Trento: prove di militarizzazione e di resistenza ai tempi del Conte-bis
Riceviamo dai compagni anarchici del Trentino e volentieri pubblichiamo la descrizione di un ennesimo intervento della polizia di stato contro le iniziative volte a denunciare l’azione dell’asse governo-Confindustria in questa epidemia.
A Trento per il tardo pomeriggio di venerdì 6 novembre era stato lanciato un corteo che intendeva protestare contro il coprifuoco e denunciare in strada le responsabilità di governo e Confindustria sull’impatto sociale dell’epidemia. Fin da metà pomeriggio via Verdi, dove era stata pubblicizzata la partenza del corteo, si presenta completamente
transennata e inaccessibile, nel mentre in diversi punti limitrofi al centro inizia a schierarsi la celere. Alle 18.00, orario della manifestazione, si contano complessivamente una decina di blindati distribuiti tra Piazza Duomo, Via Verdi, Piazza Santa Maria Maggiore, Piazza
della Portela: 4 schieramenti di celere in un tratto di strada lungo forse 600 metri, tra la piazzetta adiacente allo spazio anarchico El Tavan, il luogo del concentramento e la piazza centrale della città. A questo si aggiungono la presenza asfissiante della digos che da ore ronzava attorno allo spazio anarchico e consistenti posti di blocco sulle principali strade di
accesso al centro città, in cui la polizia ferma due auto e porta sei compagni in questura
.
Poco prima delle 18.00 un nutrito gruppo di compagni esce dal Tavan per raggiungere il concentramento. All’altezza di Santa Maria Maggiore, a metà strada tra la sede e Via Verdi, la celere cerca di circondare i compagni. Immediatamente ci si mette in strada, viene bloccato il traffico, si apre uno striscione (“Che la crisi la paghino i ricchi”) e con volantinaggio e interventi si spiegano ai passanti le ragioni del corteo, e la risposta, alquanto evidente, dello stato a chi, in questa fase, intende scendere in piazza, organizzarsi,
lottare. Parecchie persone si aggiungono al blocco, molte altre comprensibilmente non se la sentono di tentare di oltrepassare il cordone di celere, ma rimangono in piazza, per cui paradossalmente gli sbirri, che volevano impedire un corteo, si trovano stretti tra una cinquantina di compagni (e non solo) che bloccano la strada da un lato e una variegata
presenza di passanti, giovani, immigrati che ascoltano gli interventi (e di certo non simpatizzano con la polizia) dall’altro. Nel frattempo sul luogo del concentramento si ritrovano (nonostante sbirri e transenne) una trentina di persone che, dopo vari interventi, partono in corteo dietro lo striscione “Fabbriche aperte e coprifuoco serale. Profitto e controllo, altro che salute”, per raggiungere il gruppo bloccato in Piazza Santa Maria Maggiore. Anche da lì si prova a muoversi per tornare verso il Tavan, ma a poche decine
di metri dalla sede il corteo viene nuovamente fermato da un ulteriore cordone di celere.
Dopo un po’ la situazione si sblocca, ma la strada davanti al Tavan rimarrà chiusa dalla celere fino a tarda sera. Nel frattempo i compagni fermati sono ancora trattenuti dagli sbirri, per non meglio precisate “notifiche”. Vengono divisi per genere, fatti spogliare per essere perquisiti coi piegamenti, fotosegnalati e vengono loro prese le impronte. Ci si sposta sotto la questura, dove tra cori, battiture e qualche spintone con la celere, si cerca di mettere un minimo di pressione affinché i fermati vengano rilasciati, cosa che accadrà verso l’una di notte, dopo oltre 7 ore di fermo. Bilancio: sei fogli di via per tre anni dal comune di Trento, quattro telefoni sequestrati per una presunta inchiesta per “porto di oggetti atti a offendere” (!), sequestrata anche una bottiglia di grappa che nei verbali viene
spacciata per “contenitore di liquido infiammabile”.
Inoltre, durante la fotosegnalazione la digos sottrae la mascherina ad una compagna: un tentativo, piuttosto maldestro, di impossessarsi del suo dna.
Il giorno dopo, sabato mattina, nel quartiere di San Pio X un gruppo di compagni e compagne installa una bacheca in un punto di passaggio, e volantina un testo in cui invita a pratiche di mutuo appoggio per far fronte a questi tempi grami. Dopo poco sopraggiungono diverse volanti, due compagni vengono portati in questura, la bacheca viene rimossa.
Non ci aspettavamo che scendere in piazza sarebbe stato facile. Le “misure di contenimento” che abbiamo visto nei giorni scorsi sembrano riecheggiare le ultime circolari del Ministero dell’Interno (e le ordinanze provinciali della giunta leghista) che permettono la possibilità di chiudere strade o piazze ritenute “zone di assembramento” a qualsiasi ora (non più dopo le 21.00), con una semplice ordinanza del sindaco (ed è difficile distinguere l’operato del neoeletto sindaco di centrosinistra da ciò che avrebbe fatto, per lo stesso corteo, una qualsiasi amministrazione leghista), del prefetto o del presidente della provincia. Una dimostrazione in più di ciò che ci aveva spinto a chiamare il corteo di venerdì: coprifuoco, chiusura selettiva delle piazze in cui ancora si può incontrarsi e discutere, divieto di manifestare, la volontà dichiarata di chiuderci in casa se non per lavorare e consumare, la polizia che diventa l’unica presenza permessa nelle
strade… tutto questo non ha nulla a che vedere con la tutela della salute.
Di questa crisi, come di tutte le altre, lo Stato sta approfittando per approfondire la propria presa sulla società, per garantirsi pace sociale, sottomissione e capillare controllo poliziesco. I padroni, Confindustria in testa, ne stanno facendo una formidabile occasione di ridefinizione dei rapporti di sfruttamento e di accumulazione di nuovi profitti. Gli scontri
di Napoli, Firenze, Milano, Torino, le rivolte nelle carceri a cui lo Stato ha risposto con una vera e propria strage, gli scioperi nelle fabbriche e nel comparto della logistica che hanno saputo imporre un, seppur parziale, blocco della produzione sono stati una prima risposta di classe ai progetti di lacrime e sangue del duo Conte-Bonomi. Il corteo di venerdì intendeva dare voce a queste lotte. Ben altri momenti di conflitto saranno necessari
per ricacciare indietro i piani dei padroni e l’epidemia di cui sono responsabili.
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