Patrick Zaki è in carcere da un anno e mezzo, esatto. Lo studente egiziano dell’università Alma Mater di Bologna dorme per terra, in un’affollata cella del famigerato carcere di Tora alla periferia del Cairo.
18 mesi di detenzione illegale
Quella mattina del 7 febbraio 2020 Patrick Zaki era appena arrivato all’aeroporto del Cairo. Una breve vacanza per rivedere la famiglia per poi tornare ai suoi studi all’Università di Bologna. Fuori lo aspettano i suoi famigliari, lo chiamano al telefono mentre fa la fila ai controlli dei passaporti, non vedono l’ora di riabbracciarlo. Non succederà. Nel giro di pochi minuti comincia un incubo che oramai dura da un anno e mezzo. Zaki viene arrestato, è sospettato di “attività sovversiva” e anti-governativa per alcuni post scritti su Facebook. Diciotto mesi, senza un processo, con la carcerazione “preventiva” prolungata ogni volta dal tribunale di 45 giorni, senza fine, in udienze che si ripetono identiche e che i suoi amici definiscono una “farsa”. Amnesty International ha denunciato “il diciottesimo mese di detenzione illegale, arbitraria, senza processo e senza possibilità di difendersi, con accuse tra l’altro di terrorismo, istigazione alla violenza, basate su post social da un account che i suoi avvocati non ritengono sia il suo”. La mobilitazione delle ong continua, come ha ribadito Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
“Per la nostra campagna questo anno e mezzo è trascorso veloce, ricco di mobilitazioni e di iniziative che hanno cercato di tenere alta l’attenzione sulla sua situazione. Ma per Patrick, chiuso nella sua cella della prigione di Tora, è stato un tempo lentissimo, pieno di angoscia, di dolore fisico, di sofferenza mentale”. Zaki soffre di asma e mal di schiena, il supercarcere è affollato e durante la pandemia sono state prese precauzione minime. E’ a rischio, soprattutto di un crollo psicologico, regge con l’aiuto degli amici e degli attivisti, riesce a fare avere all’esterno lettere, messaggi, e da ultimo anche i pezzi di una scacchiera scolpiti a mano da alcune saponette. Ma più passa il tempo, più la lotta è dura. Per l’attivista Amr Abdelwahab il caso è diventato soltanto una “questione politica: comincio a pensare e che tutto quello che ha fatto o farà non conti più niente, tutto dipende da una decisione dei governi italiano ed egiziano”. Oggi è in arrivo il nuovo ambasciato italiano al Cairo, Michele Quaroni, con il difficile compito di salvare il giovane studente.