Sul processo ad Alfredo Cospito a Torino e la manifestazione – Un commento

INTIMARE NON SIGNIFICA CHIEDERE

Nel giorno in cui il Tribunale di Torino avrebbe dovuto decidere la rideterminazione delle pene per due anarchici ritenuti responsabili dell’attentato alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano (Cuneo), avvenuto nel 2006, la scena viene presa da un fatto increscioso e dalle reazioni politiche.
Per quell’azione dimostrativa, per il principale imputato – Alfredo Cospito – è stata richiesta la condanna all’ergastolo ostativo, con la pena accessoria del regime del 41 bis, quello comminato agli appartenenti alla nalavita organizzata: a causa di ciò egli protesta, attraverso l’attuazione dello sciopero della fame, da oltre quarantacinque giorni.
E dire che – come precisa lui stesso nel corso della dichiarazione spontanea letta, in videoconferenza dal carcere di Sassari, prima che la Corte decidesse di rinviare gli atti alla Consulta, non prendendo così posizione – i due gesti dimostrativi furono fatti «in piena notte, in luoghi deserti (e per questo) non dovevano e non potevano uccidere nessuno».
Per questo, se la Corte Costituzionale accogliesse la tesi delle difese, all’imputato verrebbero concesse le attenuanti generiche: ciò comporterebbe una riduzione della pena che a quel punto andrebbe ricalcolata, dovendo nel caso ammontare ad una cifra compresa tra i ventuno ed i ventiquattro anni di reclusione.
Fuori da Palazzo di Giustizia, nel frattempo, si è formato un presidio di circa trecento solidali con il Cospito e la sua compagna Anna Beniamino Saluzzo, detenuta nel carcere romano di Rebibbia, per la quale la Procura ha chiesto, in relazione agli stessi eventi, la pena di anni ventisette e mesi uno.
A seguito del “non verdetto”, si è formato un corteo di protesta che ha attraversato le vie della città: durante il tragitto, come è abitudine in questi casi, al passaggio della manifestazione sono stati vergati sui muri slogan inerenti i motivi della dimostrazione.
Giunti davanti ad un locale, il barista è uscito per – sono parole sue, come risulta dal video pubblicato su TorinOggi, nel quale lo si vede coprirsi il volto, evidentemente per non essere riconosciuto – «intimare di non danneggiare il muro del bar»
A quel punto è scattata l’aggressione di “un gruppo di dieci persone che lo avrebbero malmenato al punto da costringerlo a recarsi al pronto soccorso”: verrebbe da dire “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, visto che avrebbe potuto ben immaginare, utilizzando la normale “diligenza del buon padre di famiglia”, quali potevano essere le conseguenze.
Ma più che lui è la reazione dei pennivendoli ad infastidire.
In questo sport nazionale a chi fa peggio si distingue, diremmo naturalmente, il fogliaccio telematico fascista Secolo d’Italia che, in maniera del tutto arbitraria, scrive che il tizio del locale sarebbe stato attaccato da quindici persone, mentre egli stesso non sa quantificarli.
Un’ultima annotazione per i “colleghi” della stampa borghese; la lingua italiana distingue chiaramente tra i verbi intimare e chiedere: secondo il vocabolario Treccani, la prima forma verbale ha come significato «ordinare in modo deciso e con autorità».
Se quella è la modalità con la quale si è riferito ai manifestanti, come risulta dalle sue stesse parole, il barista in questione doveva mettere in conto una reazione stizzita da parte loro: non avendolo fatto, egli ha messo in atto un comportamento quanto meno incauto, dalle possibili pesanti ripercussioni.
Bosio (Al), 07 dicembre 2022
Stefano Ghio – Proletari Comunisti Alessandria/Genova