un saluto a Dana che è uscita dal carcere

No Tav, Dana Lauriola: «Finalmente rivedrò le mie montagne. In carcere ho ricominciato a studiare»

tornata in libertà dopo 7 mesi di carcere
Dopo 7 mesi in carcere e 13 di detenzione domiciliare Dana Lauriola, volto storico del movimento No Tav, è tornata in libertà.
Qual è stata la prima cosa che ha fatto?
«Sono andata a pranzo con i miei amici che non vedevo da quasi due anni e la sera a cena con le amiche più care in piazza Vittorio. Ero molto agitata, era tutto molto strano, ma bellissimo. Adesso andrò a Bussoleno e sarà un’altra emozione forte, perché il distacco è stato violento. Rivedrò le montagne e i luoghi della mia vita che mi sono stati negati».
Come ha vissuto 7 mesi in carcere?
«All’inizio mi faceva tanta paura, poi sempre meno, anche se il tempo scorre lentissimo. Ero e sono sconvolta dalla condizione in cui le donne devono vivere. La struttura è degradata e c’è un pessimo livello di interazione con il personale. Resistere è davvero difficile, anche per me che sono “strutturata”. Il sistema è alienante, sopravvivere è il massimo che ti è concesso. Questo è quello che vogliono coloro che decidono che una persona debba essere reclusa e, dal loro punto di vista, rieducata».
Proprio secondo quel punto di vista lei è stata rieducata. È così?
«Basta rispettare le regole, se lo vuoi fare lo fai. Io ho scelto di farlo e adesso torno a vivere la mia vita in maniera coerente con le mie idee. Che il carcere non ha cambiato».
Queste idee l’hanno portata a compiere azioni che sono state giudicate illecite in tre gradi di giudizio. E inoltre risulta indagata in altri procedimenti. Se tornasse indietro rifarebbe quello che ha fatto?
«Dal mio punto di vista viviamo in una società ingiusta e solo apparentemente democratica. Per questo penso che ognuno sia chiamato a fare ciò che la propria coscienza suggerisce per il bene collettivo. Anche con la consapevolezza che queste scelte si pagano».
Continua a prevalere il senso di ingiustizia?
«Non ho mai visto la condanna come un atto di giustizia e adesso si è semplicemente conclusa la mia punizione. Bloccare un’autostrada è un reato, almeno secondo il codice penale, ma quello che è ingiusto è che la protesta No Tav e le azioni di tutti coloro che vi appartengono vengano ridotte e questioni di ordine pubblico senza tener conto dell’alto valore politico che esprime chi difende il proprio territorio e l’ambiente».
Questa difesa si concretizza anche in azioni violente. Non esiste un altro modo per rappresentare le stesse istanze?
«Credo che il movimento No Tav lo abbia fatto in tutti i modi possibili e immaginabili. Se ci sono state azioni di contrapposizione è stato soprattutto per difesa».
Sembra uno slogan, ci crede davvero?
«Assolutamente sì. Ho vissuto sulla mia pelle la violenza della punizione e la criminalizzazione del mio ruolo all’interno del movimento».
In carcere lei ha avuto il tempo per completare il suo ciclo di studi e fra poco si laureerà in psicologia. Quindi ci sono anche aspetti positivi?
«Le pause forzate lasciano il passo all’incertezza, ma a volte possono anche offrire possibilità. In questo caso, nel pesante isolamento che mi è stato imposto, ho trovato la forza di costruire qualcosa e non permettere che tutto venisse distrutto».
Che progetti ha per il futuro? Tornerà ad avere un ruolo attivo nel movimento?
«Per prima cosa voglio iscrivermi in palestra e riprendere l’attività sportiva. In passato ho giocato e allenato a pallavolo. Poi spero di discutere la tesi a breve e sicuramente tornerò attivamente nel movimento, anche perché non credo che la mia appartenenza sia mai stata giudicata illegale. Però lo farò con la consapevolezza di dover ricostruire alcuni pezzi della mia vita che sono stati devastati».