116 morti e almeno 80 feriti è il bilancio della rivolta scoppiata nel Penitenziario Litoral di Guayaquil in Ecuador. Il numero è stato confermato in una conferenza stampa dal presidente del paese Sudamericano, Guillermo Lasso, che ha sottolineato che nessuna delle vittime appartiene alle forze dell’ordine e ha dichiarato lo “stato di eccezione” in tutto il sistema carcerario del Paese
Da tempo in Ecuador la situazione delle carceri è esplosiva, e questo ultimo massacro è il secondo con il maggior numero di vittime registrato quest’anno in una prigione del Paese. Il più violento si è verificato il 23 febbraio scorso nelle carceri di Guayaquil, Cuenca e Latacunga. In quell’occasione ci furono 79 morti.
Secondo i media locali, anche questa volta la rivolta sarebbe stata innescata dagli scontri tra bande, che dal carcere gestiscono attività e traffici di droga anche grazie alla rete di complicità di funzionari corrotti.
Ma la violenza nelle prigioni del Sudamerica si ripropone costantemente, essa riflette la barbarie di un sistema sociale che si regge sulla violenza, la corruzione, il razzismo e la discriminazione sociale. Nello stato ecuadoriano, alle prese con una crisi economica terribile aggravata dalla pandemia, metà della popolazione vive in povertà e le uniche possibilità di sopravvivenza sono quelle legate ad attività illegali e al narcotraffico. A popolare le già sovraffollate carceri dell’Ecuador si aggiunge anche la repressione e la violenza istituzionale contro le sollevazioni indigene e le proteste popolari.
Nonostante i vari stati di eccezione, proclamati anche dal precedente governo, la crisi carceraria non è mai stata risolta, e le rivolte sanguinose sono una costante dei penitenziari ecuadoriani, dove circa 40mila detenuti vivono stipati come bestie in carceri che hanno una capienza di appena 28mila unità. Alla promiscuità dei detenuti, costretti a vivere ammassati anche con quelli di gang rivali, senza vestiti, senza spazi dove consumare il cibo, senza acqua, in condizioni igienico sanitarie rese ancor più drammatiche dalla pessima gestione della pandemia, la risposta presidenziale è sempre stata la stessa: lo stato di emergenza ed ulteriore violenza, anche in termini di apparato repressivo.