Accese proteste in Iran dopo l’uccisione in carcere di Mahsa Amini. 8 morti, centinaia di feriti e decine di arresti tra i manifestanti

Otto persone sono state uccise dalle forze di sicurezza nella regione curda dell’Iran durante le proteste per la morte di Mahsa Amini, la 22enne arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo e deceduta per i maltrattamenti. Le vittime, secondo il gruppo curdo per i diritti umani Hengaw, con sede in Norvegia, sarebbero state uccise con colpi di arma da fuoco in Kurdistan (regione di origine di Mahsa), dove la polizia ha sparato contro uomini, donne e bambini scesi nelle strade. Una sesta vittima è un agente. Di fronte alle proteste, il ministro delle Comunicazioni di Teheran, Issa Zarepour, ha detto che l’accesso a Internet in Iran potrebbe essere interrotto “a causa di questioni di sicurezza” e dei “dibattiti che si stanno tenendo attualmente nel Paese”.

Dopo cinque giorni di proteste, anche se l’entità delle violenze e il numero degli arresti sono difficili da valutare, sui social media sono stati pubblicati video di pestaggi e scontri, compresi filmati in cui si sentono colpi di armi da fuoco. Alcune immagini mostrano una bambina di 10 anni ferita e insanguinata nella città di Bukan: un video è diventato virale sui social. Sulla vicenda è intervenuta l’Onu che ha denunciato la “violenta repressione” alle manifestazioni. L’Alto Commissario Nada Al-Nashif, ha espresso preoccupazione per la morte di Mahsa: “La tragica morte della giovane e le accuse di tortura e maltrattamenti devono essere indagate in modo rapido, imparziale ed efficace da un’autorità indipendente, assicurando che la sua famiglia abbia accesso alla giustizia”. Secondo la portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario Onu, in diverse città del Paese, compresa Teheran, la polizia ha “sparato munizioni vere” e usato gas lacrimogeni.

 

Mahsa Amini aveva 22 anni e in realtà si chiamava Jina.

Arrestata dalla polizia per un velo portato in maniera “scorretta” – o qualcosa del genere – mentre si trovava nell’auto del fratello da cui si era recata in visita, è morta all’ospedale di Kasra (dove era giunta già in stato di morte cerebrale) a Teheran.

Mentre le autorità iraniane si giustificano parlando di  improbabili “preesistenti problemi di salute” (evocando prima una presunta epilessia, poi problemi cardiovascolari), dalle lastre e altri esami al cranio della giovane curda emerge la conferma di quanto già si sospettava: Jina è morta a causa delle torture, delle percosse subite subito dopo l’arresto. In particolare quella che sembra una tomografia assiale computerizzata ha evidenziato fratture ossee, una emorragia e un edema cerebrale.

Una fonte ospedaliera ha parlato di “tessuto cerebrale schiacciato, danneggiato da numerosi colpi”. Inoltre i polmoni erano “ pieni di sangue e non poteva più essere rianimata”.

In alcune delle foto di lei sul letto dell’ospedale si vede chiaramente che le orecchie sanguinano e questo sarebbe un segno inequivocabile che il coma era la conseguenza di un trauma cranico.

Indignate manifestazioni di protesta si sono svolte ovunque in Iran, ma soprattutto nel Rojhilat (Kurdistan sotto amministrazione iraniana) dove scuole e negozi sono rimasti chiusi per lo sciopero generale.

Come ho detto in realtà si chiamava Jina (o anche Zhina) che significa “donna” (Jin) in curdo. Ma al momento di registrarla all’anagrafe il funzionario del regime, come in tanti altri casi, si era rifiutato e aveva imposto la sostituzione del nome curdo con quello di Masha. Un evidente caso di colonialismo culturale che costringe milioni di curdi espropriati del loro stesso nome e costretti a portarne altri turchizzati (in Bakur), arabizzati o persianizzati (in Rojhilat).

Intanto il bilancio dei primi giorni di manifestazioni di protesta si fa sempre più pesante. Sono almeno quattro i curdi uccisi dalla polizia (quelli finora accertati), un centinaio i feriti e decine quelli arrestati.

In particolare a Saqqez, città natale di Jina Amini, i manifestanti hanno abbattuto molti simboli del regime.

Il 19 settembre l’ONG Hengaw ha fornito alcuni dati (provvisori) sul numero delle vittime della repressione:

A Saqqez 2 morti e 17 feriti; a Divandare 2 morti e 15 feriti; a Mahabad13 feriti; a Bukan7 feriti; a Kamiyaran 4 feriti; a Ghorveh 4 feriti; a Bijar 7 feriti; a Baneh 4 feriti; a Tekab 4 feriti…

Gianni Sartori