Rivolta al Don Bosco: «La rivolta in carcere fu una protesta a tutela dei diritti dei detenuti»

Ecco le motivazioni del giudice sull’archiviazione dei reati per tredici reclusi. I tafferugli dopo il suicidio di un carcerato. Agenti offesi, ma serviva la querela

PISA.Fu una protesta spontanea, nessuna aggressione, né resistenza a pubblico ufficiale. E anche se gli agenti della penitenziaria vennero insultati e offesi dai detenuti infuriati per il suicidio di un recluso, il reato aggravato di ingiuria o minaccia procedibile a querela di parte. Che nessuno aveva presentato.

È la motivazione con cui il gip Nunzia Castellano ha accolto la richiesta di archiviazione formulata dal pm Fabio Pelosi disponendo l’archiviazione per tredici detenuti (tra i difensori Tommaso Azzaro Roberto Nocent, che nell’agosto 2017 provocarono tafferugli al Don Bosco, al punto da far intervenire nel ruolo di pacificatore a Pisa Santi Consolo, l’allora direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Firenze per un convegno. Pacifico che i carcerati nel momento di massima tensione scagliarono pietre contro le postazioni degli agenti. Così come altrettanto acquisito che i vetri vennero sfondati anche con il lancio di un tombino. Urla, offesa, spintoni ai poliziotti della penitenziaria. Una gazzarra repressa a fatica accompagnata anche da una sassaiola. «Analizzando i fatti attraverso la ricostruzione degli agenti si evince che gli spintonamenti erano volti ad entrare nel blindo e anche durante la sassaiola gli agenti non tenevano alcun comportamento che si potesse identificare come atto d’ufficio che l’azione dei detenuti nasceva in maniera del tutto estemporanea come forma di protesta e non di opposizione violenta o minacciosa ad atti di ufficio – si legge nel decreto di archiviazione –. La manifestazione dei detenuti si pone come l’unica modalità espressiva ritenuta idonea dai soggetti per far sentire la loro voce a tutela dei loro diritti, senza mai porre in pericolo l’integrità fisica degli agenti e dunque senza mai porre in essere condotte intese quali resistenze ad atti dei pubblici ufficiali. Quando il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto fare un atto contrario ai propri doveri o a omettere un atto dell’ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività dell’ufficio del servizio, la condotta non Integra il delitto nel delitto di cui l’articolo 337. Ma i reati di ingiuria o minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese per cui la procedibilità è necessaria la querela». Sui danni in carcere il gip afferma che «manca la prova di una volontà finalisticamente orientata a distruggere gli arredi della casa circondariale in assenza peraltro di una precisa indicazione dei beni asseritamente danneggiati».