Stando all’ultimo rapporto del garante nazionale di chi è privato/a della libertà, pubblicato a fine marzo, sono 740 le persone detenute in 41 bis, tra cui 12 donne. Nel carcere di L’Aquila, l’unico ad avere una sezione femminile di quel regime di totale isolamento, sono rinchiuse ben 150 persone. Il numero più alto di tutti gli altri 60 reparti distribuiti in 12 carceri.
E’ stato detto più volte, la lotta portata avanti con il proprio corpo da Alfredo, compagno anarchico, ha disvelato cosa si nascondeva dietro ciò che è stato definito, sin dalla sua nascita, uno strumento magari un po’ contraddittorio ma necessario ai fini della “democratica” lotta alla criminalità organizzata, della eroica lotta dei paladini del “bene” contro il “male”.
Il 41bis si è rivelato essere ciò che realmente è: un regime carcerario che vuole silenzio, non solo al suo interno ma anche intorno a sé.
Nato come provvedimento emergenziale si è trasformato gradualmente in prassi, sino ad essere normato come luogo di sperimentazione di tutte quelle pratiche e restrizioni che servono a dividere ed indebolire
l’intera popolazione carceraria. Dal divieto della parola, della socialità, della corrispondenza, dei rapporti familiari al divieto della lettura. Luogo di esasperazione del carcere in cui tutto può succedere e divenire consuetudine.
Ciò che finalmente è emerso è la brutalità del 41bis, agghiacciante nella sua “logica” regolamentare e di giustificazione autoassolutoria.
Strumento ritorsivo e di annichilimento della volontà, identità e dignità della persone a cui è applicato.
E poiché, per altro, tale condizione può aver fine solo attraverso la collaborazione con lo Stato e le sue forze repressive, ecco che definire il 41bis uno dei moderni strumenti di tortura, non può avere il sapore di una spropositata enfatizzazione. Resti chiuso/a lì dentro fino a che non ti dissoci, fino a che non collabori. Tutto il resto, la privazione più totale delle relazioni e sensazioni, non ha importanza: sei un numero e devi imparare ad accettarlo e far tua questa consapevolezza.
Emblematica la decisione di applicare ad Alfredo il 41bis.
Siamo nel pieno di una guerra esterna, questa volta molto vicina a noi.
Si profilano mutate strategie geopolitiche, scontri egemonici per l’accaparramento di risorse. Pioggia di miliardi per i signori della guerra, per chi finanzia l’industria delle armi e la ricostruzione dei territori, miseria e lutto per gli/le esclusi/e.
La indotta crisi economica e sociale può portare con sé le condizioni affinché il dissenso cresca e si trasformi in qualcosa che vada a modificare, magari ribaltandoli, gli equilibri sempre più fragili che stanno alla base del sistema di sfruttamento che ha portato al peggioramento delle condizioni di vita: lavoro, sanità, scuola e ambiente sono ormai ridotti allo stremo.
Per questo è necessario che alla guerra esterna venga affiancata una guerra interna, ormai sempre più evidente: propaganda, paure e razzismo sono la ricetta che i governi vari propongono per allontanare l’incubo dei conflitti interni.
È necessario, al fine di promuovere ulteriori strette repressive che arriveranno a colpire anche il dissenso dei più sinceramente democratici, creare un nuovo nemico interno. Lasciare morire Alfredo, esaspera ed esaspererà gli animi dei solidali che si mobilitano, per poi poter tuonare sulla “intollerabile violenza” rappresentata da qualche incendio, vetrina rotta o scritta sul muro. Tutte le azioni di rabbia e solidarietà saranno tacciate di “terrorismo”.
L’obiettivo: “colpirne uno per educarne 100”. Isolare, controllare e intimidire al fine di prevenire qualsiasi espressione di protesta contro le politiche di uno Stato che ha, per esempio, come ministro della difesa un mercante d’armi che ci sta portando a passi da gigante verso una guerra nucleare.
Per chi non ci sta, non si sottomette, sono pronti sgomberi, licenziamenti, repressione e carcerazione, di cui il 41bis è il fiore all’occhiello e punta dell’iceberg.
Il carcere di L’Aquila, con la sua quasi totalità di persone detenute in 41bis, rappresenta la quintessenza della cinica e sprezzante arroganza di chi sta fagocitando le nostre vite. Di chi porta avanti politiche di annientamento corporeo e mentale. Di chi è responsabile di stragi in mare, nelle strade, nei luoghi di lavoro e non ultimo nelle carceri.
La lotta contro il 41bis, che ha acquisito maggior respiro da quando Alfredo ha iniziato lo sciopero della fame, non può prescindere dal farla conoscere a chi quel regime lo vive sulla propria pelle.
Rompiamo l’isolamento.
Tutte e tutti a L’Aquila – sabato 22 aprile ore 15 – PRESIDIO AL CARCERE