Più di 40 morti e oltre 4400 arresti, è il bilancio della rivolta popolare in Kazakistan reso noto dall’emittente di Stato Khabar 24 citando dati ufficiali. Tra le vittime sarebbe rimasta uccisa una ragazza di 15 anni. E il numero delle vittime e degli arresti continua a salire dopo la dichiarazione dello stato di emergenza e l’ordine di aprire il fuoco sui manifestanti, per uccidere quelli che vengono definiti “terroristi” e “militanti” manovrati da “agenti stranieri”.
Terroristi sono gli affamapopolo che hanno ridotto alla fame le masse kazake! SRP condivide e fa suoi l’analisi e il comunicato di denuncia e solidarietà espressi da proletari comunisti, che riportiamo in parte di seguito, ma che invitiamo a leggere integralmente nel nuovo blog:
La scintilla che ha infiammato la rivolta è stata la decisione da parte del governo di aumentare il prezzo del GPL, un provvedimento volto a garantire i profitti al clan al potere da 30 anni, che sono a capo del monopolio in ogni settore dell’economia, in particolare petrolio e gas e per consolidare, così, privilegi e corruzione, mentre i lavoratori e le masse oppresse e sfruttate continuano a sprofondare nella miseria.
Le difficoltà della pandemia e gli aumenti dei prezzi – che hanno spinto i tassi di interesse al 9,75% – hanno peggiorato ancora di più le condizioni delle masse, il materiale infiammabile su cui si è innestata la decisione del governo.
La prima scintilla delle proteste si è accesa il 2 gennaio a Zhanaozen, nel Sud-Ovest petrolifero del Kazakhstan, regione di Mangistau, dove la stragrande maggioranza dei veicoli va a gas di petrolio liquefatto, nel giro di pochi giorni il prezzo del GPL è raddoppiato, da 60 a 120 tenge al litro (da 0,12 a 0,24 centesimi di euro). In un Paese in cui il salario medio è sui 250.000 tenge (506 euro), ma dove molti contano su redditi non superiori all’equivalente di 100-150 euro.
Quando il Governo ha cercato di correre ai ripari, riversando la colpa sull’avidità delle compagnie energetiche e dei distributori e ha ripristinato il prezzo di 50 tenge al litro, era ormai troppo tardi. Da Zhanaozen la protesta era già dilagata nei villaggi e città della regione, il porto di Aktau sul Caspio, Atyrau e Aktobe. Nel Nord e nel Sud del Kazakhstan, fino ad Almaty, l’ex capitale.
La lotta contro il regime si è estesa e rafforzata con scioperi e manifestazioni nella notte del 4 gennaio quando gli operai sono scesi in piazza ad Almaty, nella regione di Mangghystau, affacciata sul Mar Caspio, nell’ovest del Kazakistan e in altre città e regioni del Kazakistan. A Shymkent i camionisti hanno bloccato le strade.
Ai lavoratori petroliferi in sciopero del Kazakistan occidentale si sono uniti i minatori. Nel frattempo, i lavoratori del petrolio in sciopero bloccavano ferrovia ed autostrada del campo di Tengiz, bloccando il passaggio di manager stranieri e della polizia, nelle fonderie di rame della società Kazakhmys ci sono stati scioperi e manifestazioni, con gli operai che chiedevano un aumento del 100% dei salari.
Questi scioperi sono scioperi politici perché hanno come obiettivo la caduta del regime del presidente Tokayev, fantoccio di Nazarbajev. Nazarbajev, chiamato Nursultan, letteralmente «il Sultano di Luce», è il leader del partito dominante, Nur Otan (“Patria luminosa”), capo del potente Consiglio di sicurezza nazionale, padre-padrone che ha venduto il suo paese all’imperialismo, si è arricchito lui e ha ingrassato la sua numerosa famiglia, che si è appropriata delle ricchezze di un Paese ricco di risorse energetiche, la principale economia dell’Asia Centrale.
I manifestanti hanno urlato “via il vecchio” – riferendosi proprio a lui – , rivendicano l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici, la formazione di un governo provvisorio e il ritiro dall’alleanza con la Russia. Ma la risposta del regime è la violenta repressione in un bagno di sangue e le migliaia di arresti. Il presidente Tokayev ha autorizzato le forze dell’ordine ad aprire il fuoco sui manifestanti e a sparare per uccidere: “Coloro che non si arrendono saranno eliminati”.
Il clan al potere, corrotto e fascista, è al servizio dell’imperialismo e si mantiene da trent’anni al potere con la repressione. Ma gli operai e le masse non hanno mai smesso di lottare contro di esso. Nel recente passato ci sono state dure lotte contro i padroni del petrolio e, nel 2011, queste hanno riguardato lo scontro anche contro l’imperialismo italiano al servizio del capitalismo monopolistico di Stato dell’ENI.
Il Kazakistan ha alcuni dei più grandi giacimenti petroliferi della terra e oltre il 40% della produzione mondiale di uranio ma queste ricchezze non sono per le masse. Il giacimento petrolifero di Tengiz, nella parte occidentale del Paese vicino al Mar Caspio, è uno dei più grandi al mondo. Chevron ed Exxon Mobil, le due più grandi compagnie petrolifere americane, sono nel mezzo di un’espansione stimata di 37 miliardi di dollari nel giacimento di Tengiz. Anche Exxon, Shell, la francese Total e l’italiana Eni sono tutti azionisti di un altro enorme giacimento, Kashagan, nel Caspio.
I lavoratori kazaki hanno pagato duramente con morti e con una feroce repressione il fatto di avere scioperato qualche anno fa contro i monopoli imperialisti e, in particolare, contro l’ENI, come riporta il Corriere della sera 10 SETTEMBRE del 2012: “Kazakistan, violati i diritti dei lavoratori. Un rapporto di Human Rights Watch accusa anche l’Eni”
“I diritti di migliaia di lavoratori del settore petrolifero kazako sono violati da leggi repressive e da pratiche illegali da parte di tre società petrolifere operanti nella parte occidentale del Paese, tra cui la Ersai Caspian Contractor Llc, una compagnia parzialmente di proprietà della Saipem (gruppo Eni). Lo ha denunciato l’organizzazione Human Rights Watch (Hrw). Violazioni che, secondo Hrw, hanno portato a scioperi, licenziamenti di massa e proteste che, il 16 dicembre scorso, sono degenerate in violenti scontri nella cittadina di Zhanaozen, nel Kazakistan occidentale. Al termine della giornata sul terreno rimasero dodici operai uccisi e parecchie decine feriti dalla polizia.
La Russia sta intervenendo in Kazakistan (che, come tutti gli imperialisti, chiama missione di “pace”), “su richiesta” del presidente kazako. Questo è il suo primo intervento militare dal 1992, l’anno della sua fondazione, attraverso le forze della Collective Security Treaty Organization (CSTO), la NATO russa, per mantenere in piedi il regime fantoccio odiato da proletari e masse e imporre il suo tallone di ferro imperialista per reprimere la rivolta.
Imperialisti, il socialimperialismo, i regimi reazionari sono tutti contro la rivolta e a favore del regime: il boia Erdogan, in qualità del presidente di turno dell’Organizzazione degli Stati turchi, ha espresso solidarietà al regime, così come il primo ministro armeno presidente di turno del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO si è allineato su una posizione interventista, la Cina, minacciata nei suoi interessi per il petrolio, è disposta a offrire tutto il supporto necessario» «a superare le recenti difficoltà» negli “affari interni” del Kazakistan.
Stampa e tv italiane e dei paesi imperialisti fanno da megafono al presidente kazako parlando di “proteste soffocate” e giustificano l’intervento repressivo “per la violenza dei manifestanti”, contro gli agitatori della rivolta, contro “le bande di terroristi addestrati all’estero” e chiamano “truppe di pace” i militari russi.