«A Sant’Anna denudato e picchiato contro il muro. Ci ammazzavano di botte» Un carcerato scrive al Garante raccontando di pestaggi e di effetti mai restituiti
di Carlo Gregori
«Siamo stati ammazzati di botte». «La più grande macelleria che ho visto nella mia vita». Un’altra drammatica denuncia di pestaggi, maltrattamenti e in questo caso di mancata restituzione di documenti e beni preziosi è stata resa pubblica da un detenuto che era presente a Sant’Anna l’8 marzo 2020 durante e dopo la rivolta è che poi è stato trasferito al carcere di Ascoli dove è morto anche Sasà Piscitelli. La lettera è stata mandata al garante nazionale per i detenuti Mauro Palma e ora circola anche pubblicamente. L’ha scritta un detenuto straniero che dice di aver subito vessazioni non solo nella serata dopo la rivolta e nei giorni successivi.
L’aspetto più inquietante, in questo caso, è proprio la sparizione di suoi effetti prelevati al momento del trasferimento e dopo quello che ha definito un pestaggio a un uomo denudato. Scrive (abbiamo corretto gli errori grammaticali): “Vogliamo sapere che fine hanno fatto i miei oggetti di valore. Trecento grammi di oro. Braccialetti, anelli, collane alla mia moglie (sic!). Documenti di valore (patente di guida rumena, carta di credito, postapay rimaste in carcere a Modena). Il sequestro del cellulare. I documenti di mio padre sono rimasti a Modena. Rivoglio i documenti di identità di mia moglie”. La lettera, scritta a mano con una grafia curata, denuncia una serie di gravissimi abusi. A cominciare dal giorno della rivolta: “Mi hanno messo al muro con la testa giù, spogliato tutto nudo davanti alla gente. Picchiato con pugni e calci vicino al muro e tenuto su col manganello alla gola. Sputavo sangue dalla bocca. Mi hanno operato la mano, fatto la coronografia, ho ancora male al braccio sinistro”. E poi la rivendicazione: “Vogliamo i nostri diritti. Siamo delle persone. Degli animali sonio picchiati coi manganelli in terra. Per cosa portano i vestiti dello Stato? Per ammazzare la gente”.
Racconta anche il suo trasferimento ad Ascoli, insieme con Sasà, morto poche ore dopo. «Ho visto della gente lì morire davanti ai miei occhi. Vedevi la squadra. Ho problemi alla gola da quando mi hanno tenuto col manganello alla gola. È il più grande massacro. Siamo stati senza vestiti e scarpe. Ci hanno fatto magiare un panino duro come un sasso. Andavamo alla doccia con l’acqua sporca (…) Non potevi aprire la bocca e ti ammazzava di botte. La più grande macelleria che ho visto nella mia vita. Ti massacravano di botte. Andavo a telefonare e staccava la linea. Ecco cosa facevano. Potenza sopra i detenuti. Siamo ammazzati di botte. Denuncio tutto». La lettera è firmata ed è molto simile alla lettera anonima inviata in luglio. E anonima anche la lettera inviata al procuratore di Modena Luca Masini per denunciare altri abusi ai quali avrebbero partecipato i massimi dirigenti delle istituzioni penitenziarie regionali. E’ la prima volta che un detenuto, anche se anonimo (e quindi un teste privo di valore), scrive direttamente alla Procura di Modena. «Per favore, signor procuratore, accerti la verità».