Carceri, storie di ordinaria violenza

Proponiamo 2 documenti, uno dei genitori di un ragazzo fino a un mese fa detenuto nel carcere di Torino, l’altro è un video di Antigone, a cura di Fanpage, sul carcere di Mammagialla di Viterbo:

Dal corriere di Torino

«Mio figlio in isolamento per mesi. Nudo, con la luce sempre accesa e senza acqua corrente»

Il diario drammatico narrato dalla famiglia del giovane, 24 anni, in carcere per una tentata rapina. Poi il trasferimento in una cella di osservazione del reparto psichiatrico, dove avrebbe dovuto trascorrere solo poche notti

«Mio figlio in isolamento per mesi. Nudo, con la luce sempre accesa e senza acqua corrente»

La «liscia», così la chiamano al carcere Lorusso e Cutugno. Non è una cella come le altre: è la numero 150 e si trova all’interno del Sestante, il reparto psichiatrico. Una stanza completamente vuota, priva di mobili e suppellettili. Le uniche parvenze di arredo sono un materasso, una coperta e il bagno a vista con lo scarico attivato dall’esterno. M., 24 anni, nella «liscia» avrebbe dovuto trascorrere solo poche notti, invece vi sarebbe rimasto per molto più tempo: oltre i limiti stabiliti dai regolamenti. «È rimasto nudo, con la luce sempre accesa e senza acqua corrente», denuncia il padre.

Ilgiovane entra in carcere nel dicembre del 2019: deve scontare due anni di reclusione per una tentata rapina. Prima viene mandato all’istituto penitenziario di Verbania, poi trasferito a Torino perché ha problemi psichici: la diagnosi è disturbo borderline della personalità. «Una patologia che è possibile curare con la psicoterapia», racconta il papà. In carcere, però, le sue condizioni di salute si aggravano ed M. tenta il suicidio. Basta questo per trasferirlo in una cella di osservazione del reparto psichiatrico: lì non c’è nulla con cui possa provare a mettere fine alla propria vita. Quel trasferimento avrebbe dovuto essere temporaneo. Invece M. ci rimane per diversi mesi. Uscirà nel febbraio del 2021, quando i genitori riescono a riportarlo a casa (sta scontando il resto della pena ai domiciliari). Un risultato raggiunto al temine di una strenua battaglia a suon di carte bollate, istanze davanti al giudice di Sorveglianza, perizie psichiatriche e interventi del garante dei detenuti.

«Mio figlio è stato sottoposto a un trattamento disumano. È stato denudato e abbandonato in una cella – spiega il padre -. Per calmarlo lo hanno imbottito di psicotici. A nulla è servito insistere sul fatto che avesse bisogno di psicoterapia e non di trattamenti farmacologici, che per altro come effetti collaterali portano a depressione e suicidio». È un diario drammatico quello narrato dalla famiglia del giovane. «Mio figlio ha riportato anche alcune ustioni: si era rotta la finestra e non l’hanno riparata. Così in pieno inverno e con solo una coperta addosso per scaldarsi, si è rannicchiato vicino al termosifone fino a bruciarsi. Per quattro giorni, poi, non gli hanno fornito acqua in bottiglia e così quando dall’esterno attivavano lo scarico dei bagni, lui la raccoglieva prima che finesse negli escrementi. Lo hanno mortificato, insultato, umiliato».

Una perizia psichiatrica ha anche stabilito che M. era sottoposto a trattamento psicofarmacologico «esagerato» e «abnorme», con il rischio «non solo di aggravare e perpetuare la sintomatologia psichica e comportamentale, ma anche di ostacolare e compromettere le possibilità di recupero». «Da quando è a casa sta meglio, ma è uscito distrutto dal carcere. Ancora adesso ha gli incubi per quello che ha subito». Della vicenda di M. si è occupata anche Emilia Rossi, componente del collegio del Garante nazionale dei detenuti. Nel luglio dello scorso anno ha fatto un’ispezione. «Abbiamo riscontrato il disagio di questo giovane – spiega –. Sono anni che denunciamo l’inadeguatezza del Sestante e soprattutto della camera liscia».

In un rapporto del 2017, il Garante ne chiedeva l’abolizione rilevando non solo le pessime condizioni igienico-sanitarie, ma anche «l’illegittimità dello stato di isolamento del detenuto» per un periodo superiore al limite di 15 giorni previsto dalla legge. E ora la storia di questo ragazzo è anche racchiusa nell’ultimo rapporto di Antigone, l’associazione che dagli anni Ottanta si occupa di diritti nell’ambito del sistema carcerario e alla quale la famiglia si è rivolta per chiedere aiuto. È stata scelta perché rappresenta un caso limite, la cui crudezza mette a nudo «quanta strada ancora c’è da fare per garantire diritti e protezione a chi vive all’interno delle carceri italiane», si legge nel documento.

Il video di Fanpage

‘Ho subito aggressioni, ho cicatrici in faccia e su tutto il corpo’, ‘Vi scongiuro aiutatemi, ho paura di morire’. Queste sono solo alcune delle frasi contenute nelle lettere scritte dai detenuti del carcere Mammagialla di Viterbo. Richieste di aiuto e racconti del terrore indirizzati all’Associazione Antigone che da anni si occupa di tutela dei diritti umani nel sistema penale e penitenziario.   (le immagini del carcere ‘Mammagialla’ sono state gentilmente concesse dall’Associazione Antigone) https://youmedia.fanpage.it/video/aa/…