A un anno di distanza si è infine arrivati a quanto era annunciato dall’inizio: per la locale procura l’inchiesta giudiziaria sui fatti di Modena si spegne in una richiesta di archiviazione. Come annunciavano già da subito, dalle prime ore, vale a dire prima di ogni indagine o autopsia, ministri, procure, giornali, i detenuti si sono suicidati imbottendosi di metadone e farmaci. Non c’è altra verità possibile.
Nessun responsabile. Nessuna negligenza. L’unica colpa è quella dei detenuti, che si sono ribellati e che si sono ingozzati di farmaci. A sostegno di tale conclusione vi sono le autocertificazioni della polizia penitenziaria e dei medici che, pur dipendendo dal sistema sanitario pubblico, si sono dimostrati succubi delle logiche securitarie e degli apparati militari.
Ma la battaglia per la verità e la giustizia continua, a maggior ragione. Alcune associazioni hanno già annunciato opposizione alla richiesta della procura di Modena, consapevoli di come vi sia un dato che accomuna le carceri di ogni luogo e ogni tempo: ovvero che il carcere non solo produce ma è violenza, proprio mentre pretende di esserne risposta. E mentre la violenza di questo stato imperialista si traduce costantemente in impunità, quando la violenza viene agita dagli oppressi, dai detenuti, fioccano presto i processi e le condanne: è del 12 marzo 2021 la sentenza con le prime condanne ai detenuti di Venezia, mentre è di fine febbraio la condanna sino a due anni e mezzo di prigione dei primi 17 imputati, detenuti nel carcere di Opera. Il 18 marzo 2021 54 detenuti di Rebibbia sono stati processati per la rivolta del 9 marzo 2020 e 20 prigioniere sono tuttora sotto indagine per una protesta avvenuta in contemporanea nella sezione femminile. Ma sono molti altri i processi in corso contro decine e decine di altri reclusi accusati per le proteste del marzo scorso.
Un anno fa le persone detenute hanno indicato l’unica soluzione possibile per evitare il contagio di massa in celle sovraffollate: svuotare le galere.
Alle proteste, dilagate poi nelle carceri di mezzo mondo, lo Stato ha risposto con pestaggi, trasferimenti punitivi, morti e torture.
Il tracollo sanitario che ha trasformato le carceri in focolai era prevedibile, ma lo Stato ha predisposto manganelli, lacrimogeni, muscoli e processi.
Viceversa, non risulta sinora alcun imputato per i 13 reclusi ufficialmente morti.