Venerdì 19, dalle ore 9:30, Presidio nazionale al Tribunale dell’Aquila

Per la libertà della Palestina e di tutti i prigionieri palestinesi

Un altro palestinese in carcere per il suo impegno per la Palestina libera. Si chiama Ahmad Salem, 24 anni, arrestato a Campobasso mentre andava a chiedere asilo politico. La sua colpa? Aver avuto nel suo cellulare un video, trasmesso anche alla RAI, con il quale invitava a mobilitarsi contro il genocidio. Lo si accusa di “terrorismo della parola”, un reato introdotto con un recente decreto da questo governo fascista, ma sarebbe più corretto dire che lo si accusa di essere palestinese e di essere contrario alla pulizia etnica del proprio popolo.

Il caso di Ahmad Salem purtroppo non è un caso, ma si inserisce a pieno in un clima di repressione razzializzata, in quel solco scavato dal processo ad Anan, Ali e Mansour, dal cui esito, previsto per venerdì 19, sapremo se questo paese ha ancora il coraggio di guardare in faccia la Palestina, o se preferisce continuare a processarla, imprigionarla, deportarla.

Un processo alla resistenza del popolo palestinese, la cui traiettoria era già chiara in fase embrionale. Prima con la richiesta, accolta dal governo italiano, di estradare Anan, poi con il rinvio a giudizio, con l’accusa di “terrorismo”, anche di Ali e Mansour, nonostante la sentenza della Corte di Cassazione del luglio 2024.

Un processo che sin dal suo inizio, dal 2 marzo 2025, ha visto la Procura dell’Aquila infischiarsene delle decisioni precedenti dell’autorità giudiziaria italiana e spalancare di nuovo la porta ai servizi israeliani, chiedendo di far rientrare nel fascicolo del dibattimento i verbali degli interrogatori subiti da 22 prigionieri palestinesi di Tulkarem da parte dello Shin Bet e della polizia giudiziaria israeliana. Di questi 22 interrogatori, a cui sono stati sottoposti altrettanti ragazzi palestinesi arrestati, deportati e processati in corte marziale da Israele in assenza di qualsiasi garanzia difensiva, solo 7 sono stati esclusi in prima battuta dal dibattimento, in quanto sui loro verbali c’era scritto, nero su bianco e per decreto, che non avrebbero avuto neanche la possibilità di telefonare a un avvocato.

I restanti 15 interrogatori sono stati esclusi dal dibattimento solo successivamente per ricorso della difesa, e solo per l’impossibilità di identificarne la fonte, ossia l’identità degli agenti dello Shin Bet che li avevano redatti. Non per le torture sistematiche e acclarate praticate da quest’ultimo quindi, ma per mero vizio procedurale!

Un processo caratterizzato dall’oltraggio al diritto di difesa: di 47 testimoni proposti ne sono stati ammessi solo 3, a nessuno dei quali sarebbe stato in ogni caso consentito di riferire sul contesto di violenza coloniale in Cisgiordania.

Quella violenza praticata anche dai coloni israeliani, che in questo processo si vorrebbero far passare come “civili”, anche se civili non sono. L’ultimo teste della difesa ha parlato di riservisti, ex militari dell’esercito israeliano che girano armati e svolgono funzioni di polizia insieme all’esercito, squadre paramilitari di ultraortodossi, strettamente collegate con l’esercito da un coordinatore nominato dall’esercito.

Storicamente, lo stesso Stato di Israele è stato fondato col terrorismo di queste bande paramilitari che poi sono state integrate nell’esercito israeliano. Quindi è lo stato sionista che si fonda sul terrorismo e non la resistenza ad esso!

Ci sono state varie udienze, ma in queste udienze la voce della difesa, la stessa voce di Anan, è stata distorta, ostacolata, minimizzata.

Ammessa a parlare del contesto coloniale in Cisgiordania la sola Digos dell’Aquila, fino a quando non è stata esplicitamente tirata in ballo dalla Procura, e ammessa al dibattimento, la testimonianza dell’ambasciata israeliana.

Il 21 novembre l’accusatore ha mostrato il suo vero volto: mentre al pubblico veniva proibito di indossare una kefiah o di mostrare una bandiera palestinese, davanti a una bandiera israeliana lo Stato occupante processava l’occupato per aver resistito all’occupazione. Chi terrorizza e uccide impunemente centinaia di migliaia di civili palestinesi, chi ha torturato Anan, era seduto sul banco dell’accusa di un tribunale italiano.

Ignorando completamente la testimonianza dell’ultimo teste della difesa, l’accusa ha occupato 4 ore a rileggere gli atti dell’inchiesta, come se non ci fosse stato mai un processo.

Alla fine della “requisitoria” l’accusa ha chiesto 7 anni per Mansour e 9 per Ali, dei quali la Cassazione aveva disposto la liberazione per mancanza di indizi. Per Anan 4 anni in più di quanti Israele gliene inflisse nel 2006 per fatti inerenti alla seconda intifada.

Per questo il 19 dicembre a L’Aquila ci sarà un presidio nazionale di solidarietà in occasione dell’udienza finale del processo. Perché la Resistenza è l’unica speranza di un popolo senza speranza. La Resistenza non è terrorismo, la Resistenza non si arresta e non si processa!

Libertà per Anan, Ali, Mansour!

Libertà per tutti i prigionieri politici palestinesi incarcerati in Italia!

Terrorista è Israele e i suoi complici!

Soccorso rosso proletario L’Aquila

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