Se sei immigrato passi dalle torture nelle questure ai lager di Stato che si chiamano Cpr
Dalla stampa borghese
Verona, il racconto di una delle vittime degli agenti: «Fermato senza un perché, picchiato e lasciato senz’acqua né cibo. Mi gridavano “Arabo di m***»
Adil Tantaoui racconta il suo incubo alla Stampa: «Chiamai la polizia dopo essere stato aggredito, mi portarono in Questura, poi al Cpr di Torino per 35 giorni: la gente lì impazzisce»
È una testimonianza atroce, quella rilasciata da Adil Tantaoui, uno delle decine di persone – quasi sempre straniere – finite nelle grinfie dei poliziotti «deviati» di Verona, ora agli arresti con le accuse di tortura, lesioni aggravate, peculato, rifiuto e omissione di atti di ufficio e falso ideologico in atto pubblico. Tantaoui è marocchino, ha 37 anni, vive in Italia da sette, è incensurato e sposato con una donna italiana. Lavori precari, certo, guadagni pure. Ma mai alcun problema con la giustizia. Anzi, anni fa era finito sui giornali locali per una storia di buon cuore: trovata una borsa alla stazione di Porta Vescovo, con all’interno un tablet e un pc, l’aveva restituita al suo legittimo proprietario, un docente universitario. E la mattina in cui per lui iniziò l’incubo cercava proprio giustizia, Tantaoui, dopo essere stato egli stesso vittima di un’aggressione. Lo racconta oggi al giornalista Niccolò Zancan sulle pagine de La Stampa. «Erano le otto di mattina del 26 ottobre. Io e mia moglie Elena vivevamo allora in una casa abbandonata, vicino al Bar Bauli, in via Perlar a Verona. Mi ero svegliato presto, stavo camminando nel parco che c’è lì davanti. Un ragazzo italiano mi ha chiesto una sigaretta, ma io non l’avevo. Lui ha preso un bastone e mi ha colpito sulla testa». Il giovane marocchino sanguina alla testa, è incredulo: chiama la polizia. Che arriva poco dopo, come da prassi, insieme a un’ambulanza. Tantaoui viene medicato alla testa. Ma poi, inspiegabilmente, diventa vittima di un nuovo sopruso: questa volta proprio da parte degli agenti. «Hanno lasciato stare il ragazzo italiano, ma hanno portato via me. Non mi hanno chiesto neanche i documenti, non hanno voluto sapere niente. Gli agenti mi hanno caricato in auto e subito uno dei due, quello pelato, ha iniziato a insultarmi: “Arabo di merda! Marocchino te ne devi andare di qua!».
Il sequel delle violenze, da Verona a Torino
È solo l’inizio dell’incubo ad occhi aperti vissuto da Tantaoui, secondo il suo racconto offerto nello studio legale milanese dove è assistito. Una volta arrivato in Questura a Verona, subisce il primo pestaggio, nel tunnel del parcheggio: «Mi hanno preso a calci nelle gambe, poi mi hanno strappato dalla testa le medicazioni». Non è tutto. Arrivato nell’edificio, ancora dolorante e senza alcuna ragione per il fermo, viene abbandonato nudo, senza acqua né cibo. «Stavo male. Mi hanno tolto tutti i vestiti e mi hanno buttato per terra nella stanza degli arrestati in mutande. Senza mangiare, senza niente. Tutto il giorno e tutta la notte. Sono svenuto». Ripresosi, all’indomani Tantaoui viene caricato su un’auto di servizio. La destinazione è il Centro per i rimpatri (Cpr) di Torino. Dove rimarrà rinchiuso – senza poter essere rimpatriato, essendo sposato con una cittadina italiana – per 35 giorni. Un inferno, testimonia l’uomo. «È proprio un carcere. Ti tolgono il telefono. La gente impazzisce. Il cibo è tremendo. È un casino. E poi ti danno delle pastiglie per calmarti e molti le prendono, ma io mi sono rifiutato».
Come ha fatto a non perdere la testa?
Un incubo finito appunto dopo oltre un mese, solo grazie all’apertura dell’inchiesta sugli abusi dello stato di diritto compiuti dagli agenti di Verona. Ma che in Tantaoui hanno lasciato un segno profondo, profondissimo. Ora «cerco di stare bene, ma è difficile – confessa a Zancan. Non ho trovato in Italia quello che cercavo. Mio padre è un giornalista, io ho fatto il cameraman anche per la Rai, ma le cose per me non sono andate come speravo. Ho provato tanti lavori: il magazziniere, le fragole. Ma non ce l’ho mai fatta. Ora i miei genitori mi hanno spedito dei soldi per aiutarmi qualche mese, così ho preso una stanza in affitto alla periferia di Milano». Quanto al giudizio su quei poliziotti deviati che gli hanno rovinato la vita, Tantaoui è perfino pacato: «Ce ne sono anche in Marocco. Dipende sempre dalla persona».
Noi pensiamo invece che non dobbiamo mai stancarci di denunciare quello che sta diventando – e che lo sarà sempre di più – l’apparato repressivo dello Stato.
La violenze dei poliziotti, vili, impuniti, di Verona che utilizzano il loro ruolo per colpire la gente che capita nelle loro mani, sono ormai frequenti.
Ogni tanto viene fuori un’inchiesta come questa di Verona ma, in realtà, in tutti i commissariati di questo paese esiste una consistente minoranza di poliziotti che sono fascisti, che sono legati al processo di fascistizzazione della polizia e, quindi, sostenuti dai ministri che si sono susseguiti – da Salvini a Piantedosi – e coperti dal governo. Chi più di questo governo copre le forze di polizia fasciste?
Sono un bubbone, un cancro e non certo sul piano morale ma proprio sul piano strutturale di quelli che sono gli apparati di Polizia, delle Forze Armate e perfino dei vigili urbani in questo paese. E’ violenza di Stato istituzionalizzata.
Alla violenza di Stato si risponde con la denuncia, con l’appello perché vengano fuori queste cose, che si facciano le inchieste necessarie. Ma è chiaro che la violenza di Stato pone il problema dell’autodifesa, di una risposta uguale e contraria e richiede che tutte le forze di opposizione a questo governo inseriscano l’autodifesa e l’autorganizzazione – sempre al fine di autodifesa, di resistenza per ora – delle masse.
Non si può pensare che questo sia un tema che debba essere estraneo, che debba riguardare i gruppi politici, i rivoluzionari, gli anarchici, come si dice. Bisogna porre all’interno delle organizzazioni sindacali, nelle assemblee dei lavoratori, nelle assemblee degli studenti, dei movimenti, la necessità di come bisogna rispondere a un governo che marcia verso un moderno fascismo, che utilizza la violenza che è parte della guerra interna.
Sfuggire a questo tema significherebbe nascondersi, fare la politica dello struzzo e non, invece, svolgere un ruolo d’avanguardia, di coscienza civile e organizzata, che tocca alle forze che si riferiscono alla classe operaia, ai lavoratori e che ne organizzano le loro lotte.