SCIOPERO DELLA FAME, AUTOLESIONISMO E TENTATE RIVOLTE NEL CPR DI GRADISCA

Loro mi hanno cambiato la vita e la testa. Ti fanno andare fuori di testa. Rovinano la gente, ti fanno cose brutte […]. Vedo alla telecamera mia madre e piange, la mia compagna e piange, tutti stanno male per me. […] Vedo solo brutto ormai, faccio una cosa brutta, sono stufo, non ce l’ho più la forza”.

A parlare è un giovane ragazzo, chiuso nel CPR di Gradisca, ci racconta di essere papà di una figlia di 4 mesi che non è mai riuscito a vedere e che non è nemmeno mai riuscito ad avere colloqui di persona con la compagna. Ci dice che da 3 giorni è in sciopero della fame con altre persone nel CPR di Gradisca, chiedono la loro liberazione immediata, perché non c’è nessuna ragione per cui siano tenuti lì dentro. “Non voglio più mangiare, voglio morire, mi hanno fatto male per niente“, dice un altro. Le voci dei reclusi ripetono di stare male, di non avere indumenti per cambiarsi di essere trattati come ratti e raccontano dei continui autolesionismi e accessi in pronto soccorso. Raccontano di stare chiusi in gabbia, al caldo, ci dicono che alcune volte ci sono dei piccoli incendi, come l’altro ieri sera, e che questi vengono presto bloccati.

Dopo mesi di Covid i rimpatri sono fortunatamente ancora bloccati, ma posti atroci come il CPR di Gradisca continuano esistere. Dentro ci finisce chiunque capiti sotto tiro nel momento sbagliato, purché migrante e con problemi con i documenti. Tra le persone con cui abbiamo parlato c’è chi ci ha detto di esserci capitato dopo essere andato in questura a sollecitare la residenza, chi perché ha ricevuto un controllo per strada, chi perché uscendo dopo un mese in prigione si trova una camionetta ad aspettarlo per prolungare la sua detenzione.

Storie il cui senso può essere visto solo nella macchina del ricatto usata per lo sfruttamento della mano d’opera migrante e di cui il CPR ne è un ingranaggio punta. Perché nel piccolo e nel personale di ognuna di queste storie, un senso logico non c’è. Benché si cerchi di dipingere i reclusi come criminali si tratta di persone che per puro caso o sfortuna vengono inviate ad impazzire nel CPR, un posto inaccettabile, inattaccabile, ignifugo, senza socialità, dove le persone vengono chiuse in gabbie e dove spesso non gli rimane che tagliarsi letteralmente il corpo dal dolore. Se poi vengono anche davvero deportate nel paese d’origine, allora per molte, che ormai hanno una vita in Italia, nel migliore dei casi è come se un mondo intero gli crollasse addosso.

Che crollino le mura del CPR di Gradisca!

La foto è recente e ci è stata inviata dall’interno dicendoci che è il braccio di uno dei detenuti nel CPR di Gradisca, una delle tante braccia tagliate lì dentro.

Da nofrontierefvg.noblogs.org