“Allora, io ammetto tutto. Ne ho fatte cavolate dottore, però se mi devo prendere le colpe degli altri no! Dentro la caserma tutti sapevano, non potevi non sapere perché ci si stava dalla mattina alla sera insieme. Si finiva gli arresti e si andava a mangiare insieme, quindi tutti dovevano sapere… fino al comandante“.
E’ il j’accuse nei confronti di colleghi e superiori messo a verbale da Giuseppe Montella, l’appuntato della caserma Levante di Piacenza arrestato insieme ad altri cinque carabinieri per gravi reati come traffico di droga, tortura e estorsione nell’estate del 2020.
Era l’inchiesta ‘Odysseus’ che ha portato anche al sequestro dell’intera stazione dell’Arma, mai successo prima in Italia.
Oggi è in calendario un’udienza per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato e Montella, ritenuto il capo del gruppo, potrebbe fare nuove dichiarazioni. Ma non è escluso che le difese aderiscano all’astensione proclamata dei penalisti e dunque la testimonianza slitterebbe.
“Tutto quello che si faceva là dentro – dice Montella, in un’interrogatorio del 20 agosto 2020, pubblicato da Repubblica.it – tutti lo si sapeva. Cioè nella mia mente preferivo prendermi io le colpe per non scaricare i miei colleghi, però a questo punto penso che voi sapete tutto“. Il racconto quindi prosegue e diventa un atto d’accusa contro altri quattro carabinieri, Salvatore Cappellano, Angelo Esposito (l’unico che ha scelto il rito ordinario), Giacomo Falanga e Daniele Spagnolo e, soprattutto, contro il comandante di stazione Marco Orlando.
“Tutti lo sapevano – ribadisce l’appuntato 37enne originario di Pomigliano d’Arco – nel senso che non c’è nessuno che non lo sa a partire dall’ultimo fino al comandante, dalla testa ai piedi, tutti sapevamo che ogni tanto davamo una canna… qualcosa. Sapevano che quando si facevano arresti grossi si diceva, ‘teniamo due grammi, tre grammi da dare …“.
Sulle violenze agli arrestati, Montella racconta invece di schiaffi e botte, ma respinge l’accusa di pestaggi sistematici. Ma proprio le presunte torture sono tra gli episodi più pesanti finiti a processo e sui quali difese e accusa dovranno confrontarsi non appena entrerà nel vivo la discussione. Parti civili ammesse sono l’Arma dei carabinieri, due sindacati (Silca e Nsc) e l’associazione Pdm (Partito per la tutela dei diritti dei militari), oltre ad altre nove persone, tra cui proprio alcuni pusher che hanno denunciato le violenze che accadevano all’interno della caserma.
E non è tutto finito qui, perché le accuse emerse dalle indagini della Guardia di Finanza e della Polizia Locale e finite contestate nell’ordinanza cautelare di fine giugno saranno chiarite nel processo, ma c’è ancora un fascicolo in corso di indagine da parte della Procura piacentina guidata dalla procuratrice Grazia Pradella.
Un filone significativo, che ha raccolto ulteriori denunce di vittime degli ex militari della Levante e gli accertamenti sulle eventuali omissioni dei superiori dell’epoca, su cui si stanno ancora facendo verifiche.
Intanto la storica caserma di via Cacciadilupo, dopo il dissequestro, è stata riaperta e regolarmente funzionante da metà novembre, con altri carabinieri. E proprio ieri è stato eseguito il primo arresto per droga da quando il nuovo gruppo di militari si è insediato negli uffici. A finire in manette, un giovane piacentino trovato con mezzo kg di marijuana e pochi grammi di cocaina. La normalità, dopo la tempesta estiva, passa anche per questo.