L’indagine su Santa Maria Capua Vetere. La protesta dei garanti della regione: «Li portano via di notte eppure, dopo “la mattanza”, guardie e reclusi sono rimasti nello stesso penitenziario per oltre un anno»
Si è avvalso della facoltà di non rispondere il provveditore delle carceri campane (sospeso dal servizio) Antonio Fullone, durante l’interrogatorio di garanzia ieri con il gip Sergio Enea. L’indagine è quella sulla «orribile mattanza» ai danni dei detenuti del reparto Nilo il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Fullone è indagato per depistaggio e favoreggiamento. Per la procura avrebbe autorizzato la «perquisizione straordinaria», ritenuta però arbitraria dai pm e dal gip, realizzata per rappresaglia dopo le proteste del 5, quando al Nilo si barricarono dopo aver avuto notizia della positività al Covid di un detenuto. «Le immagini viste sono solo una parte, quelle più raccapriccianti le ha solo la procura» hanno spiegato ieri i garanti dei detenuti provinciali e regionale, durante una conferenza stampa congiunta.
«IL CARCERE SAMMARITANO – racconta Emanuela Belcuore, garante dell’area di Caserta – è stato costruito senza rete idrica, sono 25 anni che non c’è l’allaccio. L’acqua viene portata con le autobotti o bisogna ricorrere a quella in bottiglia. Esce dai rubinetti giallo marrone, con il Covid i detenuti si sono dovuti lavare con acqua che porta dermatiti e irritazioni. A pochi chilometri c’è una discarica a cielo aperto, d’estate si formano zanzare enormi. I reparti maschile e femminile di alta sicurezza sono sovraffollati e a regime chiuso. Con il Covid c’è stato il blocco dei volontari, pochissime le attività ricreative». Quando lunedì scorso è esplosa l’inchiesta nel carcere c’è stato un black out elettrico, i detenuti sono rimasti senza tv ma, denuncia Belcuore, non sono stati distribuiti neppure i quotidiani, che i detenuti pagano. «Mi hanno detto che alcuni agenti hanno imposto di strappare le pagine dei quotidiani con le foto degli indagati».
DOPO LE SOSPENSIONI degli indagati sono arrivati nuovi agenti: «Per oltre un anno maltrattati e maltrattanti sono stati nello stesso carcere – commenta Belcuore -. Quando gli agenti sono stati sospesi hanno iniziato a spostare i detenuti del Nilo, 32 finora, che avevano denunciato le percosse verso altri istituti, in Calabria, Sicilia, Umbria. Li prendono di notte e li portano via. Le famiglie non possono raggiungerli per i colloqui. I detenuti che hanno chiesto l’avvicinamento a casa sono ancora lì».
A METTERE IN MOTO le indagini è stata anche la denuncia del garante campano, Samuele Ciambriello: «Uno dei detenuti del Nilo va ai domiciliari, posta sui sociale le foto delle percosse. Queste e le registrazioni delle chiamate con i familiari, dove altri raccontano cos’era successo, sono la base del mio esposto dell’8 aprile 2020. Per dieci giorni mi hanno raccontato fatti raccapriccianti. Nella seconda lettera che mando in procura c’è l’elenco di 16 detenuti, nome, cognome e data di nascita, disponibili a essere ascoltati dai magistrati. Alcuni mi dicevano di pressioni subite per ritirare la denuncia. Non è solo Salvini che fa propaganda, a novembre il ministero ancora ripeteva “abbiamo ristabilito l’ordine”».
UN IMPULSO IMPORTANTE all’indagine si deve al magistrato di sorveglianza Marco Puglia. Il 5 aprile le proteste pacifiche, il 6 Puglia arriva all’istituto per tranquillizzare i detenuti. Il comandante della penitenziaria, Gaetano Manganelli, non vorrebbe farlo parlare con quelli del Nilo perché «era prevista una perquisizione». Riesce a incontrarli e agli atti fa mettere: «I detenuti si comportarono in modo rispettoso e tennero a ribadirmi che la loro protesta era contenuta e pacifica». L’8 il post sui social, che racconta: «Non appena il dottor Puglia si è allontanato era stata eseguita la perquisizione durante la quale molti detenuti erano stati picchiati».
Il magistrato lo stesso giorno chiede di parlare con i reclusi del Nilo, nel frattempo spostati in punizione al Danubio, ma non ci riesce perché «mancava il personale che potesse accompagnarli in sala per la videoconferenza». Puglia al gip spiega: «Mi insospettii e il 9 disposi che mi portassero a colloquio con Teams proprio quei detenuti che non mi avevano portato il giorno prima. Emanuele Irollo mi raccontò che era stato picchiato. Mostrava tramite webcam le ecchimosi sulle spalle. Agenti sui lati dei corridoi gli avevano procurato le lesioni e avevano sputato su di lui».
LA SERA STESSA PUGLIA va a ispezionare il Danubio senza avvertire nessuno. Visita alti 7 detenuti, avevano ecchimosi, ematomi agli occhi, «nessuno era stato visitato in infermeria ma, al più, sottoposto a una rapita valutazione del medico di turno». Erano senza lenzuola, senza biancheria né sapone, «mi riferivano che era stato loro impedito di contattare i familiari». Qual era il clima lo racconta ancora Puglia: «Tutti si sorpresero della mia presenza alle 21.30 al Danubio. Rimasero basiti. In ogni mio spostamento fui seguito, come un’ombra, da 3 unità di polizia penitenziaria. Chiesi più volte carta e penna in modo che potessi annotare quello che vedevo. Quando finalmente riuscii ad averli costoro lo trattenevano in mano, decisi di annotare i particolari sul mio smartphone». L’11 arriva il sequestro delle telecamere di videosorveglianza.
Da Il Manifesto