22 ottobre 2020
Mentre bevevamo il caffè dopo pranzo, nella cella dove faccio socialità, sentiamo dai passeggi delle voci maschili, il che è molto strano. Ci affacciamo dunque alla finestra e vediamo diverse persone, tra alcune prigioniere del piano di sotto, infermierx, guardie, comandante, medico e direttrice. Dev’essere successo qualcosa, non l’avevo mai vista da quando sono qui! Sentiamo discorsi un pò
sconnessi, concitati, una delle detenute piange e urla, ma non capiamo bene, sentiamo parole come “tampone”. Ecco, ci siamo, pensiamo e ci diciamo. É arrivato: il virus è tra noi. Dopo qualche minuto, sale uno con qualche grado, ci fanno uscire tutte dalla cella (con la mascherina!) e ci fanno
stare in corridoio: davanti a noi compaiono l’ispettrice, la direttrice e qualche sgherro. Ci dice in due parole che qualcuna di noi è stata in contatto con uno della scorta che ha avuto la risposta del tampone positivo, e quindi la metteranno in quarantena, e così alla sua concellina. Chiediamo chi sono, e ce lo dice. Proviamo a dire qualche parola, niente, arrivederci e grazie.
Quindi la storia è che questa donna è andata all’ospedale per una visita, e quello della scorta era asintomatico e la risposta del tampone di due giorni fa è arrivata oggi. Queste sono le news
sull’argomento della giornata.
Un giorno, un paio di settimane fa, ci chiamano a tutte e ci fanno il tampone. Lo faccio anche io. Prima chiedo di parlare con “qualcunx che conti qualcosa”, pongo le mie domande, sulle incoerenze della quarantena tra le nuove giunte (che avevano detto che per covid non sarebbero arrivate e dopo di me saranno venute almeno 15), sulla mancanza di informazioni che abbiamo, perché non viene nessunx a dirci niente, lx infermierx e le guardie ci danno informazioni diverse, ecc. fiato sprecato, come prevedibile.
Non ci hanno mai dato i risultati. Dopo dieci giorni, chiamano tre di noi per rifare il tampone: panico! Anche qui, informazioni discordanti sul perché. Alla fine viene l’ispettrice, ci racconta una storia, e poi si finisce a parlare d’altro. Io vado dal medico, mi fa vedere il mio risultato, mi dice che i tamponi delle tre in questione erano contaminati e quindi li hanno rifatti. Nel frattempo, si era scritto alla direttrice per porle alcune questioni, tra cui il fatto che abbiamo bisogno di informazioni sui rischi che corriamo per tutelare la nostra salute.
Ho cercato di fare un breve quadro generale, per far emergere uno dei dispositivi che sappiamo essere necessari al potere – in un caso come il covid, s’è visto anche fuori dal carcere, è notevole – : il controllo dell’informazione. Non potendo tenerci tutto nascosto, confondono. Noi vediamo il TG, e sappiamo cosa ci dicono per lettera o al telefono, abbiamo ovviamente una versione parziale e allarmistica.
C’è da qualche settimana una tensione palpabilissima, preoccupazione per sé, per lx proprx carx fuori, per figlx che hanno la propria madre in galera e non hanno i suoi consigli – e manco del padre, perché quasi tutte le donne che sono qui hanno marito, compagno, padre e a volte sorelle, madri, figlx grandx anche loro in carcere. Come potete immaginare, moltx delle figure che vengono qui, comprese le guardie, non sempre hanno la mascherina. E molte delle prigioniere hanno
condizioni di salute non buone, soprattutto quelle che sono qui da anni, problemi ai polmoni, al cuore per citare i più relativi al covid. L’altro lato della medaglia sono le comunicazioni con l’esterno. Noi al momento abbiamo quattro colloqui in videochiamata al mese di venti minuti l’uno dei quali due possono essere sostituiti da due colloqui visivi di un’ora l’uno, con vetro e citofono, e due chiamate al mese di dieci minuti l’una (chi ha figlx minorx ne ha di straordinarie). Prima
del covid erano quattro colloqui di un’ora al mese. Il Dap ha dato disposizioni di aumentare le comunicazioni con il fuori per l’emergenza sanitaria, ricordiamo le rivolte di marzo in molte prigioni, ma qui ce le hanno diminuite. Qui sostengono che il ministero ha dato loro tot. giga per maschile e femminile, e quindi solo quelli possiamo avere. Se così fosse, tutte queste nuove che sono arrivate, con che giga fanno la video? Se non c’era il personale (cosa che ci viene detta) come si facevano a fare le ore di colloquio in presenza prima? E perché vengono altre detenute se
non ci sono le strutture e le guardie? Non si sa. Si è in una situazione di stallo.
Voglio dire qualche parola su queste videochiamate. Prima del covid in carcere non esistevano. Ora invece si fanno pure tra carcere e carcere e qualcuna delle donne che sono qui è riuscita a “vedere” per la prima volta dopo diversi anni figlx, mariti, familiari rinchiusx in altre prigioni, così come familiari che per ragioni di salute non potevano spostarsi per i colloqui. Molte anche dopo che hanno riaperto i colloqui visivi, dopo mesi che erano chiusi, hanno preferito non far venire lx loro
carx, soprattutto lx bambinx perché è traumatico per loro vedere la mamma nell’acquario. Si è inaugurata così una nuova fase, come è successo in altri ambiti della società, dove alla presenza è sostituita la comunicazione tecnologica. In carcere è ovviamente molto più [incomprensibile], visto che è l’unico momento di scambio quello del colloquio, ciò che aspetti tutta la settimana con ansia ed impazienza.