Il blitz, ordinato dal ministero dell’Interno libico è scattato venerdì mattina a Gargaresh, una zona di Tripoli densamente popolata da migranti e richiedenti asilo, ed è proseguito fino a ieri. Decine e decine di agenti supportati da mezzi blindati sono entrati nelle case abitate da famiglie di migranti arrestando quanti si trovavano all’interno, donne e bambini compresi. Migranti disarmati sono stati molestati nelle loro case, picchiati e fucilati. Secondo organizzazioni per la tutela dei diritti umani, gli agenti hanno trascinato le persone con la forza fuori dalle abitazioni, ammanettandole e trasferendole a Tripoli dove sono state richiuse nei centri di detenzione per migranti gestiti sempre dal ministero dell’Interno.
Il bilancio temporaneo parla di almeno un morto e 15 feriti, alcuni in modo grave, mentre le persone arrestate sono 4.000, 500 nella giornata di venerdì. «Siamo allarmati dalle notizie di arresti in massa di migranti», ha detto Dax Roque, direttore in Libia del Consiglio norvegese per i rifugiati che per primo ha dato notizia di quanto stava accadendo. Un attivista libico che lavora con l’Organizzazione Belaady, Tarik Lamloum, ha invece confermato come durante il raid siano stati violati i diritti umani dei migranti, in particolare per il modo in cui donne e bambini sono stati arrestati.
Ieri il premier del governo ad interim, Abdulhamid Ddbeibah, ha definito «eroi» gli agenti che hanno partecipato all’operazione, giustificata dal ministero dell’Interno come un blitz contro trafficanti di uomini e spacciatori di droga. Salvo poi ammettere che nessun trafficante risulta tra gli arrestati né tanto meno spacciatori. Almeno non di grosso calibro. E sarebbe stato strano il contrario. La stragrande maggioranza delle persone finite in manette sono infatti migranti che, seppure prive di documenti e quindi presenti in maniera illegale nel Paese, si trovavano in Libia per lavorare e stando a quanto affermato dalle organizzazioni umanitarie in molti sarebbero anche registrati presso l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, come rifugiati o richiedenti asilo. Il blitz di ieri si spiegherebbe quindi più come una prova di forza del governo ad interim in vista delle possibili elezioni di dicembre utile a dimostrare all’opinione pubblica un capacità di controllare il territorio. Sfruttando anche un diffuso sentimento anti migranti che, a detta di alcune organizzazioni internazionali, si starebbe trasformando in una più generale avversione verso gli stranieri in generale.
In serata un funzionario della polizia ha annunciato l’intenzione del governo di espellere quanti più migranti possibile nei loro Paesi di origine. «Siamo scioccati per quanto sta accadendo in questi giorni. Negli anni ci sono stati altri blitz contro i migranti ma mai di queste dimensioni e comunque il ministero dell’Interno non li rivendicava come invece fa oggi», commentava in serata il volontario di una ong presente in Libia. «Non dovremmo sorprenderci se le persone sono spaventate e se tentano di fuggire via mare», ha commentato Vincent Cochetel inviato speciale dell’Onu per i rifugiati nel Mediterraneo centrale, denunciando anche lui un «uso eccessivo della forza» da parte delle autorità libiche.
L’episodio di Gargarish è solo l’ultimo atto del trattamento inumano riservato a migranti e richiedenti asilo dalle sedicenti “autorità di sicurezza libiche”. Sabato 2 ottobre, il quotidiano “Avvenire” ha denunciato la deportazione nel “nulla” di migranti e rifugiati recuperati in mare, abbandonati tra la sabbia e i sassi senza quasi più acqua né cibo in una zona desertica al confine tra Tunisia e Libia.