à la manifestation de Lannemezan 2023.png

 torture in carcere a Cuneo: una spedizione punitiva alla base dell’inchiesta. – info

 

Informazioni di garanzia per ventitré poliziotti penitenziari del Cerialdo di Cuneo cui si contestano trattamenti dei detenuti “inumani e degradanti”. L’avvocato Ferrero, difensore di uno degli indagati: “Sicuri di poter dimostrare l’assoluta infondatezza degli addebiti”

 

“E’ solo l’inizio“. E’ la frase che si lascia sfuggire un agente del carcere di Cuneo non coinvolto nei fatti che hanno portato all’emissione di ventitré avvisi di garanzia notificati dalla Procura di Cuneo ad altrettanti agenti di Polizia Penitenziaria finiti sotto inchiesta per lesioni, abuso di autorità (608) e tortura contro cinque uomini di origine pakistana ristretti nella casa circondariale del Cerialdo.

I fatti risalgono alla notte tra il 20 e il 21 giugno scorsi, quando secondo l’ipotesi al vaglio degli inquirenti 14 agenti, liberi dal servizio e in abiti civili, sarebbero entrati nella cella 417 interna alla quarta sezione del carcere, padiglione Gesso, dove si trovavano quattro detenuti. Durante la giornata, questi ultimi erano stati protagonisti di una rumorosa protesta, volta a chiedere che il loro vicino di cella, anche lui pakistano, venisse portato in infermeria.

L’insistente richiesta, accompagnata dal continuo rumoreggiare sulle sbarre della cella, non ottenne ascolto. Nella notte, sempre secondo la ricostruzione ora all’esame degli investigatori, gli agenti entrarono in quella cella inizialmente per effettuare una perquisizione, non prevista né programmata.

Nel frattempo portarono il detenuto sofferente in infermeria. Per poi scagliarsi contro i quattro a forza di calci, pugni e schiaffi, rivolgendosi loro con insulti e minacce. Un trattamento che viene descritto come inumano e degradante. I quattro, dopo essere stati picchiati, vennero anch’essi trasferiti in infermeria, dove le violenze però continuarono, così come le minacce e le ingiurie. “Parla adesso pakistano”. “Tu non mi conosci”. “Pakistano di merda, pakistano di merda”.

Dopo la violenza anche l’isolamento, senza alcuna visita medica, obbligatoria in questi casi. I detenuti ebbero, a seguito dei fatti, prognosi tra i 7 e i 15 giorni.

Dai fatti, a seguito, pare, della denuncia da parte del legale di uno dei detenuti picchiati, è scaturita un’indagine interna, che ha portato anche alle perquisizioni domiciliari e al sequestro dei telefoni degli indagati.

 

Sarebbe solo l’ultimo di almeno quattro episodi di violenza, contestati ad altri agenti di Polizia Penitenziaria, che portano il totale degli indagati a 23. Il primo risale all’ottobre del 2021, contestati sempre lesioni, tortura e abuso, così come nell’episodio del 27 dicembre 2021 fino ad arrivare al 5 aprile 2022 e, infine, a quello del 20 giugno, verosimilmente il più grave, che ha portato all’iscrizione degli agenti nel registro degli indagati.

Il procuratore capo di Cuneo Onelio Dodero ha dichiarato: “L’inchiesta è nata da una serie di episodi che hanno allertato la Procura, ma le condotte sono ancora tutte da verificare, infatti non sono state disposte misure cautelari e gli agenti sono tutti in servizio. La Procura ha dovuto muoversi celermente; ora siamo in attesa della pronuncia del Gip per l’eventuale ammissione dell’incidente probatorio”.

A quanto si apprende, c’è un secondo filone di indagine relativo a reati di droga, pare spaccio interno al carcere stesso, che coinvolgerebbe alcuni agenti estranei, invece, agli episodi succitati.

Le torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il racconto del detenuto

La testimonianza nel corso del processo in corso all’aula bunker.

Le foto delle lesioni ma anche i referti medici che le descrivono entrano nel processo per le torture avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 per le quali sono imputate 105 agenti della polizia penitenziaria e 2 medici (questi ultimi accusati di falso).

Gli orrori della stanza zero: “Lì si abbuscava”

E’ quanto accaduto nel corso dell’udienza celebrata all’aula bunker di Santa Maria Capua Vetere dinanzi alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Roberto Donatiello (a latere Honoré Dessi). I pubblici ministeri hanno depositato la documentazione medica relativa ai testimoni Ciro Esposito e Salvatore Quaranta, escussi dalla Procura nelle precedenti udienze (il controesame di Quaranta è in programma mercoledì). Proprio Quaranta ha raccontato in aula i pestaggi avvenuti il 6 aprile durante quella che il gip sammaritano ha definito “orribile mattanza” all’interno del carcere. Calci, pugni, manganellate subiti: “mi hanno scassato di mazzate”, ha detto Quaranta in aula. Non solo. La vittima dei pestaggi ha anche raccontato gli orrori della ‘stanza zero’: “era una stanza dove si abbuscava”, ha chiarito in aula.

Denudati e costretti a fare flessioni

Nel corso dell’udienza è stato escusso il teste Alessandro Marino che, pur con qualche difficoltà, ha confermato il racconto reso agli inquirenti qualche mese dopo i fatti. Tra le circostanze riferite da Marino quella relativa alle flessioni a cui diversi detenuti sarebbero stati costretti. “Ci hanno chiesto di denudarci e di fare le flessioni. Mentre ci spogliavamo ci cominciavano a colpire con manganellate sulla schiena, sulle gambe, nei fianchi, nonché schiaffi e pugni su tutto il corpo”. E ancora. “Tre agenti mi accerchiarono, uno mi manteneva da dietro, uno incitava a picchiarmi e quello che mi intimò di spogliarmi cominciò a colpirmio anche alle parti basse con pugni”. Poi Marino sarebbe stato picchiato sul pianerottolo delle sezioni: “ogni rotonda di sezione trovavo la stessa scena, agenti che mi bloccavano e cominciavano a colpirmi con i manganelli”.

Acquisiti i verbali dei tre detenuti morti

Nel corso dell’udienza, infine, sono stati depositati i verbali di tre detenuti che sono deceduti. Si tratta di Vincenzo Cacace, il recluso in sedia a rotelle picchiato le cui immagini hanno destato particolare scalpore, Marouane Fakhri, morto all’ospedale di Bari dopo essersi dato fuoco in cella a Pescara, e di Renato Russo. La Procura ha anche chiesto l’acquisizione delle dichiarazioni di altri 48 detenuti ma le difese degli imputati non hanno prestato il loro consenso. Saranno ascoltati in aula.

Le accuse

I fatti di cui al processo sono accaduti il 6 aprile del 2020 dopo che il giorno precedente ci fu una protesta dei detenuti in seguito al primo contagio Covid nel penitenziario. La reazione degli agenti fu durissima: bisognava ripristinare l’ordine adottando il “sistema Poggioreale”. Circa 200 agenti entrarono in reparto per una perquisizione straordinaria. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle e pestati con i manganelli ed umiliati. Molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba.

da Caserta News

13 settembre – Giornata per i Diritti dei Prigionieri Politici in India – comunicato internazionale

adesione di Soccorso Rosso Proletario

Il Comitato Internazionale di Sostegno alla Guerra Popolare in India (ICSPWI) saluta, appoggia e fa appello al proletariato mondiale, a tutte le organizzazioni rivoluzionarie, democratiche e antimperialiste a salutare e appoggiare a partecipare il 13 settembre Giornata per i Diritti dei Prigionieri Politici in India, e rendiamo omaggio rivoluzionario ai nostri compagni in prigione che incrollabilmente resistono e impugnano saldamente la bandiera rossa, dentro la campagna internazionale prolungata per la liberazione di tutti i prigionieri politici in India.

I compagni indiani scrivono ‘94 anni fa, sotto dominazione britannica, il rivoluzionario nazionalista Jatindranath Das iniziava lo sciopero della fame a oltranza insieme al compagno Bhagat Singh, per rivendicare il riconoscimento dei rivoluzionari come prigionieri politici. Cadde martire dopo 63 giorni di sciopero della fame. In memoria di questo grande martire, il PCI(maoista) il 13 settembre celebra la Giornata dei Diritti dei Prigionieri Politici. I governanti non solo non sono parte della lotta per l’indipendenza, vi si oppongono e sostengono i padroni coloniali. In questi giorni in modo spudorato e subdolo pretendono di festeggiare l’Azadi ka Amrut Kaal (il 75o dell’indipendenza). Ma ancor oggi nessun rivoluzionario è trattato come prigioniero politico in carcere in questo presunto grande paese democratico.

Il governo hindutva approva di gran lena, disegni di legge antidemocratici e incostituzionali nella loro marcia che prevede la costruzione di una nazione indù entro il 2047, centenario della cosiddetta

indipendenza dell’India. È nostra responsabilità prioritaria far fallire i loro sogni e difendere la biodiversità dell’India, comprese le minoranze religiose, in particolare le minoranze musulmane e cristiane, grazie alla vittoria della rivoluzione di nuova democrazia.

La lotta per la liberazione incondizionata dei prigionieri politici è compito urgente di tutte le forze solidali e parte integrante del sostengo, per la vittoria della loro guerra di liberazione.

La nuova campagna prolungata che comincia il 13 settembre in tutte le maniere possibili, adattata alle condizioni nazionali concrete di tutti i paesi, culminerà in una Grande Giornata Internazionale di Azioni il 25 novembre 2023

Libertà incondizionata per tutti i prigionieri politici!

Viva la guerra popolare in india!

Comitato internazionale di sostegno alla guerra popolare in India (ICSPWI)

settembre 2023

Prorogata la detenzione arbitraria di Khaled, cittadino talo-palestinese

Aggiornamento sulla detenzione di Khaled El Qaisi, italo-palestinese, trattenuto dalle autorità israeliane al valico di frontiera di “Allenby” e tuttora detenuto.

Il 7 settembre, come previsto, si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’udienza relativa alla proroga del suo trattenimento in carcere conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, quando dovrà comparire nuovamente davanti al giudice.

In questa udienza il detenuto e il suo difensore non hanno potuto comparire congiuntamente, finora impossibilitati per legge a vedersi e comunicare. In questa occasione si è appreso del suo trasferimento presso il carcere di Ashkelon.

La nostra viva preoccupazione è rivolta al totale spregio dei diritti di civiltà giuridica operati dalla legislazione israeliana ovvero alla violazione di quelle tutele, comunemente riconosciute in Italia (art. 13-24-111 della Cost.) e in Europa (art 6 CEDU) e in seno all’ONU (artt. 9-14 Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici), la cui osservanza consente di definire un processo “equo” e un arresto “non arbitrario”.

Dopo 9 giorni di detenzione a Khaled è stato impedito di interloquire con il proprio difensore di fiducia e non potrà certamente incontrarlo quantomeno fino al 12 settembre.

E’ quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore ed è quindi solo mentre affronta domande pressanti poste dai poliziotti nella saletta di un carcere.

Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato la sua custodia e la sua possibile durata; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito.

Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità, fondati esclusivamente su meri sospetti e non su ‘indizi gravi di colpevolezza’.

Tuttavia, ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è la facoltà concessa all’autorità israeliana di poter sostituire, in difetto di prove, la detenzione penale con quella amministrativa.

Condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.

In considerazione dell’allarmante situazione detentiva di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione e il suo ritorno in Italia.

* Legale della famigliai di Khaled in Italia