Nel 2017, dopo quasi 30 anni di ritardo dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, l’Italia ha approvato una norma per punire quello che l’Onu considera un crimine contro l’umanità. Uno di quei crimini che danno la possibilità alla Corte Penale Internazionale di processare dittatori e criminali.
Prima dell’approvazione di quella legge l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per diversi fatti che accaddero nel paese: le torture nel carcere di Asti, nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz. In tutti questi casi l’Italia fu condannata perché non aveva una legge che permettesse di fare giustizia nei casi di tortura.
Ad oggi nessun paese nel quale la legge è in vigore la ha abolita.
Da quando la legge fu approvata sono state condannate, imputate, indagate, oltre 200 persone tra agenti, funzionari, operatori, medici, in processi riferibili a casi di presunte o comprovate torture. Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini della “mattanza” avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Membri di Fratelli d’Italia hanno dichiarato, nel presentare richiesta di abolizione di questa legge, che le maglie troppo larghe rischiano di portare a subire denunce e processi strumentali. La storia di questi primi 6 anni ci dice che questo non sta avvenendo e in molti casi i processi, oltre che dalle testimonanze, sono sorretti anche da immagini che lasciano poco spazio al dubbio che un procedimento sia strumentale. Quelle di Santa Maria Capua Vetere che ricordavamo, quelle di quanto avvenuto nel carcere di San Gimignano, entrambi casi in cui le immagini sono state rese pubbliche. E altri in cui, ad oggi, le immagini sono parte degli elementi probatori nei processi in cui siamo costituiti parte civile.
Il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT), nel report pubblicato lo stesso giorno in cui è stata presentata la proposta di legge aveva ribadito come in tutte le carceri visitate erano stati riferiti episodi di maltrattamenti e violenze. Sottolineando però come i detenuti abbiano chiarito che la maggior parte degli operatori li abbiano trattati nel pieno rispetto dei loro diritti. Mantenere la legge che punisce la tortura significa stare anche con questi operatori che svolgono un lavoro difficile e delicato, che spesso non riceve il giusto riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui siamo convinti che l’impegno delle istituzioni, in un paese dove lo Stato di diritti sia solido, sia quello di contrastare la tortura e non la legge che permette di perseguire chi si macchia di questo crimine.
Per firmare la petizione: https://chng.it/mVhsTHhMLx