E’ arrivato in questi giorni, direttamente sulla scrivania del ministro di grazia e giustizia Marta Cartabia, un “reclamo” da parte di uno dei cinque testimoni della morte di Sasà Piscitelli che già nel dicembre scorso avevano presentato un esposto alla procura di Ancona denunciando “Pestaggi, torture, soccorsi negati e accanimento contro un ragazzo in fin di vita”.
In queste sei pagine di testimonianza viene nuovamente descritta la barbarie a cui sono stati sottoposti i detenuti durante le rivolte. Non solo, si torna a porre l’accento nuovamente sui ritardi nei soccorsi o addirittura sulla loro omissione, ci si chiede come mai, anche in riferimento a quanto emerso recentemente a Santa Maria Capua Vetere con la pubblicazione delle immagini dei pestaggi e delle torture, non ci siano o non si siano ancora cercati i filmati riguardanti l’arrivo nel carcere di Ascoli dei detenuti provenienti da Modena in quel terribile marzo 2020. O ancora, ci si chiede come mai non siano stati controllati i cellulari degli agenti in servizio e, soprattutto, perché non siano ancora stati ascoltati per i violenti fatti accaduti ad Ascoli.
«Signor Ministro, non voglio ripercorrere tutto l’esposto ma ci tengo a farle sapere che, dal mio punto di vista, finché non si romperà il muro di omertà che copre questi posti, finché non vi sarà un vero e corretto dialogo tra detenuti e istituzioni il carcere rimarrà quello di sempre, un luogo la parola “reinserimento sociale” non trova spazio nella realtà, finché non vi sarà una vera riformabilità del sistema penitenziario italiano non abbatteremo mai il tasso di recidiva.
Con queste parole C.C. interrogandosi sul perché i vari garanti dei detenuti a cui si è rivolto non si siano interrogati circa la sua situazione denunciata, chiude questo esposto chiedendo pratiche alternative nella prospettiva di modificare radicalmente le istituzioni carcerarie nel loro complesso.