La rivolta nelle carceri è stata giusta e necessaria.
A causa dell’epidemia di Covid-19 sono morti ufficialmente quattro detenuti nelle carceri italiane. Il primo decesso, che ha riguardato l’uomo di 77 anni, Vincenzo Sucato, è avvenuto il primo aprile scorso all’interno del carcere di Bologna. Un altro decesso a causa della Covid-19, quello di Antonio Ribecco, invece, si è verificato il 10 aprile nel carcere di Voghera, mentre David Antonio Rivera Costa è morto dopo tre settimane di ricovero all’Ospedale San Paolo di Milano, trasferito lì dopo il contagio all’interno del carcere di San Vittore, dove era recluso per una serie di furti.
L’ avvocato dell’uomo, Massimiliano Migliara, all’indomani del decesso ha commentato sulla stampa così: «Spero che vicende come questa facciano riflettere chi in questi giorni ha scompostamente gridato all’indirizzo di magistrati seri che scarceravano detenuti comuni per gravi motivo di salute».
E ancora, il 7 maggio, Giovanni Marzoli, un detenuto di 67 anni si spegne a causa del virus all’interno del reparto Covid dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, dove era stato trasferito dal carcere bolognese della Dozza. Eppure, nonostante sessanta morti avvenuti nei penitenziari dall’inizio dell’anno, di cui un terzo classificati come suicidi dal Centro Studi Ristretti Orizzonti che in venti anni di attività ha calcolato (con i dati aggiornati allo scorso 14 maggio) 3.087 morti, di cui oltre 1100 suicidi; sebbene in solo giorno, lo scorso 7 marzo, ci siano stati 13 morti nel corso di eventi di protesta legati all’emergenza Covid-19 frettolosamente classificati come “rivolte”.
Suicidi- Nello stesso periodo erano stati 18 due anni fa e 16 l’anno scorso. Secondo l’ultimo bollettino del Garante nazionale delle persone private della libertà, sono 52.622 le persone recluse. Le detenzioni domiciliari concesse dal 18 marzo sono 3.555, di cui 1.005 con braccialetto elettronico.
Ma a questi numeri il Garante purtroppo ha dovuto affiancare quello dei 21 suicidi registrati dall’inizio dell’anno fino a oggi. In realtà, purtroppo, nel frattempo se n’è aggiunto un altro ed è relativo al suicidio avvenuto al carcere di Rebibbia sabato scorso.
Sempre secondo il Garante, il numero dei suicidi, per quanto può contare una valutazione parziale, è superiore a quello degli ultimi due anni (alla stessa data erano 16 nel 2019 e 18 nel 2018). Quello che colpisce dal bollettino è che in ben tre casi di suicidio si è trattato di persone che avevano appena fatto ingresso in Istituto e, conseguentemente, erano state collocate in isolamento sanitario precauzionale.
Proprio l’ultimo suicidio a Rebibbia riguarda un detenuto di 42 anni, le sue iniziali sono P.B. ed è stato ritrovato impiccato. Anche lui era in isolamento precauzionale. Non a caso il Garante nazionale, nei precedenti bollettini, considerando la situazione di particolare vulnerabilità delle persone che, facendo ingresso in carcere, vengono collocate in isolamento sanitario precauzionale, ha proposto l’ipotesi di dotare, almeno temporaneamente, gli Istituti di un’équipe di supporto psicologico, in maniera analoga a quanto si è già realizzato con l’inserimento di 1000 operatori socio-sanitari, reclutati con apposito urgente bando.
La problematica dei suicidi in carcere è stata ben evidenziata anche dall’ultimo rapporto di Antigone prendendo in esame l’anno 2019. Dei 53 suicidi, poco più di un terzo si è concentrato in otto istituti, 4 al nord (3 nella Casa Circondariale di Genova Marassi, 2 nella Casa di Reclusione di Vigevano, 2 nella Casa Circondariale di Torino e 2 nella Casa Circondariale di Milano San Vittore); un istituto al centro ovvero la Casa Circondariale di Perugia dove i suicidi sono stati 2; l’istituto di Cagliari in Sardegna con 2 suicidi e al due istituti al sud, la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale dove i suicidi sono stati 3 e la pugliese Casa circondariale di Taranto.
Di questi otto istituti bene tre comparivano tra i primi dieci per suicidi anche nell’anno precedente: Napoli Poggioreale al primo posto con 4 suicidi, Cagliari e Taranto con 2. L’istituto campano è senza dubbio tra i più problematici d’Italia sotto numerosi aspetti, primo fra tutti la sua dimensione. Con una capienza regolamentare di 1635 detenuti, in realtà ne ha ospitati nel 2019 ben 2.267 di cui il 32% con condanna definitiva.
Interessante vedere in quali istituti c’è stata più incidenza di suicidi negli ultimi 10 anni. Ancora mantiene il numero assoluto più elevato l’istituto napoletano di Poggioreale con 22 suicidi; ma problematici appaiono i dati dei più piccoli istituti soprattutto di Cagliari con 16 suicidi con una media di presenti di più di 4 volte inferiore a quella di Poggioreale e Como, un istituto molto più piccolo con una capienza regolamentare media di circa 250 detenuti e un tasso di sovraffollamento medio del 184%. L’affollamento non solo riduce lo spazio fisico a disposizione di ciascun ristretto, ma riduce anche tante altre possibilità all’interno di un carcere.
Riduce l’accesso al lavoro, la possibilità di essere seguiti dagli educatori nel percorso di trattamento e, quello che senza dubbio qui più rileva, riduce anche l’accesso ai servizi per la salute mentale come le ore di servizio di psicologi e psichiatri ogni 100 detenuti. La media nei 98 istituti visitati da Antigone nel 2019 è di 7,4 ore a settimana ogni 100 detenuti per gli psichiatri e 11,8 ore a settimana per gli psicologi.