Cpr, l’accusa dei periti dopo la morte di Moussa Balde: “Non c’era solo l’ospedaletto, gravi carenze in tutta la gestione sanitaria”
Il documento nelle mani dei magistrati che hanno aperto un’inchiesta dopo il suicidio del ragazzo africano
Gli avvocati dei migranti e le associazioni di giuristi che a lungo si sono occupate del Cpr, l’avevano già sostenuto a gran voce. Ma ora anche i consulenti della procura hanno stabilito quanto «inadeguata e carente» sia la gestione sanitaria delle persone trattenute in corso Brunelleschi in attesa di essere rimpatriate. L’anticipazione della loro perizia ricostruisce un quadro di gravi inadempienze e mancanze, che servirà alla pm Rossella Salvati e all’aggiunto Vincenzo Pacileo per tirare le fila dell’inchiesta che vede indagati il medico e il direttore della struttura, oltre ad alcuni poliziotti.
Il lungo elenco dei tentativi autolesionistici e anticonservativi è solo l’ultima parte di un capitolo amaro di questa struttura, finita nell’occhio del ciclone dopo il suicidio, il 23 maggio, di Moussa Balde, il migrante che era stato aggredito per strada a sprangate a Ventimiglia e che era stato portato al Cpr e messo in isolamento all’“ospedaletto”, una struttura fatiscente, con gabbie “pollaio”, senza possibilità di controllo dall’esterno delle condizioni di chi è recluso. Proprio sull’“ospedaletto” (ora chiuso per ristrutturazione) si sono soffermati i consulenti della procura, un pool di medici che deve valutare sia i trattamenti sanitari fisici e psicologici degli ospiti, sia se spazi e procedure fossero corretti.
L’anticipazione arrivata sul tavolo della procura racconta di una mancanza di organizzazione, un sistema mal concepito, ma anche di una «assenza di protocolli». L’ospedaletto non è un luogo adatto «per l’osservazione delle persone» che vengono messe lì per ragioni sanitarie (nel caso di Moussa Balde era per il sospetto di una dermatite) .
Il regolamento del Cpr prevede una stanza di osservazione, ma questa dovrebbe essere uno spazio attiguo a quello dove visitano medici e infermieri, non distante quasi cento metro da loro, dove nemmeno le grida e i lamenti degli ospiti possono venire udite da loro. Il controllo non può essere affidato alla ronda esterna dell’esercito: dovrebbe essere il personale sanitario a verificare la situazione di persona.
Ma manca personale e questa carenza è la prima lacuna lampante. Basti pensare, come aveva spiegato l’Asgi nel “libro nero” del Cpr, che per 180 reclusi, «c’è solo un infermiere per 24 ore e un medico è presente solo cinque ore al giorno».
Anche sul fronte psicologico, gli esperti incaricati dalla procura hanno messo in luce una serie di gravi carenze da protocollo. Nel libro nero si dava atto di un’assistenza di questo tipo garantita solo per 24 ore alla settimana. «Nei primi dieci mesi di pandemia nessun medico psichiatra ha fatto ingresso nel Cpr» denunciava l’Asgi. E alcuni mesi fa era stato trattenuto un uomo, con gravi problemi (un coprofago) che durante un’ispezione era stato trovato tremante e in condizioni drammatiche: non riusciva nemmeno a parlare.
Non stupisce gli inquirenti il fatto che le persone trattenute, che hanno affrontato spesso viaggi della speranza per fuggire dalla povertà e dalle guerre del proprio paese, mettano in atto gesti anticonservativi, sia come escamotage che come atti dimostrativi per evitare di rimanere lì e poi essere rimpatriati.
I tentativi di suicidio all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino, in atto dalla fine di settembre, sono un pretesto per uscire, per ottenere rapidamente il rilascio per motivi sanitari. Negli ultimi due mesi 115 persone avrebbero cercato di togliersi la vita strofinandosi il collo con lenzuola di carta o ingerendo sorsate di bagno schiuma: dopo la visita medica, sono state tutte liberate.
Ci sono 7 indagati: la direttrice della struttura, il medico e 5 agenti. Sotto accusa le carenze del centro, e l’assistenza sanitaria. «Quella di Moussa è una tragedia su cui non si discute e sarà la magistratura ad accertare i fatti. Al momento nel complesso di corso Brunelleschi ci sono una cinquantina di ospiti, ma i numeri oscillano ogni giorno. Il centro è l’anticamera delle espulsioni. Nel 2019 erano state espulse 430 persone, 50 nel 2020, 133 nel primi mesi del 2021.
Stando ai dati, i tentativi di suicidio sono 5 o 6 al giorno.